Illustrazione di copertina di Sofia Bordini
Questo racconto è parte della campagna Unite. Azione letteraria a cui hanno aderito scrittrici e giornaliste italiane per denunciare la violenza di genere e nominarla.
È stato letto a uno degli incontri di Café Books, il reading pubblico organizzato da Le Balene Possono Volare a Berlino.
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Arrivano da ogni dove con parole che sconvolgono: denunce marchi a fuoco trigger warning sullo smartphone. Arrivano negli articoli, sui social, dai vocali di un’amica. Arrivano in obliquo, in verticale: perforano le mura, il tetto, il pavimento. In un giorno, forse due, la casa è già una bocca spalancata. La luce da ogni lato ci costringe agli occhi chiusi; solo di notte, al buio, sussurriamo. Hai sempre detto che era troppo cupa, cerchi di sopirmi, Fai silenzio, rispondo: che il mondo non ci senta, che lo spazio tra di noi non si cancelli.
Della ragazza scomparsa abbiamo parlato poco. L’ex fidanzato geloso, le videocamere, le percosse: poco mistero per i true crime che vergognandoci abbiamo sempre amato. Abbiamo letto della sparizione e una pianta rampicante è strisciata dal balcone alla finestra; increduli, l’abbiamo vista crescere di colpo: un mosaico di quadrati, luminosi e ciechi. Quando hanno trovato il corpo, un bocciolo si è dischiuso con un urlo. È ancora qui: ci guarda ogni giorno, in posizione eretta, l’occhio giallo e verde a giudicarci.
Venticinque coltellate alla ragazza poi lo sdegno, le denunce, i racconti delle donne che rimbalzano su uno specchio enorme che non le ha mai riflesse. Proteggi la casa con gli arazzi, i ponteggi, io ti aiuto, faccio poco, Vuoi parlarne, mi chiedi, Di cosa, rispondo.
Un sibilo, mi volto. L’occhio giallo e verde è su di me. La gola pulsa il battito di un tempo altrove. Defezioni cessi sporchi. L’occhio giallo è una raggiera. Merda rappresa sangue mestruale. Si allarga espande urla. Dildi nei bambini vibratori sugli infanti. La pianta si erge austera. Non è quello che è accaduto, bruisce seria. La fisso. Radice biforcuta di un tempo che acceca, ti riconosco. Chi ti ha piantata, come sei fuggita: ti ho stretta nel pugno per torcerti in polvere. Racconta, chiede dolce. Brilla in un bagliore d’ombra, è un crepuscolo ametista. Piange.
Tappeti carta cotone metallo: la casa si disserra. Un tempo lontano una casa un uomo. Il tempo (lunghissimo) la casa (la mia) il mio uomo: l’uomo. Ricordi cuciti con gli interstizi, i vuoti, sineddoche metonimie ossimori di senso (violenza confessione colpa: confessare, quale colpa). La bocca tappata con la mano del mondo. Immagini false per un sentimento sporco.
La pianta benigna aspetta la denuncia. La mia. Le mani in preghiera, mi inginocchio. Perdonami: vorrei tanto. Non riesco.
Enrica Fei. Nata a Firenze, ha vissuto e lavorato nel Medio Oriente, a Londra, e ora è a Berlino. È ricercatrice e traduttrice dall’arabo e dal francese. Suoi traduzioni, racconti, articoli e recensioni sono apparsi su varie riviste, tra cui Arabpop, L’Inquieto, Altri Animali, Quarta Corda, Marvin, Spazinclusi, Minima & Moralia, In Fuga dalla Bocciofila. Il suo racconto Il giorno 0 (Quarta Corda, 2021) è apparso sulla rivista americana Another Chicago Magazine nella traduzione di Rachele Salvini.
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