Berlin Places è un progetto di Mauro Mondello e Loris Rizzo che documenta
in tempo reale, con parole e immagini, i luoghi di Berlino
Testo e foto sono stati realizzati a Bernauer Strasse,
il 18 ottobre 2019, fra le 10.30 e le 13.30
Ho scelto di fermarmi su una panchina che puzza di piscio e di pioggia. Non lo sapevo che puzzava di piscio, prima di sedermici, ma avevo visto la pioggia, quella sì, che a chiazze scure si è fermata a stagnare sul blocco centrale del basamento. Una coppia, forse filippina, mi chiede se posso scattargli una foto. Prima mi si avvicina lui, un uomo sulla cinquantina. Mi gira intorno, sembra voglia parlarmi, ma poi ci ripensa, si allontana. Discute con la donna, che gli risponde a tono, pare irritata. Gli prende il telefono dalle mani e avanza a rapide falcate verso di me. Mi chiede lei, in effetti, se posso immortalarli. Rispondo di sì; allora lei si gira verso l’uomo e gli dice qualcosa che non capisco, ma sembra un inevitabile “hai visto, cretino”. Lui abbassa lo sguardo, io scatto e penso che mi dispiace di aver contribuito ad una foto infelice. Una foto che non capisco.
Si sono convinti che le lastre di cemento dietro di me, che con il Muro non c’entrano nulla, facciano parte della sezione storica di Bernauerstrasse. Ma sono solo blocchi di calce impastata, nemmeno tanto bene.
Sono all’incrocio fra Bernauer e Brunnenstrasse, sul lato più orientale del percorso che racconta un pezzo della Berlino divisa. C’è una foto enorme, molto sgranata, dipinta sul retro di un edificio che affaccia direttamente sullo spiazzo verde parallelo alla strada. Un soldato salta su una rete di filo spinato, in alto è indicato un anno, il 1961. Sul lato destro dello stesso retro dello stesso edificio, altre quattro immagini, più piccole, ma incorniciate in dei blocchi metallici quadrati, e molto nitide, pulite, nel loro bianco e nero. Altre date: 1961, 1963, 1964, 1966, 1980, 1990. Raccontano l’evolversi del Muro di Berlino proprio qui, in questo punto preciso.
Di fronte a me dei tubolari metallici, un po’ arrugginiti: l’anima della barriera abbattuta. Dividono lo spiazzo dall’asfalto e da una fila di alberi (che alberi sono? Mi piacerebbe saperlo, ma non ci capisco niente di alberi, e invidio sempre chi, guardandosi intorno, riesce a nominare la natura), pieni di foglie gialle, che frusciano al passare del vento, muovendosi morbide verso destra. Dietro di loro scorre la sagoma luccicante del tram M 10, che lentamente si allontana in direzione di Warschauerstrasse.
Due ragazze si sono avvicinate alla panchina. Da dieci minuti si danno il cambio scattandosi foto. Poi le riguardano insieme. Parlano. Ricominciano. Sono bionde, ma non sono bionde. Si sono tinte i capelli di biondo. Hanno le sopracciglia scure, la più alta indossa dei pantaloni verdi, strettissimi, e una felpa a righe bianche e blu scuro: le strisce blu scuro sono punteggiate di inserti arancio e mi fanno pensare a decine di formiche.
Risalendo la via verso Prenzlauer Berg, in direzione del mercato di Mauerpark, sulla sinistra, sul lato opposto rispetto a quello che sto percorrendo, vedo un scritta al neon, Supersonico, sul fronte alto di un bar che sembra sia stato calato in mezzo ai palazzi da un altro pianeta.
Le proporzioni mi ricordano un quadro di Edward Hopper, Nighthawks, con la stanzona lunga lunga e il soffitto basso, i tavolini stretti e l’enorme vetrata che scorre tutt’intorno al perimetro del negozio.
Sul mio lato della strada, invece, compaiono delle mattonelle su cui sono incisi dei nomi.
Quella dedicata a Bernd Lüsen, per esempio, all’angolo fra Bernauerstrasse e Wollinerstrasse, racconta la morte di un uomo, Lüsen appunto, mentre cercava di scappare a Berlino Ovest calandosi con un lenzuolo dalla finestra anteriore della sua casa, sul lato occidentale del muro.
Sul lato di Bernauerstrasse opposto al Mauerpark c’è un grande spiazzo vuoto, recintato, il terreno cosparso di ghiaia. C’è un vecchio cartello sbiadito, in fondo, mi pare di leggere “Mauerpark Automob”, e poco sotto “Phw An- & Verkauf Sofort Bar Geld”. Una volta, prima che la città decidesse di diventare quello che non è mai stata, questo slargo doveva essere il parcheggio di un rivenditore di automobili usate. Sul marciapiede, proprio fuori dalla recinzione, come fossero stati abbandonati per caso lungo la strada, ci sono un distributore di denaro contante Euronet e un Photoautomat, la leggendaria macchina per le fototessere iconica di Berlino.
Qui c’è uno scontro di tempi, di sensazioni, che non finisce.
Il ricordo imposto del Muro di Berlino si srotola lungo un percorso fatto di pannelli e annotazioni storiche, un sentiero che si snoda attraverso una nascosta via interna, una striscia di terra e di asfalto calpestata da alcuni sporadici turisti e che si allunga da Schweidterstrasse sino a Brunnenstrasse, dove Bernauer si apre con un grande prato che poi discende fino alla stazione Nordbahnhof. Sul retro del viottolo si osservano i vecchi palazzi della città orientale, oggi ristrutturati, con gli ascensori esterni e i giardini recintati zeppi di vecchie biciclette, mischiarsi alle nuove costruzioni progettate da grandi architetti, strutture di ferro, inserti di legno, sontuose portinerie a vista, per regalare agli occhi lo spazio per anni negato.
Torno indietro e mi spingo verso la parte bassa della Bernauerstrasse, quella che si distende verso Gartenstrasse e Park am Nordbahnhof. C’è una grande lastra rettangolare, fissata su un’isola d’asfalto circondata dal verde. Dentro la lastra, disposti su tre lunghe file, decine di minuti ritratti, e le date di nascita e morte di uomini e donne caduti nel tentativo di scavalcare il muro di Berlino. C’è una rosa bianca, posata nell’incavatura di una delle fotografie. Ritrae Walter Kittel, ucciso il 18 ottobre del 1965, a 22 anni, mentre cercava di raggiungere Berlino Ovest.
Mi allontano di un centinaio di metri, apro un cancello: sono nel cimitero Friedhof Sophien II.
Valeria Zieliski, nata Ossowski, è scritto sulla lapide che ho di fronte: 30.05.1898 – 25.06.1973.
La lastra di pietra pare conficcata a forza dentro la terra. E’ piegata all’indietro e pende leggermente verso destra. Sul vialetto sterrato passa una coppia di sposi: il cimitero mi sembra un luogo perfetto per il servizio fotografico di un matrimonio. Due morti, una rinascita. Non posso fare a meno di immaginare quel 25 giugno del 1973, e alla signora Zielinski. Che tempo c’era quel giorno? Dov’erano i miei genitori? Aveva mangiato, la signora Zielinski, prima di morire? E com’era vestita?
E’ un parco pieno di pietre e di alberi tutti diversi e a me sconosciuti e di grandi vasche circolari su cui spiovono tubi. E di morti. Morti antichi, di tempo e di seppellimento.
Hartmann, Zumbech, Mueller, Schneider, se ne stanno tutti sotto la terra.
Penso al culto dei morti. Penso che in fondo un po’ di senso poteva anche averlo, seppellire un corpo umano senza più vita in un parco sotto la terra. Il silenzio, un silenzio obliquo, indotto, si scontra con il ciarlare distratto dei turisti che, in lontananza, visitano il memoriale del Muro.
Un’oasi di pace, piena di morti, i cestelli verdi agli angoli dei sentieri hanno sul fronte un avviso.
C’è scritto: Verrotbare Abfalle. Rifiuti biodegradabili.
Hauptbahnhof – Berlin Places #1
Gleisdreieck – Berlin Places #2
Potsdamer Platz – Berlin Places #3
Flughafen Tegel – Berlin Places #4
Paul-Lincke-Ufer- Berlin Places #5
Segui Mauro Mondello su Yanez
Segui Loris Rizzo su Yanez | Facebook | Instagram
REDAZIONE
Wale Café
Hobrechtstrasse 24, 12047 Berlin