Foto di Marco Antonecchia
Su Pescara non ho scritto mai niente perché è brutta. Sembra la versione mediterranea di Miami, in cui le palme invece di essere alte e sottili sono basse e grasse, come se avessero mangiato troppa pasta. Quando i miei amici stranieri mi chiedono con occhi sognanti come sia la città da cui vengo in Italia li avverto subito di non immaginarsi un borgo con casette di pietra, né porticati, né chiese barocche.
Pescara è stata rasa al suolo durante la seconda guerra mondiale e tirata su di nuovo negli anni della speculazione edilizia. In riva al mare ci sono palazzine alte venticinque metri e lunghe trentadue. Che bloccano la visuale dall’entroterra alla costa e viceversa. Sacrilegio, dato che in teoria avremmo il lusso di vedere le montagne mentre siamo a mollo nel mare.
Quando gli amici italiani invece mi chiedono da dove vengo, inizia il toto-geografia. Pescara nelle Marche. Pescara in Puglia. Pescara quella al Nord. Pescara in Umbria. No, Pescara in Abruzzo, tra l’altro, ce n’è solo una. Rispondo a questa domanda solitamente senza dire la verità completa. Nel capoluogo di provincia abruzzese ci sono arrivata solo ad otto anni, dopo una prima infanzia in Lombardia. E nessuno dei miei parenti è di là. I miei corregionali lo sgamano subito da come parlo. Nonostante gli undici anni che ho passato lì, sono riuscita a mantenere un che di nordico nell’uso di alcune vocali. In particolare quando dico ‘crosta’, ‘lento’, ‘sedia’ e ‘chiesa.’
La parlata è stata una questione problematica al mio arrivo, mi ricordo in particolare certe formule linguistiche che non riuscivo proprio a capire. All’ingresso di scuola vedevo uomini chini sulle loro figlie che le chiamavano ‘papà’. Vedevo anziane baciare i loro nipoti e chiamarli ‘nonna’. “Dove sono capitata,” mi chiedevo, “sono tutti pazzi?” Mio padre, da buon napoletano, mi spiegò che è una specie di abbreviazione di un modo di dire del sud, “Ascolta a papà, ascolta a nonna.” Ma sul fatto che fossero tutti pazzi ci avevo visto bene.
Inspiegabilmente qui la proporzione tra abitanti e casi umani è anomala. Molti non-pescaresi minimizzano dicendo che “Ogni cittadina ha i suoi personaggi.” Certo, ma la varietà in mostra dalle mie parti continuo a trovarla stupefacente.
Quand’ero ragazzina c’era Oswald, il pompiere olandese, che aveva il brutto vizio di ridere esalando dalla bocca e farlo vicino alla tua. C’era Ratzinger, così noto a quelli della mia generazione, in quanto lo trovavi accasciato sulle scale dell’ex tribunale a salmodiare contro il Papa, ma noto anche come Kurt a quelli più grandi, che avevano conosciuto un Ratzinger giovane e uguale alla rockstar di Seattle. C’era Satellite, che parlava di iperspazio e galassie e che correva voce avesse messo fuoco alla macchina di un professore del liceo classico. C’era Italuccio, appassionato di calcio, sempre in giro con la maglietta dell’Italia, anzi sempre pronto a togliersela in qualche esibizione di tifoseria. C’era Acid House, un tipo scontroso che mandava facilmente anatemi se non gli si dava quel che voleva e di cui si dice che prima dell’ LSD fosse un genio della musica, se non sbaglio. C’era Beniamino, che amava il vino rosso e che io ho incontrato poche volte, una delle quali dopo che aveva fatto a pugni per strada con qualcuno. C’era Ettorino, probabilmente il VIP della categoria, esperto di oroscopi, affabulatore un po’ sbavante e spesso in compagnia di Bubu, uomo dalla risata rauca e ritmicamente ripetitiva, che credo di non aver mai sentito pronunciare una frase di senso compiuto. E Andrea Lossai, che iniziava ogni conversazione chiedendoti per l’appunto: “Lo sai?” Poi c’era Enzo La Vipera, uno tra i primi gay dichiarati in Abruzzo ed uomo dal guardaroba sgargiante. Mi ricordo anche di un tipo che andava in giro con occhiali e guanti per la realtà virtuale, ma è tanto che non mi è capitato di incontrarlo. Adesso, non so esattamente chi di loro sia rimasto in circolazione. Probabilmente ci saranno nuovi soggetti che non ho conosciuto così come ce ne saranno molti di cui non mi ricordo.
Mi sono chiesta spesso come facesse un posto così piccolo ad attirare e a produrre tutta questa fauna stramba. La risposta che mi sono data non ha niente di empirico, né vuole essere valida universalmente. È anzi un sospetto che ho maturato sulla base della mia esperienza personale.
Credo che Pescara sia una città magnifica, se ci si sta qualche giorno all’anno. Si mangia benissimo, si beve anche meglio. La gente è simpatica, ospitale e, seppure un po’ burbera, disponibile. C’è il mare, c’è la montagna, c’è una natura divina tutto intorno. Eppure a me è sempre mancata l’aria lì dentro. Per i primi tre anni in cui me ne sono andata, a Pescara ci tornavo controvoglia e solo d’estate: per la vitamina D e per mia mamma. Perché a Pescara si stagna. C’é una lagnanza continua che si infila sotto la pelle e atrofizza i muscoli. Pescara appesantisce, impigrisce, rende avezzi ai vizi, almeno a me fa questo effetto. Anzi, no, so che per molti è così. Se googoli ‘Pescara eroina’ ti compare una lista di articoli lunga come i nomi dei caduti in battaglia durante la guerra. Articoli che compaiono a una frequenza quasi mensile, 8 chili trovati qui, un’overdose là, arresto per spaccio qui, ragazzini tossici là. Il capoluogo adriatico é la mecca della polvere gialla del centro Italia, seconda sola forse a Perugia. Perugia almeno è bella. Non intendo continuare sul tema, perché le tratte della droga, così come l’algebra, sono linguaggi che non comprendo. So solo che a Rancitelli è meglio non andare e che molti dei miei conoscenti sono finiti male. Un altro problema, seppur meno evidente, è l’alcool. Abruzzesi e veneti uniti nella lotta contro il fegato.
Quando ero ragazzina pensavo che non ci fosse niente da fare in città. Probabilmente esageravo, in fondo c’era l’Indie Rocket che già nel 2005 aveva portato i God is My Co-Pilot, gli Xiu-Xiu, i Melt Banana, i Ten in the Swear Jar. C’era il Pescara Jazz, primo festival in Italia dedicato al genere. C’era il Premio Flaiano, che promuoveva letteratura, cinema, teatro, televisione e radio. C’era Fuori Uso, una rassegna di arte contemporanea che si appropriava di spazi in disuso. Come l’ex Ferrovie Elettriche Abruzzesi, l’ex clinica Baiocchi, l’ex Cooperativa Ortofrutticola. Pescara è piena di ex-qualcosa a dimostrazione che l’abbandono è una pratica frequente. Forse ad opprimermi era l’idea che tra le 120.000 persone del posto, tutte sapessero chi fossi e cosa facessi. Perché la gente si conosce tutta e parla tanto. Probabilmente esageravo. Allora tutti si lamentavano, ma poi nessuno faceva niente, non cambiavano le cose e non se ne andavano. Ma forse esageravo, o forse non sono stata abbastanza paziente.
Nell’anno in cui me ne sono andata, il 2009, Giovanni Di Iacovo è diventato consigliere comunale e lentamente qualcosa ha cominciato a muoversi. Di Iacovo é un personaggio che conoscevo anche prima di trasferirmi, dai tempi in cui d’estate facevo la commessa in un negozio di abbigliamento. Questo era situato proprio sotto la redazione di una rivista locale. Per la pausa caffè i redattori scendevano, andavano al bar di fronte e poi prima di risalire passavano a salutare Ilaria e Daniela, le mie colleghe. Se non sbaglio tra di loro c’era anche Di Iacovo. Oppure l’ho conosciuto al Wake Up a qualche serata di Umberto Palazzo. Non ricordo più bene. Non ricordavo più neanche dell’esistenza del Wake Up a dire il vero, nonostante ci abbia passato buona parte dei miei fine settimana di adolescente. Anch’esso come molti altri è stato fatto chiudere in un’ondata di proibizionismo mista a conseguenze della crisi economica che dal 2008 al 2012 ha penalizzato in particolare i locali alternativi del capoluogo. Ripenso ai miei diciassette, ai miei diciott’anni e realizzo che ne sono passati altri dieci. Che i ricordi non sono così nitidi, che in una decade chi sa quante cose sono cambiate, che non ho l’autorità adesso per parlare di quella che non è più la mia città. È per questo che decido di chiedere a chi a Pescara non solo ci è rimasto, ma si è impegnato affinché migliorasse. Faccio l’intervista con Giovanni Di Iacovo via Skype nonostante io in questo momento sia a Pescara. Lui invece è a Berlino. ci siamo inconsapevolmente scambiati i ruoli.
Proviamo l’audio, c’è un po’ di delay, ma niente di grave, il video lo teniamo spento. Parliamo di Pescara come di un’amica in comune che non vedo da tempo. È una città seducente, mi dice, piena di sottoculture, ma da cui te ne vai perché sai che c’è di meglio, te ne vai senza rancore però.
Con rancore forse no, ma con terrore sì. Me ne sono andata convinta che se fossi rimasta un anno di più sarei impazzita o morta.
È un posto che sa incuriosirsi, sostiene Di Iacovo, che conta 380 istituzioni culturali, 18 scuole di teatro e innumerevoli band musicali. “Il problema é che é geograficamente isolata.” Il treno per Roma ci impiega all’incirca quattro ore e mezza per raggiungere la destinazione. Nonostante da costa a costa siano meno di 400 Km. È un regionale che si ferma in ogni paese dell’Appennino, e per quanto sia paesaggisticamente meraviglioso, é un viaggio che nessuno si accolla, passati gli anni di intraprendenza punkabbestia. La tratta autostradale dell’A24 è in proporzione una delle più care: 19,40 Euro per circa 200 Km di tragitto. Arrivare a Napoli è uno sbatti, a Firenze pure, anche se un pochino meno. Il collegamento più comodo è quello con Bologna, che infatti raccoglie la maggior parte degli studenti pescaresi. In realtà a Pescara c’è anche un aeroporto, aveva persino un volo per Berlino, che è durato la bellezza di sei mesi. L’hanno messo quando avevo deciso di trasferirmi, l’hanno tolto quando mi sono effettivamente trasferita. Di voli internazionali ce ne sono per Londra, Francoforte, Düsseldorf, Bruxelles, Tirana e Bucarest, non esattamente le mete più amate dai giovani squattrinati. È infatti questa fetta della popolazione, la fascia di età che va dai 19 ai 30 ad aver lasciato un buco generazionale nella provincia pescarese. Eppure c’è l’ università, con la facoltà di Lingue, Lettere e Architettura. Arrivano studenti dalla Puglia e dal Molise. “Sì, ma in qualche modo sfuggono alle maglie del tessuto sociale, non si integrano con i locali, non escono dal circuito universitario,” mi informa Di Iacovo.
Da qualche anno a questa parte però, sarà che con il tempo si diventa meno radicali e più amanti del confort, ma ho notato una certa effervescenza, una certa vivibilità del capoluogo. Molti amici, una volta studenti fuori sede, sono tornati a casa, “E ti dirò, dopo un periodo di spaesamento iniziale, qui ora non sto affatto male,” affermano. L’anno scorso ho visto Goran Bregovic gratis in riva al mare. L’anno dopo i Morcheeba. Ci sono stati i Chemical Brothers e gli Afterhours in Piazza Salotto, che, scusate, è il nome di piazza più bello del mondo. Di Iacovo mi dice che c’è ancora una sacca di resistenza: una fetta di popolazione affetta da eccessiva ‘pescaresità’, che resiste al nuovo e insiste nelle lamentele. Ma che in generale la risposta è buona, il numero di partecipanti agli eventi culturali continua ad aumentare.
Mia mamma ascolta la conversazione mentre svuota la lavastoviglie. In un momento in cui Giovanni mi avverte che si deve allontanare dal computer mi domanda speranzosa se sto considerando un rimpatrio.
“Non esageriamo,” le dico.
Da consigliere ad un certo punto Di Iacovo è diventato assessore alla cultura. Nel 2014 precisamente. E le iniziative sono cominciate a fioccare. Ad oggi Pescara ospita tra le 290 e le 300 iniziative culturali all’anno. Satyricon, rassegna nazionale di satira web. Lovehotel, festival della cultura erotica. Funambolika, festival di arti circensi. Future Days Fest, fiera dell’innovazione e il FLA, Festival di Libri e Altrecose, sono nati tutti sotto la spinta e la supervisione di Giovanni. Quest’ultimo in particolare è un progetto in cui Di Iacovo ha investito tanto. Creato nel 2002 con il nome di Festival Delle Letterature dell’Adriatico è giunto quest’anno alla sua quindicesima edizione. Gli chiedo da dove gli vengano tutte queste idee e lui mi spiega che non sono tutte sue, da una parte il suo ruolo è quello di agevolare l’entrata di proposte interessanti nelle camere del palazzo, dall’altra semplicemente guarda i trend e “organizza le passioni”. È il caso dell’ultimo progetto con la street art.
“Ho notato che ai ragazzi di Pescara piace fare i murales, che contiamo artisti talentuosi in questa disciplina, così ho pensato di prendere qualche muro e metterlo a disposizione. Legalizzando i muri siamo tutti più tranquilli, cittadini e artisti. In più i murales aggiungono valore a posti altrimenti decadenti.”
Come ultima domanda gli chiedo cosa l’abbia spinto ad entrare in politica, “volevo diventare parte attiva della città,” mi dice. Voleva combattere l’eccesso di ‘pescaresità’ che si annida in ognuno di noi.
Capisco di che parla, a fatica esco di casa. Vado ad incontrare i miei amici, domani torno a casa. Quando li raggiungo sono seduti davanti a quello che una volta era il Codice a Bar, un locale senza finestre dietro ad un portellone di metallo, che chiudeva più tardi di tutti gli altri e raccoglieva per questo motivo Ettorino, Bubu, Beniamino, Italuccio e gli altri compagni. Un bar che frequentavo anche io quando facevo il liceo e mi rendo conto solo adesso di quanto poco fosse appropriato. Sono seduta con Davide che fa il fotografo, gli chiedo se ha qualche scatto da passarmi perché ho in mente questo articolo. Quando sente il tema, ride, mi prende in giro, “Che cazzo dici?” poi gli conto sulla punta delle dita tutte le iniziative che ci sono state in questi anni, ma le mani non mi bastano. “Però, è vero. E bravo Di Iacovo.”
REDAZIONE
Wale Café
Hobrechtstrasse 24, 12047 Berlin