“Te com’è che sei conciato così?”
“So cascato dalle scale.”
“Quando la smetteremo de raccontà sempre sta stronzata delle scale?”
“Quando le scale smetteranno da menacce.”
Stefano Cucchi, ingegnere di trentun anni, muore all’Ospedale Sandro Pertini di Roma il 22 ottobre del 2009, mentre è in custodia cautelare.
Quello di Stefano Cucchi è uno tra i più discussi fatti di cronaca nera italiana dell’ultimo decennio.
Ieri, il 12 settembre 2018, esce in contemporanea sia nelle sale cinematografiche che su Netflix, Sulla mia Pelle, film diretto da Alessio Cremonini: la storia dell’ultima settimana di vita di Stefano Cucchi.
Sulla mia Pelle non è un capolavoro, non lo è perché registicamente non è perfetto, e probabilmente non ha nemmeno la pretesa di esserlo, ma è un film importante, necessario, come ha confermato lo stesso Alessandro Borghi, a cui è stata affidata la parte di Stefano Cucchi.
È un film difficile, da realizzare e da guardare. Perché nell’ora e mezza di immagini dalle tinte oscure, quello che traspare è il silenzio che fa muro contro la lotta.
Stefano Cucchi non è stato il ragazzo perfetto, tutt’altro, non è stato la bandiera di una lotta, come invece lo è diventato Carlo Giuliani. È stato ed è tutt’ora la vittima di un silenzio meschino, che riguarda tutti gli italiani.
Alessio Cremonini ha la capacità di trasportare sullo schermo un dramma e una vicenda umana, triste e incompleta, con la semplicità rassegnata con il quale si è consumato. Perché è questa la verità, al di là della lotta della sorella e dei genitori, dei processi, delle inutili vittorie e soddisfazioni, ciò che traspare è la semplicità con cui tutto si è consumato.
Una settimana, quella trascorsa da quando Stefano Cucchi viene arrestato a quando muore su un letto del Pertini, una settimana quella che viene messa in scena da Cremonini, recitata magistralmente da un Alessandro Borghi più che mai ispirato.
Ci voleva un film come questo, perché in un’Italia in cui vengono a mancare sempre più certezze, è necessario uno scossone e purtroppo, nella situazione attuale del nostro paese, la scossa la devi imboccare.
Sulla mia pelle si attiene ai fatti, perché è giusto così e per evitare l’inutile retorica di chi vuole necessariamente schierarsi dalla parte dei giusti, chiunque essi siano.
Per la prima volta dalla morte di Stefano Cucchi, qualcuno si mette nei suoi panni, nella sua pelle e questo fa male, perché sviscera ancora di più un problema già sviscerato per anni. Non è un tentativo quello di Cremonini, è un atto che non ammette incertezza, e lo si vede, per come è strutturato e per quello che vuole comunicare.
In questo è stato molto bravo, come lo è stato Borghi, già forte di un’interpretazione incredibile in Non essere cattivo, di Claudio Caligari, eccezionale nel non trasformare il suo personaggio in qualcosa di commovente e patetico. Perché non c’era bisogno di un personaggio del genere. Laddove la verità è ancora lontana o nascosta, la gente ha bisogno di un personaggio vero.
Sulla mia pelle è stato selezionato e presentato nella sezione Orizzonti della 75° Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia, dove ha vinto il Premio Pasinetti al film e ai migliori attori, e il Premio Brian.
La verità è che quello che è stato presentato al pubblico nelle sale ieri, non è un film, o quantomeno non è solo quello: è un gesto, l’ennesimo.
È un’altra richiesta d’ascolto, che non pretende di accusare i singoli, che non punta il dito contro pochi, ma contro uno soltanto: lo Stato Italiano.
L’inadempienza e la sfacciataggine con cui manchiamo, la furbizia nel non dire e nel non ascoltare affatto, nell’aspettare e nel rigettare le responsabilità. C’è tutto e tutto è semplicemente questo, come abbiamo già detto all’inizio: la storia di un ragazzo imperfetto ma simile a moltissimi altri, che se n’è andato per un motivo futile che nessuno ha pagato.
Sì, futile, perché è futile non ascoltare, non avvicinarsi, non prendersi responsabilità. È futile fare quello che facciamo noi sempre più spesso, nonostante gli inviti non diretti siano sempre di più, ogni anno che passa, ogni fazione politica che sale al potere, ogni uomo che muore per un errore dei giusti: voltarci dall’altra parte.
Non tutti, sia chiaro – sia mai che qualcuno si senta coinvolto in qualcosa di collettivo – ma se la verità risiede negli ultimi minuti di questo film prima dei titoli di coda, beh, un problema ce lo abbiamo a livello di comunità.
Andate a vedere Sulla mia pelle al cinema, se potete, guardatelo su Netflix se non potete fare altrimenti, ma fatelo, perché è importante.
Nella pellicola c’è una parte molto interessante, che potrebbe sfuggire ad un occhio superficiale: Stefano Cucchi è sdraiato sul letto nella camera d’ospedale dov’è rinchiuso. Durante la notte morirà. Una volontaria fatta chiamare apposta da lui gli offre il suo specchio da trucco. Stefano si specchia.
È la prima volta, dopo una settimana, che vede il proprio volto, gli ematomi, gli occhi pesti, le labbra secche, la sua magrezza irreale (al momento della morte pesa 37 kg).
È emblematico di una situazione più grande, di un silenzio più profondo che va oltre l’inosservanza delle regole e la sfacciataggine dell’abuso di potere; è la stupidità collettiva di una comunità che è andata alla deriva per un attimo soltanto, giusto il tempo di essersene accorta, e che è ancora lì a dirsi: se solo potessi tornare indietro.
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Immagine di copertina: Screenshot
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