Berlin Places è un progetto di Mauro Mondello e Loris Rizzo che documenta
in tempo reale, con parole e immagini, i luoghi di Berlino
Testo e foto sono stati realizzati a Paul-Lincke-Ufer, il 5 aprile 2018,
fra le 10.10 e le 13.30
Sono seduto su una panchina all’altezza di Liegnitzerstrasse. E’ una vecchia panchina di ferro, su cui sono poggiate dodici (le ho appena contate) assi rettangolari di legno, avvolte in un movimento ondulato, che segue la forma ergonomica del metallo. Per terra, incastrati nel terreno umido di pioggia, decine di tappi. Mi ci concentro e vedo che la Berliner, una birra locale fra le mie sfavorite, vince a mani basse. Paul-Lincke-Ufer, in questa parte, si sdoppia in due sentieri. Da quello più in alto è come stare sul predello di una classe delle scuole superiori, o sopra un autobus in attesa alla fermata, mentre sul viale tutto continua a scorrere: da qui, si può osservare la vita che passa appena sotto. C’è una bicicletta con i cerchioni color arancia ed il manubrio arrotondato che giace, come abbandonata, sul ciglio del sentiero. Una ragazza magrissima, dall’azzurro sguardo perso nel vuoto, indossa una felpa grigia, il cappuccio calcato stretto sulla testa, e corre con un’andatura che ricorda la marcia, però non è una marcia, la sua sembra una corsa interrotta, le gambe che si slanciano, ma quasi, le braccia che si stendono, ma non del tutto.
Alle mie spalle, proprio sull’angolo fra la Paul Lincke Ufer e Liegnitzerstrasse, l’insegna di un biergarten dal nome misterioso, Gri Gri, campeggia spenta. La vedo forse per la prima volta, eppure, penso, da qui ci passo quasi tutti i giorni.
C’è un sole timido e fresco che rimbalza sulla corrente lenta del Landwehrkanal, fluido che va da destra verso sinistra, se lo si guarda da questa sponda. Una sensazione di calma assoluta si è impadronita del giovedì mattina, un moto sereno in cui ogni persona, ogni momento, appare intriso di incontenibile immobilità. Si sente il cinguettio degli uccelli che girovagano fra gli alberi, il rimbombo cadenzato dei rumori del cantiere sull’altro lato della riva, dove accanto al Lidl, al posto di un vecchio magazzino demolito cinque o sei mesi fa, stanno tirando su un enorme palazzone: un telo con la scritta DORA campeggia sul fronte, allacciato ai tubolari dell’impalcatura. Passa anche una barca, La Boheme, c’è scritto sul dorso laterale, battente bandiera tedesca. Arriva felpata, come se stesse andando per inerzia, e con lei si avverte l’aprirsi morbido dell’acqua. Se guardi il mondo adesso, da Paul-Lincke-Ufer, ti sembra quasi un bel posto.
Vado poco più avanti, fermandomi appena prima del prossimo isolato, a qualche metro da Forsterstrasse. In sottofondo il vociare dei bambini che giocano dentro una specie di spielplatz (area giochi) privato, alla cui entrata è fissata una targa, Komsu EV. Il colore della panchina su cui sono seduto adesso è più vivo, più consistente, rispetto a quella su cui stavo prima. Davanti a me cinque perimetri cubici sono delimitati da una serie di panchette in legno. Alle panchette, per ogni perimetro, sono attaccati dei tagliandi con dei numeri e una scritta bianca, su fondo azzurro, La Marseillese. Qui si gioca a bocce e quando il tempo lo permette, specie nei fine settimana, decine di persone si riuniscono a bere birra Sternburg, grigliare carni rosse e stiracchiare gli avambracci alla ricerca del colpo perfetto. Ma adesso no. Adesso i campi sono vuoti, la ghiaia ancora umida per il temporale della notte scorsa, mentre il sentiero che corre oltre le assi, più vicino al canale, è ricoperto di pozzanghere, e allora vedi che le persone vanno e vengono, giracchiando intorno ai fossi, come su un campo minato, per evitare la fanghiglia.
C’è un uomo sulla sessantina che tiene nella mano destra un bastone prensile, con cui raccoglie pezzi di giornale, bicchieri, sigarette, e poi li butta in fondo a un sacco nero, che tiene con la mano sinistra. Indossa una giacca sportiva blu scuro, la cerniera aperta a metà che lascia intravedere una camicia a quadri bianchi e rossi. Sulle spalle uno zaino fiammante, all’apparenza molto pieno. Mi chiedo se questo intervento di bonifica sia volontario o se, al contrario, in qualche modo sia questo il suo lavoro.
Non ero mai stato a osservare l’esistenza scorrere sulla riva di Paul Lincke Ufer, e mi rendo conto adesso, mentre scrivo, di essere invaso da una sensazione di serenità straordinaria, un sentimento che riconcilia con la costellazione minima del quotidiano. Vedo un uomo ed una donna, sulla quarantina, seduti sul bordo del parapetto di cemento che si sporge sul canale. La figura della donna è frastagliata, dalla mia angolazione, da un palo della luce la cui vernice scrostata crea delle macchie di marrone, sul corpo grigio. Li sto guardando adesso da almeno quindici minuti, come una terapia: restano immobili, a fissare ciò che accade dall’altra parte della riva, mano nella mano.
Proseguo sul sentiero di terra che da Forsterstrasse si ricongiunge con l’Hobrechtbrücke. Qui la natura si fa più selvaggia, o forse, semplicemente, è solo un po’ più abbandonata. Nel corto scoscendimento che si lancia, dirupato, verso il canale, la vegetazione si fa folta e accozzata, a tratti non si riesce nemmeno a scorgere l’acqua, come se questi due, forse trecento metri, fossero un passaggio transitorio di Paul-Lincke-Ufer, un luogo estraneo al luogo stesso, una disintegrazione di sé.
Dove comincia Ohlauerstrasse, e con lei Kreuzberg, si staglia un edificio di mattoncini amaranto che riflettono in maniera così solenne i 14 gradi piovosi di questa giornata da farti quasi pensare che sì, in fondo il grigio può essere perfetto. In alto, proprio sul punto più basso degli spioventi del tetto, fissata al centro, la rappresentazione di un orso che guarda tutto dall’alto, appena sopra le cinque grandi finestre rettangolari che, una accanto all’altra, coi vetri divisi in nove quadranti, mi fanno pensare a qualcosa di antico e irraggiungibile: sono lì, le vetrate, e le posso vedere, però nascondono un segreto, che forse non riesco nemmeno a immaginare.
Eccoci, stiamo arrivando alla fine di Paul-Lincke-Ufer, l’ultimo tratto di riva che si distende sino all’incrocio con lo scorrere individualista di Kottbusser Damm. E’ un crescendo di mutazioni e di locali alla moda e di finzioni che nuovamente affiorano, sul lato destro della strada. Superato l’incrocio con Manteuffelstrasse ci si dimentica del fanatico amore per la libertà che tutto il resto della sponda porta con sé: adesso siamo di nuovo nella Berlino ansiosa di elevare se stessa al rango di metropoli alla moda.
Torno sul marciapiede che dà sull’acqua. Le mattonelle sono incastrate in modo irregolare, a volte la superficie si rialza, spinta verso l’alto dalle radici degli alberi che, una volta docili, reclamano ora tutta l’aria che gli spetta e sfondano il cemento.
Per essere se stessi, non resta altro che ritornare indietro, lungo la direttrice Sud di Paul-Lincke-Ufer, seguendo il moto d’acqua che si perde, fatale e inesorabile, verso l’Oriente.
Hauptbahnhof – Berlin Places #1
Gleisdreieck – Berlin Places #2
Potsdamer Platz – Berlin Places #3
Flughafen Tegel – Berlin Places #4
Segui Mauro Mondello su Yanez
REDAZIONE
Wale Café
Hobrechtstrasse 24, 12047 Berlin