Questa storia inizia come iniziano tante altre storie che vale la pena di raccontare, ovvero di notte e da un’idea alquanto strampalata. La notte era una fonda di giugno, l’idea era quella di comprare un camper per girare il mondo.
Per fortuna quella notte non abbiamo dormito, così il senno non ha potuto esercitare la sua noiosa arte di riportare la mente alla ragione, e noi non ci siamo ravveduti.
Un mese più tardi il mio coinquilino ed io abbiamo comprato un vecchio camper del 1989, lo stesso giorno abbiamo dato notizia al lavoro. Un altro mese è servito per i controlli, le riparazioni, l’immatricolazione. Siamo partiti da Berlino il 24 agosto con un’idea ridimensionata: scendere la costa dei Balcani, poi prendere un traghetto e ritornare in Germania percorrendo l’Italia da sud a nord, con un tempo a disposizione di tre mesi.
Questo è il mio diario di viaggio, un po’ rivisitato per chi legge. Non aspettatevi quindi una guida. Aspettatevi degli squarci di vita quotidiana, e qualche balzana riflessione sul mondo.
03.09.19 Croazia, Porec
Siamo partiti da 13 giorni, sotto ai piedi ho una crosta nera che sembra terra secca dopo un incendio e non importa quanto strofini, non se ne va. Me ne frego. Siamo partiti da uno dei punti più a nord dell’Europa continentale, il mar Baltico, Leo ci teneva a portarmi là come prima cosa. Voleva che ci svegliassimo assieme sulla sabbia, che potessimo assieme guardare il mare. Siamo partiti e siamo arrivati di notte. Faceva freddo. Ci siamo seduti vicino al bagnasciuga con una coperta di lana e ce la siamo avvolta intorno. Non si vedeva quasi niente, solo la luce intermittente di un faro e le stelle. Si percepiva il mare dall’odore bagnato del sale e dal rumore dell’acqua e io mi immaginavo l’orizzonte blu scuro lontano, lontano come all’improvviso sembrava Berlino.
La costa baltica è una striscia chilometrica di sabbia pallida spalleggiata dai faggi e dai pini silvestri, quando la vegetazione si apre sul mare e tu sei là a guardare l’infinito di fronte a te che si spalanca, senti di essere arrivato ad una fine. I mari del nord non sono come il Mediterraneo o l’Adriatico, che ti spingono a chiederti cosa ci sia oltre, i mari del nord ti danno una sensazione di conclusione, come se dopo di loro il mondo finisse e iniziassero regni antichi che vivono solo nei sogni, oppure l’eternità dello spazio.
Dal mar Baltico siamo andati giù fino a Stoccarda, dove vive la madre di Leo, suo padre si è suicidato, pressappoco quando è morta mia madre. Ci siamo spezzati allo stesso punto della nostra esistenza individuale. Forse i paralleli storici hanno un loro spirito cosciente e si riconoscono l’uno con l’altro, si danno la mano in consolazione. La nostra storia si spalma sulla storia di chi incontriamo, siamo un gigantesco inconsapevole puzzle che compone la coscienza universale.
La famiglia di Leo è affettuosa, funzionale, ordinata, mi ricorda un po’ la mia, solo che è quasi l’opposto. Mi colpisce come vadano avanti composti nonostante il fantasma di un uomo che al vivere con loro ha preferito buttarsi da un palazzo. Sono seduta a tavola a mangiare pezzi di carne, burro e crostini e penso all’inevitabile fisiologia del dolore, che passa quando ce lo facciamo passare. Leo, ad esempio, dice che ora va tutto bene, dice cha ha capito, dice.
Partiamo di nuovo una mattina caldissima, nello scendere verso i Balcani ci fermiamo su due laghi, campeggiamo o dormiamo in qualche parcheggio imboscato, a Trieste passiamo la notte sul porto. È bella Trieste, con quella piazza che si apre come una bocca e che pare voglia ingoiare il mare. Ma questo non è ancora viaggio, il viaggio è quando finalmente vedremo il mare del sud, gli ulivi, le piante di fico, ascolteremo una lingua che non conosciamo.
Eccola la Slovenia, che si apre come le gambe di una donna profumata e ci regala alberi bassi, boschi e odore di oliva.
Ci fermiamo a Strugnano una giornata, ci arrampichiamo sulle scogliere e scendiamo alla Baia della Luna, una stretta passeggiata di sassi spinosi e scivolosi che contorna le scogliere più alte dell’Adriatico e si apre su un mare blu giacinto che diventa presto profondo.
La Slovenia la vediamo brevemente, lei e il suo pezzetto di costa a fatica rosicato all’Italia e alla Croazia. Mi lascia in bocca il sapore di quello che è appena iniziato e nelle ossa la fretta di vedere di più, di vedere dell’altro. Alla Slovenia, forse, non abbiamo reso giustizia.
Al confine con la Croazia ci fermano alla dogana. Guidiamo un camper vecchio trent’anni, si chiama Eura, pronunciato Oira, alla tedesca. Eura è targata Berlino, è malconcia, fa fatica in salita, stenta anche in pianura, spesso piange e ci bagna piatti e vestiti. Ma è così bella. Ai poliziotti invece non piace. Ci interrogano separatamente, ci chiedono di droghe e di armi, minacciano di perquisire ogni centimetro. Ovviamente alla fine ci lasciano andare.
Siamo in Croazia. In una giornata abbiamo attraversato tre stati.
05.09.19 Croazia, da Krk a Rab
Istruzioni per non renderti infelice.
Ti svegli, non serve nemmeno che apri gli occhi, sai che lei è già là. L’indisposizione, la nebbia, l’alienazione, la non-appartenenza, la lieve tristezza che appiccica e spalma le sue dita lerce su di ogni cosa. Non chiederti nulla per ora, accontentati di gesti meccanici, ripeti quello che hai fatto ieri ed il giorno prima e quello prima ancora. Sii affettuosa con la persona che ti dorme di fianco, anche se in questo momento non la riconosci, non sai chi sia, sforzati di ricordare cosa provavi ieri, poi lasciala riaddormentarsi prima che si accorga che sei un alieno.
Fatti colazione.
Un camper è un ambiente denso e compatto, gli oggetti e gli spazi devono essere organizzati in modo preciso, catalogati, si devono adottare rigide abitudini e regole mentali per ritrovare quello che si cerca, per non perdere di nuovo e di nuovo quello che serve. La ristrettezza dello spazio a disposizione e la vicinanza di tutto con tutto fanno sì che una penna fuori posto dia l’impressione di una città dopo un tornado, la stessa devastazione.
Oggi è uno dei rarissimi giorni in cui lavorare non ti provoca i conati di vomito, tira fuori il laptop e goditi la beata possibilità di svuotare il cervello per quattro ore mentre riempi colonne e colonne Excel di inutilissime stronzate.
Finisci di lavorare nella totale indifferenza del tuo capo, scaccia con sufficienza la sensazione di inutilità personale che un lavoro inutile ti infonde.
Esci.
All’improvviso ti ricordi. Sei in viaggio, ecco perché vivi dentro ad un camper. Fai due passi, vai fino al mare. Anche nel tuo stato di alieno riesci a constatare la bellezza del posto. Ti trovi a Krk, l’isola più grande della Croazia.
Finisci di riempirti gli occhi del mare, fallo strabordare un poco, piangi senza saperne il motivo. Meglio che ti sfoghi. Ritorna al camper, alla tua mini casa, inizia a mettere a posto le cose, oggi vi spostate, prendete un traghetto per un’altra isola, Rab.
La persona che viaggia con te, che ieri si chiamava Leo, oggi non ne sei molto sicura – ma non sei nemmeno sicura del tuo di nome, Margherita, chi te l’ha dato questo nome lungo che si trascina e si inceppa in queste r, g e t, come ti viene da girarti quando qualcuno ti chiama? – ti viene vicino. Senti il panico che cresce, senti il rifiuto, senti il disprezzo per qualcuno che ti apprezza proprio perché apprezza te, specificatamente te fra tutte le altre persone, senti l’inadeguatezza all’amore, senti quel bisogno di essere astiosa, di fare la preziosa e di renderti odiosa, senti la necessità di rendergli chiaro che tu non sei affatto degna della sua dedizione, senti il bisogno di scappare lontano e mettere più spazio possibile fra te e questo essere umano che tenta di venirti vicino, così vicino. Senti tutto questo, lascialo salire, accumulalo, fanne una palla grassa, nera e vischiosa, poi sputala. Fai un buco e sotterrala più in profondo che vuoi, dove il fango la riempirà e la renderà pesante e non la lascerà più salire, dove i vermi la mangeranno e moriranno avvelenati, dove il fulcro della terra la brucerà e la scioglierà nella lava. Oppure riempiti i polmoni dell’aria salina e sputala via. Sputala e guardala mentre sorvola l’isola e le sue spiagge di sassi, mentre passa Ponte, questo paesino con una passeggiata costiera che è come una canzone di Battisti, dove ieri avete cenato, avevate ancora i vostri nomi e tutto era a posto, mentre passa l’isoletta di Kosljun, un sasso troppo cresciuto raggiungibile a nuoto con al centro incastonato un monastero di Francescani, mentre sorvola un pezzo di Adriatico, poi Cres, poi un altro pezzo di Adriatico, mentre si ritrova in Istria e nell’entroterra, veloce, per un attimo, scorge Hum, la città più piccola al mondo, trenta anime che ancora si radunano in piazza per eleggere il sindaco a voce, mentre arriva a Porec, nel campo nudisti dove hai iniziato davvero a sentirti in viaggio, dove, a picchi, sei stata spogliata da costumi e vestiti, e sei stata felice. Guardala mentre vola e nel volo, nel vento, si fa più piccola, sempre più piccola, ridicola nella sua piccolezza – come facevano tutte quelle cose così piccole adesso a farti paura? – e poi scompare.
Ora sei pronta. Girati verso quella persona che si sta avvicinando e di cui adesso, almeno per adesso, non hai più il terrore. Sorridi.
È così che eviti di renderti infelice.
12.09.2019 Croazia, da Rab ai Laghi Plitvice
Sono seduta fuori dal camper, tira un vento forte e tiepido. Siamo in Dalmazia, in una piccola città che si chiama Omis, un antico nido di pirati che si arrampica in alto sui monti ed è rotto a mezzo da un fiume, il Cetina.
Questa parte di Croazia non ha gli screzi del nord, i suoi contrasti. Le scogliere sono meno aguzze, le conchiglie non ti fanno sanguinare i piedi, il mare manda meno riflessi e le montagne, là sopra, si specchiano nell’acqua con meno arroganza.
Abbiamo lasciato l’isola di Rab tre giorni fa. Rab è il posto che mi ha lasciato l’impronta più marcata finora. Forse proprio perché è un’isola e io isola mi continuo a sentire. Ma non è solo questo. Rab è piccola e densa, una catena di spiagge disabitate raggiungibili solo a piedi; è varia, ha scogli, sabbia, sassi, boschi e steppa; è selvatica, con strade strette e sterrate che la rendono ardua da conoscere, problematica da esplorare. Le spiagge del nord sono sabbiose, insenature lunghe pochi metri lisciate violentemente dal vento. Attorno parte della vegetazione rinsecchita ha assunto una tinta violacea, sembra che gli alberi siano stati addobbati con delle lampade al neon.
Siamo arrivati a Rab un giorno annuvolato che prometteva tempesta e rendeva il paesaggio quasi brutale, abbordabile con circospezione. Io penso che così abbiamo visto il suo lato più vero.
Da Rab abbiamo preso un traghetto e poi abbiamo guidato per circa tre ore fino ai Laghi di Plitvice, nella Croazia interna, a metà strada fra Zagabria e la Dalmazia. I laghi sono patrimonio dell’UNESCO e si trovano nel più vecchio parco naturale croato. Offrono una scenografia pazzesca, soprattutto dall’alto e soprattutto perché le loro cascate sono delle vere primedonne. Le acque si riproducono in una serie di fiotti più o meno intensi, più o meno elevati, in una performance teatrale della natura da standing ovation. Sono recintati, però. Hanno le passerelle, le guide che starnazzano, i vecchi che annaspano, i giapponesi che procedono a stento e i percorsi segnati. Mi pare quasi che la natura sia stata ammaestrata per il piacere del pubblico pagante, che il sorprendente blu oltremare delle acque dei laghi sia il risultato di un po’ di trucco nei camerini, prima di entrare in scena. L’accessibilità alla bellezza toglie in una certa misura il piacere della sua scoperta e là ai laghi di Plitvice parte del mio godimento è amputato. Avrei voluto essere sola e libera di buttarmi nell’acqua, nuotare con quei pesci che sono sicura essere pesci felici, immergermi e immaginarmi di diventare anch’io di quel sorprendente colore blu oltremare.
La notte abbiamo dormito nel parcheggio di un ristorante a qualche chilometro dai laghi, l’unico altro mezzo là era un furgone, anch’esso targato Berlino. I ragazzi che lo guidavano erano in viaggio da aprile.
Abbiamo mangiato e bevuto per una manciata di euro, dormito di peso. Il giorno dopo ci siamo fermati a Split, una città che è rimasta quasi indomita al turismo di massa ma così preservando solo un agglomerato industriale senza sex appeal. Ora siamo ad Omis da due giorni.
13.09.2019 Croazia, Omis
Questo pomeriggio abbiamo affittato una barca. Eravamo soli e nudi in mezzo al mare, in lontananza c’erano solo un paio di barche a vela bianche che sembravano di carta. Ci siamo tuffati più volte nelle acque profonde, io ho messo della musica, poi abbiamo fatto l’amore sotto al sole guardando la terraferma immobile e distante. Abbiamo dormito sulla prua, un poco, abbracciati.
*Piccola lista delle cose preziose da sapere sulla Croazia:
La Croazia fa parte dell’EU ma non fa parte dell’Area Schengen, ciò significa che per entrare si devono passare i controlli di frontiera.
La valuta in circolazione è la kuna, 1 euro corrisponde a circa 7,4 kune. In molte occasioni è comunque possibile pagare direttamente in euro.
La costa è diventata molto turistica negli ultimi anni, si riescono però ancora a trovare spiagge isolate e poco frequentate.
Il wild camping, ovvero il campeggio fuori dalle aree adibite, è proibito ma tollerato, specialmente in bassa stagione.
Può capitare che i locali per racimolare qualche euro chiedano ai camper in sosta di pagare una quota per passare la notte, anche senza aver alcun mandato ufficiale. Se non vi mostrano un distintivo, potete rifiutarvi. E ricordate, esiste una legge europea che permette la sosta durante la notte per un massimo di sette ore, in modo che il guidatore possa riposare prima di rimettersi in viaggio. Se non ci sono segnali di divieto particolari, solo oltre le sette ore le forze dell’ordine possono intervenire.
18.09.2019 Bosnia Erzegovina, Mostar
1991. Dopo la dichiarazione di indipendenza di Slovenia e Croazia, si apre il decennio di guerre per la dissoluzione della Jugoslavia. La popolazione della Bosnia – al tempo come tutt’ora – è composta da tre gruppi: i Serbo-bosniaci, i Croato-bosniaci, e i Bosgnacchi (Bošnjak). Tutti riconosciuti come popoli costitutivi, i gruppi si distinguono per fede religiosa o cultura tradizionale residua: il cristianesimo ortodosso per i Serbo-bosniaci, il cattolicesimo per i Croato-bosniaci e l’islam per i Bosgnacchi.
Il 25 gennaio 1992, nonostante la ferrea opposizione dei serbo-bosniaci, il parlamento indice un referendum per l’indipendenza della Bosnia. Partecipa il 64% dei cittadini e il 92,7% vota a favore.
Entriamo in pancia alla Bosnia di sbieco, la penetriamo come i proiettili che ancora, ovunque, segnano i muri delle sue case, dei suoi negozi, delle sue scuole. Io mi sento calma però, mentre percorriamo il profilo dolce delle sue colline. C’è un che di pacifico nella sua natura, nel verde pastello dei suoi prati, nelle vacche che pascolano ai bordi delle strade e ogni tanto le attraversano, incuranti delle macchine che passano. Mi accoccolo sul sedile e mi abbandono alla sensazione di tenerezza che mi sovviene, concedendomi di ignorare il contrasto con la storia tremenda che l’ha segnata e di cui porta, indelebili sulla pelle, le cicatrici.
I serbo-bosniaci come risposta innalzano le barricate a Sarajevo, mentre l’Armata Popolare Jugoslava (JNA) schiera le sue truppe in territorio bosniaco, riuscendo a occuparne i punti strategici più importanti. Tutte le compagini etniche si organizzarono in formazioni militari ufficiali. Ha inizio lo scontro armato.
I serbi proclamano la nascita della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, i croati quella della Repubblica dell’Erzeg-Bosnia, comunità di croato-bosniaci. Dopo che la flebile alleanza tra croati e musulmani viene meno, il conflitto assume la forma di una vera e propria guerriglia di tutti contro tutti.
L’obiettivo generale consiste nella distruzione dell’idea di uno stato unito e multiculturale. “Urbicidio” è il termine drammaticamente efficace che in questo periodo conia un gruppo di architetti jugoslavi per indicare quello che sta accadendo nel loro paese. Uccidere la città sembra essere lo scopo principale della guerra, perché significa non solo eliminare obiettivi militarmente strategici, ma anche e soprattutto colpire irrimediabilmente i valori identitari, sociali, culturali del nemico.
È in questa cornice simbolica che va collocata la distruzione da parte delle truppe croate del Ponte di Mostar, edificato nel Quindicesimo secolo dagli Ottomani.
Ci sono orde di turisti sul ponte, tanti scivolano perché le pietre con le quali è stato ricostruito sono lisce come foche, soprattutto le donne cinesi e i loro enormi cappelli sono in difficoltà, proseguono a passettini microscopici, tenendosi per mano e formando lentissime e ciondolanti catene. Tutti fotografano tutto compulsivamente. A metà del ponte, al suo esterno, ci sono due uomini in costume. Aspettano di raccogliere venti euro dai turisti per buttarsi nel fiume.
19.09.2019 Bosnia Erzegovina, Sarajevo
Sarajevo è una città lunga e stretta, circondata dalle montagne e attraversata da un piccolo affluente del fiume Bosna, la Miljacka. Per gran parte della città, le acque della Miljacka sono profonde solo pochi centimetri. Vicino a uno dei ponti che attraversano la Miljacka, il Ponte Latino, nel giugno del 1914 viene ucciso l’arciduca ed erede al trono dell’impero austroungarico Francesco Ferdinando. È il pretesto per lo scoppio della Prima Guerra Mondiale.
Lo studio della tatuatrice è in realtà il suo appartamento. L’ho trovata digitando a caso su Facebook “tattoo studio Sarajevo”. Mentre saliamo le scale del condominio le chiediamo se le va bene essere filmata durante la seduta, Leo vuole fare un film del viaggio, si è portato da Berlino la vecchia macchina fotografica di suo padre, una videocamera e il suo computer. Lei accetta. Ci tatuiamo entrambi le coordinate della città, perché la Bosnia è la prima nazione in cui nessuno dei due è stato che vediamo assieme. Il mio è sulle costole e farlo fa un male boia.
A tatuaggio finito andiamo verso il centro. Io non mi aspetto molto, l’ingresso a Sarajevo è grigio, ci sono palazzoni uno dietro l’altro, molti dei quali cadenti, ci sono banche, negozi, caseggiati, industrie.
Camminiamo piano, in silenzio. È impossibile non notare su ogni muro i segni degli spari.
Il 2 maggio 1992, dopo l’indipendenza della Bosnia Erzegovina, Sarajevo viene completamente isolata dalle forze serbo-bosniache. Le principali strade che conducono in città vengono bloccate, così come anche i rifornimenti di viveri e medicine. I servizi come acqua, elettricità e riscaldamento vengono tagliati
Nella seconda metà del 1992 e nella prima metà del 1993 l’assedio raggiunge il suo apice per la violenza dei combattimenti. Sarajevo viene cannoneggiata da almeno duecento bunker situati nelle montagne e i cecchini sono ovunque, presenze fantasma che sparano a vista a qualunque cosa si muova.
Ma c’è un punto nella Baščaršija, l’antica zona di mercato, nella città vecchia, dove Est e Ovest si incontrano e si amalgamo: chiese cattoliche, moschee, chiese ortodosse e sinagoghe si susseguono, le genti convivono, le architetture si scambiano i connotati e d’improvviso si attraversano i secoli, le culture, le etnie. È qui che la mente non riesce più bene ad afferrare cosa, appena un attimo prima, avesse inteso con confini.
Mangiamo in un posto carino, ordiniamo quasi tutto il menù, un’ingordigia creata dall’irrisorietà dei prezzi. Poi guardiamo la città dall’alto salendo sulle mura del Bastione Giallo, visitiamo la Galerija 11/07/95, il museo sulla strage di Srebrenica, giriamo qualche locale. Ritorniamo al camper a notte inoltrata, siamo in sosta nel parcheggio di un condominio, a una ventina di minuti dal centro.
Io mi addormento prima, sento Leo infilarsi sotto le coperte un paio d’ore dopo. Ho il sonno leggero, mi sveglio per qualsiasi sciocchezza.
Non so esattamente quanto tempo più tardi sento le loro voci.
La guerra civile in Bosnia Erzegovina è una guerra fratricida, la più sanguinosa combattuta sul suolo europeo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
L’assedio di Sarajevo è il più lungo assedio nella storia bellica della fine del XX secolo, iniziato 5 aprile del 1992 e conclusosi il 29 febbraio 1996. 4 anni, 1272 giorni. Le vittime stimane sono circa 12.000 e i feriti oltre 50.000.
Sono in due, sono vicini, me li sento quasi fiatare addosso. La prima cosa a cui penso è che siano all’interno del camper e che vogliano assalirmi. Non è un pensiero logico, il furto è il pensiero più logico, ma nel mio cervello è scattato qualche circuito e non ragiono più.
Non riesco a svegliare Leo, lo percuoto e lo strattono ma è come carne morta, allora scendo dal letto soppalcato. Faccio appena in tempo a vedere la finestra aperta e le loro braccia che si trascinano dietro qualcosa. Il computer, la macchina fotografica, la telecamera, i cellulari. Quasi tutto è sparito. Chiudo la finestra in qualche modo, in quel momento anche Leo si sveglia, vede, urla, tira un pugno alla parete. Io tremo.
Mi ci vorranno giorni per liberarmi dalla rabbia per essermi sentita così impaurita e vulnerabile.
Il 21 novembre 1995 vengono stipulati gli Accordi di Pace di Dayton, i quali decretano la fine della guerra in Bosnia Erzegovina. Gli accordi contengono anche la nuova costituzione bosniaca: con un impianto tripresidenziale, il sistema politico bosniaco diventa tra i più complessi al mondo. Da tale complessità derivano tante delle difficoltà che il Paese sta affrontando dal 1995. Non solo. La Bosnia deve risanare molte delle ferite di guerra, compresi i crimini di guerra non processati, deve dare asilo ai suoi rifugiati, deve affrontare la disoccupazione, la corruzione, il razzismo e la microcriminalità.
*Piccola lista delle cose preziose da sapere sulla Bosnia Erzegovina:
La Bosnia Erzegovina non fa parte dell’UE. La valuta in circolazione è il marco bosniaco e l’euro non viene accettato, 1 euro corrisponde attualmente a 1,95 marchi.
Per circolare in auto bisogna possedere la carta verde. Se non ce l’avete potete acquistarla al confine per 20 euro, oppure potete corrompere le guardie con 20 euro, come abbiamo fatto noi.
Il turismo non è ancora esteso, per questo i prezzi quasi ovunque sono ancora bassissimi. C’è molta povertà. La gente ha la scorza dura, ma ti aiuta quando e come può.
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Foto di copertina: Plitvice Lakes (Plitvička Jezera), Plitvička Jezera, Croatia © Robert V. Ruggiero
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