Abbiamo raccolto gli articolo che sono stati più letti durante tutto il 2018, andando a pescare anche negli ultimi due mesi del 2017. Come immagine di copertina abbiamo scelto quella che, secondo la Redazione di Yanez, è la miglior foto 2018 apparsa nel nostro Photodrome, un’immagine tratta da L’identità del Mediterraneo, gallery di Glauco Canalis
1.
DOVE IL FANGO È PIU’ DOLCE DEL MIELE
Albania: una storia privata
di Shendi Veli
Il primo ricordo vivido che ho dell’Albania risale a quando avevo poco meno di quattro anni. Ero su una pista di decollo, di fronte alle scalette d’ingresso di un aereo con i motori già accesi.
Mi ricordo poche cose di quel momento, a malapena una per ogni facoltà sensoriale.
In bocca avevo un sapore chimico e dolciastro di aranciata, mia madre ne aveva comprata una per rassicurarmi fra le mille attese di quella giornata.
Dagli occhi vedo una sola immagine, un cielo nuvoloso e giallastro e la sagoma statuaria di mia madre con indosso un tallieur di cattiva qualità, i suoi capelli lunghi e corvini tirati rabbiosamente dal vento, che si dispongono quasi per orizzontale, da un lato della testa, come serpenti attirati da un profumo misterioso. Non riesco a capire se il vento fortissimo, che non sento ma vedo nella forza che solleva e sconvolge i capelli di mia madre, sia atmosferico o solo dovuto alla vicinanza delle eliche dell’aereo. Non lo saprò mai. Mia madre è di spalle e parla con due uomini in uniforme che scuotono la testa. Ma questo parlare lo immagino soltanto, nel ricordo l’audio è interamente dominato dal boato vibrante e mostruoso dell’aereo.
Quel rumore, quei capelli straziati dal vento, producono per la prima volta nella mia vita la sensazione che qualcosa di grave stia accadendo. Sono forse la mia primissima percezione dell’esistenza della società. È anche la prima volta in cui mi sono sentita preoccupata.
L’odore di questo ricordo è quello penetrante del gas di scarico. Ciò che sento con la pelle invece è un calore canicolare. Porto diversi strati di lana grezza sulla pelle e sopra un completo, giacca e pantaloni di materiale impermeabile. Assomiglio goffamente a un baby centauro, e nulla di ciò che mi definisce può essere ricondotto al mio essere femmina. A dire la verità sono quasi sicura che all’epoca non sapessi ancora di esserlo.
La scena nei miei ricordi dura pochissimo e tantissimo insieme. Tecnicamente è un flash, un’istantanea senza tempo, che dura lo spazio di un secondo. Eppure, a volte penso sia ancora in corso. Mi immagino ancora lì, a osservare con impotenza la schiena di mia madre, con il timore insopportabile che possa succederle qualcosa di brutto.
2.
VIAGGIO AL TERMINE DI TORPIGNATTARA
Qual è la vera identità del quartiere multietnico della capitale?
di Shendi Veli
C’è questo quartiere di Roma che suona familiare a molti ma che in pochi conoscono davvero. Si chiama Torpignattara, per la gente del posto Torpigna. Il nome deriva dal modo gergale di chiamare le anfore, “pignatte”, che decorano il mausoleo di Elena, madre dell’imperatore Costantino, che risale al quarto secolo dopo cristo e i cui resti si stagliano ancora su Via Casilina, a segnare il confine orientale del quartiere. La toponomastica tuttavia è un sapere riservato a pochi curiosi, per tutti gli altri il nome Torpignattara evoca grosso modo il folklore di una gretta periferia, qualcosa di romanaccio e sgangherato, come il rumore di una finestra rotta in una notte di vento.
3.
IL MOSTRO DELL’INTERNO
Fascismo 2.0
di Mauro Mondello
C’è un video, pubblicato sull’account facebook ufficiale di Matteo Salvini il 13 agosto 2018, alle ore 21.01, che spiega meglio di tante analisi il difficile momento che attraversa oggi l’Italia. Per due minuti e sette secondi scorre sullo schermo una carrellata delle adunate pubbliche presenziate dal ministro dell’Interno da giugno alle prime due settimane di agosto 2018. Accompagnato da una musica potente, gagliarda, il leggendario Matteo si muove fra gementi ali di folla, stringe mani a destra e a sinistra, prende in braccio bambini, arringa dai palchi le moltitudini di genti accorse da ogni angolo di Vicenza, Treviso, Fiumicino, Ivrea, Marina di Pietrasanta, Arcore, Oppeano Veronese, per chiudere con Lesina, in provincia di Foggia. Intorno è uno sventolare roboante di bandiere della Lega, il partito di cui Salvini è segretario, e di cartelli con lo slogan, oggi più che mai alla ribalta, “Salvini Premier”. Partire da questo video è importante per invertire, almeno in questa fase, la riflessione su ciò che sta accadendo in Italia, ed invertirla cercando di comprendere chi sono tutte quelle persone che dal Piemonte alla Sicilia sono rimaste impigliate nella rete del discorso populista salviniano. È un passaggio, questo, che diventa inscindibile dal tentativo di studio approfondito del caso, a partire da un concetto decisivo: non è il Paese ad essersi avvicinato a Salvini, ma Salvini ad aver interpretato in maniera straordinariamente efficace i bisogni, gli umori e le tendenze della popolazione italiana, trascinandola pian piano, quasi senza che ce ne si accorgesse, nel baratro del fascismo. Sull’importanza di quest’ultima parola, “fascismo”, si tornerà più avanti, soprattutto per provare ad affrontare un tema sinora poco dibattuto, ma centrale, che riguarda la necessità di inquadrare il salvinismo non dentro la cornice dell’estrema destra, di cui condivide solo parzialmente la base ideologica, quanto, appunto, nel fascismo, di cui ricalca invece, in maniera molto fedele, toni, modi e progressione in termini di consensi.
4.
DIARIO MOLDAVO
Tutto quello che dovreste sapere su un paese affascinante e dimenticato
di Alessandro Borscia
Sono seduto su un sedile laterale di un piccolo autobus, accanto al finestrino. Sono partito alle 11.00 da Odessa, in Ucraina, per raggiungere Chişinău, in Moldavia, a nemmeno 200 km di distanza. Dopo avere oltrepassato la frontiera ucraina, con i soldati armati in mimetica militare a effettuare i controlli, restiamo fermi di fronte al successivo posto di blocco. I poliziotti non hanno però l’effige della Moldavia sui giubbotti: hanno uniformi nere. Stiamo per entrare in Transnistria, la regione autonoma e separatista che si trova in territorio moldavo, a est del fiume Dnestr, ma che è rimasta legata al suo passato russo-sovietico. Sposto la tendina ed è un attimo: vedo l’autista andare incontro a un poliziotto, si danno la mano, ma non hanno nemmeno la cura di non farsi notare nell’evidente passaggio di denaro. Corruzione.
«Trasportavate della merce?», mi chiede Vitalie Sprinceana, un giornalista, sociologo e attivista moldavo, che incontro il giorno seguente nella sua abitazione nella periferia meridionale di Chisinau, città capitale della Repubblica di Moldavia.
Sì, gli rispondo, c’erano tessuti e vestiti sparsi un po’ sotto tutti i sedili. «Beh, è chiaro. Sicuramente è merce cinese, comprata al Seventh- Kilometer di Odessa (uno dei più grandi mercati all’aperto d’Europa, solo container che coprono 170 ettari di terreno) e che arriva poi a Piaţa Centrală, il mercato centrale di Chisinau ed è venduta almeno al doppio».
Nonostante i capelli e la barba brizzolati, Vitalie Spinceana è giovane e molto operoso: conduce un programma televisivo ed è membro fondatore di Platzforma.md, uno spazio online dedicato a riflessioni e analisi di fenomeni sociali, culturali e politici. Platzforma.md è nata con il supporto della Friedrich Ebert Foundation, la più antica fondazione politica tedesca, creata nel 1925 e legata al Partito Socialdemocratico tedesco.
5.
SULLA PELLE DI STEFANO CUCCHI
Abbiamo visto il film di Alessio Cremonini
Di Mattia Grigolo
Stefano Cucchi, ingegnere di trentun anni, muore all’Ospedale Sandro Pertini di Roma il 22 ottobre del 2009, mentre è in custodia cautelare.
Quello di Stefano Cucchi è uno tra i più discussi fatti di cronaca nera italiana dell’ultimo decennio.
Ieri, il 12 settembre 2018, esce in contemporanea sia nelle sale cinematografiche che su Netflix, Sulla mia Pelle, film diretto da Alessio Cremonini: la storia dell’ultima settimana di vita di Stefano Cucchi.
6.
CHANGE YOUR LIFE, CHANGE YOUR PORN COLLECTION
Erika Lust, la femminista del porno
di Greta Canestrelli
Vidi il mio primo video porno a diciassette anni; con enorme scaltrezza mi burlai della scritta che mi chiedeva se fossi maggiorenne e avanti tutta. Non ricordo le sensazioni della prima volta, so solo che ce ne furono altre appresso e bene o male si attivava ogni volta un meccanismo quasi matematico secondo la regola di – aperta parentesi – eccitazione più senso di colpa – chiusa parentesi – moltiplicato per terrore di essere scoperta, uguale profonda frustrazione. Ma il risultato non modificava la mia attrazione nei confronti di questa attività che era “da maschio” facendomi sentire un po’ lontana dalla visione delle mie amiche, con le quali evitavo di parlarne. Se le femmine non erano eccitate dal porno doveva allora vivere in me un fondo di perversione che non ero pronta a condividere; non ero ancora ben consapevole del fatto che essere un essere umano comporta il non poter smettere di sentire ciò che si sente, perché è la naturalezza delle cose. Per questo motivo ora so confessare che, sì, il porno mainstream fisiologicamente mi eccita, ma allo stesso tempo non mi piace come mi fa sentire.
7.
PERCHÈ SCEGLIERE È DIVENTATO COSI’ DIFFICILE
La generazione delle opzioni scartate
Di Beniamino Cianferoni
Il dover scegliere, in tutti i campi, appare spesso una limitazione alla propria libertà e felicità. Penso per esempio alla città dove vivere: io sono tornato a Firenze, ma mi manca Berlino; in realtà sto prendendo in considerazione Milano, ma in fondo a Lisbona potrei sempre lavorare in remoto. La città obbliga ad un minimo di continuità, ma alla fine succede che la propria opzione perda il più delle volte il confronto con le altre. Si può confermare l’intuizione con una domanda: che connotazione emotiva accompagna la parola “scegliere”? Penso ai vantaggi o a quello che perdo?
La tesi del sociologo americano Barry Schawartz, in “The Paradox of Choiche”, è che la libertà di consumo di cui gode la civiltà occidentale ci ha resi più insoddisfatti, dato che a ogni scelta corrisponde il rammarico per le opzioni scartate. L’abbondanza di opzioni non sembra offrire più valore, ma creare insoddisfazione e paralisi anziché libertà. Il punto, secondo Schawartz, è che, se in linea di principio avere una vasta gamma di possibilità è un fatto positivo, superato un certo limite l’abbondanza di scelta può portare ad un effetto opposto.
8.
LA SCUOLA TEDESCA NON È PER POVERI
Il falso mito dell’eccellenza del sistema educativo in Germania
di Alessandro Borscia
Da diciotto anni l’OCSE, l’assemblea economica internazionale con sede a Parigi, fondata nel 1961 con lo scopo di favorire la cooperazione e l’integrazione dei Paesi sviluppati, rende noti, ogni tre anni, i risultati di un’indagine mondiale svolta fra un numero sempre crescente di nazioni (membri OCSE e non). PISA (Programme for International Student Assessment), questo il nome dello studio, si pone l’obiettivo di fornire ai governi gli indicatori e gli strumenti utili a migliorare l’efficienza e l’efficacia dei propri sistemi d’istruzione e formazione, valutando le prestazioni scolastiche negli ambiti della lettura, della matematica e delle scienze della natura di alunne e alunni di quindici anni d’età.
Nella sua ultima edizione del 2015 la ricerca ha preso in esame circa 540mila studenti, rappresentativi di 29 milioni di adolescenti dei 72 paesi e aree economiche partecipanti. Fra gli obiettivi dell’indagine, anche quello di capire in che misura il successo scolastico sia collegato a fattori come la condizione socioeconomica, il genere sessuale o il retroterra migratorio.
9.
NICHOLAS GREEN, MORTO IL 1 OTTOBRE DEL 1994
Storia di un bambino che diventò mio fratello
di Mauro Mondello
Non ricordo che macchina avevamo all’epoca, forse una Fiat Tempra. I miei genitori stavano ancora insieme. Il fine settimana, spesso, ci venivano a prendere all’uscita da scuola, il sabato, all’ora di pranzo. Ci fermavamo a mangiare dei panini con il pomodoro e il formaggio all’Agip subito dopo l’uscita di Villafranca, sull’autostrada Messina – Palermo, e poi proseguivamo verso la casetta in montagna a Badiavecchia; per arrivare, da Messina, ci vuole circa un’ora e mezza. A volte, se erano di buon umore, compravano anche una bottiglia di chinotto. Ma era raro, a quel tempo, che i miei genitori fossero di buon umore. All’epoca uscivamo a Barcellona Pozzo di Gotto e da lì andavamo sù attraversando Terme Vigliatore e Mazzarrà Sant’Andrea, mentre qualche anno dopo, e ancora oggi, non avremmo più preso quella strada, ma saremmo passati da Falcone, “perché si fa prima”, continua a sostenere mio padre. Eppure io non ne sono tanto sicuro.
BERLIN, WILD WEDDING
Il quartiere che ringhia
di Francesco Somigli
C’era una volta un quartiere di frontiera, rebus irrisolto di complicata integrazione e problematiche sociali; questo sarebbe il perfetto e scontato inizio di un qualsiasi articolo su Wedding. Ed è già un buon motivo per non iniziare così questo articolo su Wedding.
Abito a Berlino dal 2012 e prima dello scorso anno avevo messo piede in questo distretto (che dal 2001 è entrato a far parte del quartiere di Mitte) solo un paio di volte, ospite a casa di conoscenti per delle feste. Una di queste due feste era nella casa che poi sarebbe diventata la mia, cosa che all’epoca non avrei mai immaginato. Il mio arrivo qui è stato totalmente in linea con le caratteristiche storiche di Wedding: nella metà del diciottesimo secolo in quest’area si rifugiavano le persone che volevano nascondersi da qualcosa o che avevano loschi affari da portare avanti; era un luogo amato da giocatori d’azzardo e puttanieri, per dirla proprio fuori dai denti.
Ora, io non so giocare a carte, ho una discreta sfortuna con le slot machines e, soprattutto, non intrattengo rapporti sessuali a pagamento. Quando sono arrivato avevo semplicemente bisogno di un luogo in cui rifugiarmi, dove sparire per un po’ mescolandomi tra altra gente che a Wedding aveva già trovato rifugio prima di me.
Il biglietto da visita che mi era stato presentato non era dei migliori: delinquenza, disagio umano, sporcizia e tutto quello che può comporre il pacchetto completo del quartiere che la nonna ti sconsiglierebbe di frequentare.
11.
PESCARA, LA TWIN PEAKS DELL’ADRIATICO
Si vive davvero così male nel capoluogo di provincia abruzzese?
di Paola Moretti
Su Pescara non ho scritto mai niente perché è brutta. Sembra la versione mediterranea di Miami, in cui le palme invece di essere alte e sottili sono basse e grasse, come se avessero mangiato troppa pasta. Quando i miei amici stranieri mi chiedono con occhi sognanti come sia la città da cui vengo in Italia li avverto subito di non immaginarsi un borgo con casette di pietra, né porticati, né chiese barocche.
Pescara è stata rasa al suolo durante la seconda guerra mondiale e tirata su di nuovo negli anni della speculazione edilizia. In riva al mare ci sono palazzine alte venticinque metri e lunghe trentadue. Che bloccano la visuale dall’entroterra alla costa e viceversa. Sacrilegio, dato che in teoria avremmo il lusso di vedere le montagne mentre siamo a mollo nel mare.
Quando gli amici italiani invece mi chiedono da dove vengo, inizia il toto-geografia. Pescara nelle Marche. Pescara in Puglia. Pescara quella al Nord. Pescara in Umbria. No, Pescara in Abruzzo, tra l’altro, ce n’è solo una. Rispondo a questa domanda solitamente senza dire la verità completa. Nel capoluogo di provincia abruzzese ci sono arrivata solo ad otto anni, dopo una prima infanzia in Lombardia. E nessuno dei miei parenti è di là. I miei corregionali lo sgamano subito da come parlo. Nonostante gli undici anni che ho passato lì, sono riuscita a mantenere un che di nordico nell’uso di alcune vocali. In particolare quando dico ‘crosta’, ‘lento’, ‘sedia’ e ‘chiesa.’
La parlata è stata una questione problematica al mio arrivo, mi ricordo in particolare certe formule linguistiche che non riuscivo proprio a capire. All’ingresso di scuola vedevo uomini chini sulle loro figlie che le chiamavano ‘papà’. Vedevo anziane baciare i loro nipoti e chiamarli ‘nonna’. “Dove sono capitata,” mi chiedevo, “sono tutti pazzi?” Mio padre, da buon napoletano, mi spiegò che è una specie di abbreviazione di un modo di dire del sud, “Ascolta a papà, ascolta a nonna.” Ma sul fatto che fossero tutti pazzi ci avevo visto bene.
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