Questa storia inizia come iniziano tante altre storie che vale la pena di raccontare, ovvero di notte e da un’idea alquanto strampalata. La notte era una fonda di giugno, l’idea era quella di comprare un camper per girare il mondo.
Per fortuna quella notte non abbiamo dormito, così il senno non ha potuto esercitare la sua noiosa arte di riportare la mente alla ragione, e noi non ci siamo ravveduti.
Un mese più tardi il mio coinquilino ed io abbiamo comprato un vecchio camper del 1989, lo stesso giorno abbiamo dato notizia al lavoro. Un altro mese è servito per i controlli, le riparazioni, l’immatricolazione. Siamo partiti da Berlino il 24 agosto con un’idea ridimensionata: scendere la costa dei Balcani, poi prendere un traghetto e ritornare in Germania percorrendo l’Italia da sud a nord, con un tempo a disposizione di tre mesi.
Questo è il mio diario di viaggio, un po’ rivisitato per chi legge. Non aspettatevi quindi una guida. Aspettatevi degli squarci di vita quotidiana, e qualche balzana riflessione sul mondo.
Leggi la prima parte di Transbalcanica QUI
18.09.2019 Montenegro, Lago Pluzine.
Pomeriggio.
Una mosca sbatte contro il parabrezza. Un poster: H2O Summer of love 2019. Il muro del negozio è scrostato. Il parcheggio costa 60 cent all’ora in alta stagione, 40 in bassa stagione. La mosca sbatte di nuovo. L’orologio ticchetta il passare di un altro minuto, sono le 11 e 38 minuti.
Aspetto Leo infossata nel sedile e il caldo mi mette sonno. Osservo i dettagli di questo paesello anche lui mezzo addormentato.
Di fronte a me c’è una fila di cassonetti della spazzatura, i moscerini attorno formano una nuvola grigia che vibra e fa bzzzz, mi sembra di sentirne il rumore.
I minuti continuano a passare, la mosca continua a sbattere, di fuori c’è solo un’immobilità gialla e soporifera.
Ma ad un certo punto.
Un’Audi sgomma di fronte al parcheggio, la guida una ragazza grassa con un cappello di lustrini blu. L’uomo seduto al posto del passeggero apre lo sportello e scende dall’auto, la musica dance a tutto volume spazza via il silenzio dalla strada.
L’uomo è alto, ritto, indossa una maglietta troppo attillata sull’addome sporgente e dei jeans chiari un poco sgualciti.
Nello scendere si porta una mano ai capelli neri imbrillantinati e io so che ha fatto quel gesto almeno un altro migliaio di volte nella sua vita, lo ha fatto magistralmente con la ragazza grassa al volante e con altre decine prima di lei, lo ha esercitato allo specchio, forse ne ha scoperto l’effetto in tenera età con la madre, per farla cedere a qualche capriccio.
L’uomo si dirige a passo deciso verso i cassonetti, c’è un ché di predatorio nel suo modo di fare, e io mi accorgo all’improvviso di non essere più infossata nel sedile, mi sono inconsciamente messa in una posizione di allerta.
Parte dal bidone più lontano, abilmente ci fruga con una mano sola senza guardare, si mette qualcosa in tasca e sorride alla sua donna, lei lo guarda come guarderebbe un anello di diamanti. Nel terzo bidone trova una canottiera rosa da bambina, se la appoggia sul petto improvvisando un balletto. La ragazza nell’auto si porta le mani alle guance e inclina la testa di lato.
Gli ultimi due cassoni sono infruttuosi, ma l’uomo sembra soddisfatto. Si accende una sigaretta e adagio ritorna verso la macchina.
Però a due passi di distanza esita un attimo, si ferma. Io trattengo il respiro. Gira la testa verso di me e mi studia qualche secondo strizzando gli occhi. Prende una boccata di fumo. Dà un occhio alla targa e infine le labbra gli si stirano lentamente in un sogghigno.
Hey Maedchen. Herzlich willkommen in Montenegro!
Grida.
18.09.2019 Montenegro, Lago Pluzine.
Mattino.
La strada che da Sarajevo va in Montenegro vale da sola un viaggio. Ci arriviamo seguendo il fiume Tara, sopranominato la lacrima d’Europa per le sue acque chiare. Guidiamo lenti fra i boschi verde muschio – qui capisco perché i veneziani gli hanno dato questo nome, per il verde petrolio dei suoi alberi a nord – lungo le strade strette e sterrate, ci infiliamo in passaggi angusti dominati da muri di roccia alti e frammentati, per poi sfociare e diluirci in ampissime distese di pascoli e praterie. Per 82 km il Tara scorre fra le pareti di un canyon che è il secondo più profondo del mondo, e solo a percorrerlo si viene infusi per transizione da un senso di maestosità.
Il Montenegro si annuncia con un effetto vedo non vedo: dopo il confine passiamo una decine di brevi gallerie, tra l’una e l’altra le nostre bocche ritmicamente si spalancano in un oh!di meraviglia perché dall’altra parte intravediamo quello che, in quel momento sono sicura, è il lago più azzurro del mondo.
Ci fermiamo in un paesino di montagna e scendiamo sulle rive del lago. Non esiste spiaggia, solo pantano che ti risucchia e dei lavori in corso. Io accuso il colpo della delusione della vicinanza, una sensazione affatto nuova, quante volte le cose belle è meglio lasciarle stare, perché rimangono pure lontano da te?
Testardamente non demordo. Vediamo un cartello Boat tour, chiamiamo il numero là scritto. Ad accompagnarci arriva un ragazzino che avrà sì e no 13 anni.
La barca è lenta, il paesaggio dalle acque è monotono, il sole sta per calare e si sta facendo freddo. Il ragazzino passa tutto il tempo del viaggio a guardarmi le tette. Io penso che almeno uno di noi si sta godendo lo spettacolo.
20.09.2019 Montenegro, Kotor
Mi sto mettendo la matita sugli occhi. Mi guardo. Mi piace guardarmi allo specchio. Non mi trucco da giorni e penso a quando ero ventenne e non andavo struccata nemmeno a prendere il pane nel negozio sotto casa. Il negozio di alimentari era dei miei genitori. Era letteralmente al piano di sotto.
Dico a Leo, che è di là che si cambia, Mi manca prepararmi per uscire, scegliere i vestiti, mettermi il profumo, lui annuisce ma non so se capisce, ha la stessa maglietta in tre diverse tonalità di grigio.
Approfitto di Cattaro, che ha un animo veneziano aristocratico, per mettermi un po’in tiro.
Albania veneta è il termine storico con cui ci si riferisce agli antichi domini della Repubblica di Venezia nella Dalmazia meridionale e nella regione di Scutari, territori che oggi appartengono al Montenegro e all’Albania. Dal 1420 al 1797 essi rimasero stabilmente in mano alla Serenissima, costituendo un baluardo contro le mire espansionistiche dell’Impero Ottomano. E l’influenza italiana si vede a Cattaro, che ha una riconoscibilissima impronta veneziana nei palazzi, nelle chiese e nelle strade del centro lastricato in pietra.
Mi do una pennellata di rimmel, mi infilo un pendente all’orecchio sinistro. Indosso sempre solo un orecchino perché dall’altra parte del viso ho un anello al naso e sono fissata con la simmetria. Fu forse mia madre, che era sempre perfetta, come una statua d’avorio – e un po’, in segreto, da me pretendeva lo stesso – che mi trasmise una sorta d’obbligo morale verso la cura del corpo e l’amore estetico che oggi mi è proprio.
Le Bocche di Cattaro sono di una bellezza surreale, chissà se è anche per questo ci tengo a non sfigurare troppo, come a voler mantenere una sorta di equilibrio aggraziato con la natura, a non voler molestare l’ambiente con un surplus di sciattezza. Il poeta jugoslavo Aleksa Santic soprannominò la città la sposa dell’Adriatico, forse perché ha un fascino romantico e abbraccia il mare, lo accoglie in se stessa e, gelosa, crea profondi bacini chiusi all’esterno che la penetrano come fiordi, sovrastati da imponenti montagne scoscese.
Rimetto il rimmel nella busta, ravvivo i capelli. Poi usciamo.
Non rimarremo molto in città, fino a mezzanotte più o meno. Guarderemo un paio di negozi senza davvero esserne interessati, mangeremo in un ristorante appariscente ma poco sostanzioso, ci confonderemo in mezzo ai turisti eleganti, metteremo in piedi una piccola recita che ci vede distinti e garbati. Ma l’indomani saremo di nuovo in mezzo alla sabbia, sotto al sole che brucia, saremo sudati, indosseremo vestiti sgualciti, i nostri capelli saranno arruffati. E non ci vergogneremo dei nostri corpi sporchi.
21.09.2019 Montenegro, Budva
Poesia in spiaggia. Pance.
Pance a budino, pance a salvagente, pance come le torte fatte a strati. Pance allenate.
Pance mollicce, pance rugose, pance dure come la roccia e pance piene di cicatrici. Pance infelici.
Pance emisferiche, grasse, larghe e rotonde, pance che mostrano le costole in segno di sfida, pance infossate e pance inesistenti. Pance cadenti.
Pance che sembra abbiano la faccia. Pance impaurite e tese, pance rosse d’invidia, pance sorridenti. Pance sagge con la barba e pance trattenute dalla vergogna, pance sempre sull’attenti.
Pance che escono dall’acqua salate e pance affamate.
Pance luccicanti e preziose come diamanti, pance mogano, pance vitree bagnate e colanti.
Pance timide che non si fanno vedere sotto ai vestiti, pance spropositate. Tutte, pance sudate.
Pance che corrono, gorgogliano, saltano, pance mosse da scosse che ridono come i matti. Pance immobili sotto al sole che sembrano gatti.
24.09.2019 Montenegro, Ada Bojana
La costa del Montenegro, da nord a sud, è costellata da una serie di cittadine arroccate, che pian piano perdono il carattere veneziano e ne acquisiscono uno più greco, albanese o ottomano e infine si dissolvono in una lingua di sabbia di 12 km. Il punto finale di questa lunga spiaggia è un’isola triangolare, Ada Bojana, un tempo interamente naturista, oggi solo in parte.
Sto tornando dalla reception con in mano un rotolo di carta igienica, i bagni sono sporchi e decrepiti, ma soprattutto questa cosa della carta igienica mi fa innervosire. Il campo nudista di Ada Bojana è stato costruito negli anni ’70 e negli anni ’70 è rimasto. Anche la gente qui ha almeno settant’anni. È come se tutto fosse invecchiato rimanendo immobile in un’era: l’erbaccia ha invaso il prato, il ferro si è arrugginito sulle impalcature, il legno è marcito, i colori sulle pareti si sono scrostati, la gente si è ingrigita e raggrinzita e, ad un certo punto, le è smesso di importare.
Ma probabilmente sto esagerando, il posto non è poi così malvagio. È che negli ultimi giorni ho perso la pazienza verso me stessa e quel che mi circonda. Mi irrita tutto, soprattutto Leo, non la sua persona, ma la sua presenza, e io non mi sopporto perché non riesco a trattenere il fastidio, così finisce che mi imbestialisco sempre di più con me, con lui, con tutto il creato. Il fatto che lui non abbia alcuna colpa, anzi, che sia paziente, comprensivo e buono fino all’incomprensibile, mi manda terribilmente in confusione. Miseria, sono una palla mostruosa di stizza e bruttezza.
Io mi do alle persone che mi stanno attorno ad ondate. Non è la profondità del rapporto che rifuggo, piuttosto la sua costanza temporale. Ad un certo punto sono sopraffatta da un sentimento di sovrabbondanza che mi soffoca, mi si chiude la gola, non riesco più a parlare e inizio a sentire il veleno nelle vene, nelle ossa e nella lingua. Provo una Grande e Incontrollabile Repulsione. È una cosa che ho sempre avuto, per quanto possa ricordare. Da bambina mettevo in castigo la mia gatta quando avevo la sensazione mi stesse troppo addosso, le davo la colpa del fastidio che sentivo, che non capivo e che non riuscivo ad attribuire a me stessa. Che la responsabilità dei miei sentimenti è solo mia è un concetto che ho imparato molto più tardi. Povera Mina, la sogno ancora spesso.
L’unico antidoto al veleno che mi infetta è la solitudine, che uso per depurarmi dall’astio e per ribadire a me stessa e a chi mi sta vicino la mia preziosa – nonché presunta – indipendenza.
28.09.2019 Montenegro, Ulcinj
L’appartamento è in cima ad una collina, la stanza ha la vista sul mare e sul porto. Il tramonto è rosso come i melograni che penzolano ovunque dagli alberi, il colore è così pregno che mi aspetto l’orizzonte si metta a gocciolare. Sono seduta al tavolo in terrazzo, sto mangiando un’insalatissima Rio Mare e non riesco a togliermi la canzoncina della pubblicità dalla testa, nonostante l’abbia sentita l’ultima volta almeno dieci anni fa.
Oggi mi sono svegliata tardi, poi sono rimasta a letto ancora un’ora annusando le coperte appena lavate. Dopo pranzo sono partita senza meta ascoltando musica, che è uno dei miei piccoli piaceri più grandi, ho attraversato una pineta che odorava di balsamo, alla fine di un tunnel di pini ho trovato una spiaggia, ho fatto il bagno, poi mi sono seduta a leggere. Mi sentivo bene in un modo strano, come davanti ad un fuoco o dopo un abbraccio. Mi sono guardata intorno con più attenzione e ho notato che in spiaggia c’erano solo donne, la maggior parte nude, tante che prendevano acqua da una fonte sulla riva e se la versavano addosso. È stata un’esperienza idilliaca, come assistere ad un rito panteista, ad una danza segreta delle ninfe del bosco.
La spiaggia si chiama Lady’s beach e agli uomini è severamente preclusa. Nelle acque si riversano delle correnti sulfuree che si crede abbiano il potere di guarire dall’infertilità e da anni è un piccolo tempio esclusivamente femminile.
Finisco di mangiare mentre l’ultima fetta di sole scompare, entro in casa, mi butto sul letto. Leo viene a prendermi domani, sono sola da due giorni. Adesso ho voglia di rivederlo, di raccontargli tutto quello che di banale ho fatto e ho pensato.
Funziona sempre così: quando scappo penso sia per sempre, ma poi torno con più bene di prima.
09.10.2019 Montenegro, Doni Štoj
Alan è smilzo e basso, ha la scriminatura di lato, indossa una maglietta cachi e ha l’aria del chierichetto. Lo ha conosciuto Leo mentre ero via e io, chissà perché, me lo immaginavo peno di capelli, di peli, sporco e con un che di scimmiesco.
Alan e i suoi amici sono le prime persone della nostra età con cui stringiamo un rapporto dall’inizio del viaggio. Stringiamo un rapporto suona sufficientemente neutrale e generico, infatti molti non parlano inglese, altri li vediamo solo di sfuggita, altri ancora non ci considerano proprio.
Ci siamo spostati al di là del fiume Ada Bojana, qui alcuni di loro campeggiano dall’inizio dell’estate. Si conoscono tutti, sono come una grande famiglia e, anche se noi non ne facciamo davvero parte, ci basta assorbirne un poco la vicinanza.
Sabato sera c’è stato il party di fine stagione, è durato due giorni, ma noi non siamo stati invitati alla festa dopo la chiusura del bar. All’inizio me la sono presa, ma poi, forse, ho capito.
Non abbiamo molto in comune con loro. Prendete Nikola, ad esempio. Nikola ha venticinque anni e lavora e vive da solo da quando ne aveva tredici. Faceva firmare i documenti per la sorveglianza ai suoi vicini di casa, ma era un pro-forma per non andare in affidamento ai servizi sociali, in verità lui faceva tutto da solo.
Oppure Ivan. Ivan ha ventisei anni ed è fidanzato. Quando gli chiedo dove sia la sua ragazza mi guarda come avessi perso la testa. A casa. Io quando esco faccio quello che voglio, se conosco qualcuna ci scopo, lei lo sa, ma è così che funziona. Gli chiedo se anche lei abbia il permesso di avere avventure con altri, lui si scompiscia. Si vede che non sei di qui, ragazza tedesca.
Poi c’è Milos, il dealer ufficiale del posto. La droga gliela procura la polizia, in Montenegro funziona così, i traffici sono in mano alle forze dell’ordine.
Probabilmente loro ci vedono come i ragazzi privilegiati che vengono dalla ricca Germania e possono permettersi di viaggiare, di divertirsi, certi di avere un posto sicuro a cui fare ritorno.
E come dargli torto.
*Piccola lista delle cose preziose da sapere sul Montenegro
Il Montenegro non fa parte dell’UE, ma ha adottato l’euro.
Kotor è bellissima quanto turistica e costosa (per lo meno a confronto con gli standard del Paese). Budva è carina ma esageratamente turistica, se non siete amanti delle discoteche pacchiane e i negozi di souvenir lasciatela stare.
Esiste un grandissimo divario di ricchezza tra le località costiere e quelle montane.
I problemi principali del Montenegro sono criminalità e corruzione, che vedono protagonisti in prima persona l’élite al potere e le forze dell’ordine. Qui potete leggere un’intervista al vicedirettore di MANS, un’organizzazione non governativa contro la corruzione e il crimine organizzato in Montenegro.
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Foto di copertina: © Leo Werner
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