foto di Peter Kollbach*
Al di là, c’era il Tiergarten. Lasciai il viale e mi inoltrai fra gli alberi. A parte il rombo delle granate in volo e le detonazioni lontane, il parco era stranamente silenzioso.
Jonathan Littell
Queste parole sono del protagonista de Le Benevole, il monumentale romanzo di Jonathan Littell sul nazionalsocialismo, scritto nel 1995. Siamo alla parte finale del libro, alla resa dei conti. I russi sono oramai nel centro di Berlino, Maximilien Aue, questo il nome del personaggio che racconta la storia in prima persona, entra nel grande parco centrale di Berlino. Il piano di Aue per salvarsi la pelle è tagliare per lo Zoo, arrivare a Charlottenburg e far perdere le tracce:
Quella parte dello Zoo era completamente inondata: i bombardamenti avevano sventrato la Casa del mare e gli acquari fracassati si erano sparsi intorno, rovesciando tonnellate d’acqua, sparpagliando per i viali pesci morti, aragoste, coccodrilli, meduse, un delfino ansimante che, sdraiato su un fianco, mi osservava con occhio preoccupato. (…) Entrai in un edificio mezzo distrutto: in una grande gabbia era seduto un immenso gorilla, morto, con una baionetta conficcata nel petto. (…) Al di là di quell’edificio si stendeva un grande stagno chiuso: nell’acqua galleggiava un ippopotamo, morto, con lo stabilizzatore di una granata da mortaio piantato nel dorso; un altro giaceva su una piattaforma, crivellato di schegge, e agonizzava con un grande ansito pesante.
Questa scena apocalittica descritta da Littell può essere presa come memento del tramonto del Großer Tiergarten, il grande parco centrale di Berlino. Tiergarten abbraccia l’intera storia della capitale tedesca, c’era già quando le due comunità di Cölln e Berlin, nel 1237 come attestano i documenti, formarono il nucleo medievale originario della città. All’epoca, ad ovest dell’insediamento, c’era una foresta fluviale paludosa a ridosso della Sprea, che in quel punto scorre a serpentine lungo la Warschau-Berliner Urstromtal, la valle proglaciale che si trova fra Varsavia e Berlino. Quando il secondo esponente della casata degli Hohenzollern, Federico II di Brandeburgo detto «Dente di ferro», principe elettore dal 1440-1470, decise di costruirsi un castello (il Berliner Schloß), fece recintare anche un’ampia area a ovest dello stesso, come si conveniva ad una residenza nobiliare dell’epoca. Del Kurfürst Johann Cicero (1486-1499) sappiamo che praticava volentieri il Vogelfang, la tecnica di catturare gli uccelli, ma affinché si possa parlare di un Tier- “garten”, cioè di un terreno con recinzione per tenerci dentro gli animali e cacciarli, occorre attendere il 1600, quando le fonti parlano esplicitamente di Zäune (recinzioni).
I primi, timidi accenni di sviluppo di un parco furono spazzati via dalla guerra dei Trent’anni (1618-1648). Fu grazie alla politica di tolleranza verso ebrei e minoranze protestanti (a differenza di quello che era successo circa cento anni prima, quando gli ebrei erano stati perseguiti e scacciati dal Brandeburgo) del Kurfürst Federico Guglielmo, divenuto il regnante principe elettore nel 1640, che Berlin-Cölln poté popolarsi di nuovo. Il Grande Elettore, così fu soprannominato Federico Guglielmo dopo aver sconfitto gli svedesi nella battaglia di Fehrbellin del giugno 1675, fece ricostruire il castello, aggiungendoci la piacevole estensione barocca del Lustgarten, e non si dimenticò certamente del Tiergarten. Nel 1657 si cominciò a rimettere a posto la recinzione, furono piantate querce e introdotti esemplari di cervi, daini e caprioli da altri distretti e riserve di caccia. Il fatto che il pascolo dentro il Tiergarten fosse vietato è un indizio per gli storici per inferire che i campi e i terreni dei contadini dei paesi circostanti si trovassero dentro l’area del Tiergarten. Già a quei tempi, all’interno della foresta, erano stati tracciati i primi sentieri rettilinei che ancora oggi caratterizzano la struttura dei 210 ettari del parco.
Una passeggiata a Tiergarten nel periodo fra il 1946 e 1949 significava osservare un orizzonte di rovine senza fine, non importa da quale punto di osservazione; e Tiergarten stesso, o meglio, ciò che costituiva la sua bellezza, la crescita della foresta, era del tutto scomparso.
Willy Alverdes
Wilhelm “Willy” Alverdes, nato in Turingia nel 1896, ma berlinese di adozione, è stato un appassionato orticoltore, botanico e architetto paesaggista, con particolare interesse per i giardini storici. Alverdes era una persona apolitica, che si interessava solo dei suoi studi. Il suo rifiuto del nazionalsocialismo non fu tanto dovuto all’avversione ideologico-politica, quanto al fatto che, come riportano i documenti, «la gente era troppo volgare per lui». Detto questo, Alverdes ha combattuto su diversi fronti nella Seconda guerra mondiale, è stato fatto prigioniero dagli inglesi e rilasciato alla fine della guerra. Torna a casa in Turingia, ma vi trova i sovietici, che lo arrestano di nuovo fino al 1949, quando potrà tornare nella “sua” Berlino.
Ai tempi del ritorno di Alverdes a Berlino il Großer Tiergarten era stato trasformato dai cittadini in un enorme distesa di campi di patate e verdure: orti separati da piccoli terrapieni creati accumulando le macerie. Tutt’intorno, un panorama di edifici antichi bruciati, che in foto sembrano fantasmi. Con il permesso del British Army, 200.000 alberi del parco furono abbattuti dalla popolazione e fatti diventare legna da ardere, per far fronte ai due rigidissimi inverni del 1946 e del 1947. Alla fine, rimasero 700 gloriose piante, che hanno svolto una funzione fondamentale per la ricrescita della foresta, dando protezione alle specie vegetali più delicate e sensibili.
Nell’aprile del 1950 Alverdes viene nominato dal Magistrat di Groß-Berlin direttore del parco di Tiergarten, carica che ricoprirà fino al 1961, assieme al più ampio ruolo di responsabile della gestione del territorio di tutto il distretto di Tiergarten (dal 1920 al 2000, Tiergarten è stato infatti un Bezirk, un distretto. Oggi è un quartiere dentro il Bezirk di Mitte). La priorità assoluta per Alverdes era naturalmente la riforestazione. Tutta l’area del parco era appestata da grandi nuvole di polvere, che spesso si trasformavano in vere tempeste di sabbia. I lavori iniziarono presto e dettero occupazione a migliaia di persone, in una città piena di disoccupati. Il primo tiglio fu piantato il 17 marzo 1949 su Hofjägerallee dal sindaco Ernst Reuter. Il progetto di Alverdes risultò fortemente condizionato dalla situazione postbellica e dalla necessità di far ricrescere la foresta nel minor tempo possibile, anche per portare un po’di ottimismo fra la popolazione.
L’opera di WiIlly Alverdes era ispirata dal mondo naturale e dalla sua religione per le piante. In un recente volume miscellaneo su Tiergarten uscito nel 2019 (Tiergarten, Landscape of Transgression (this obscure object of desire)) si legge che Alverdes riteneva imprescindibile per l’essere umano il rapporto stretto con la natura: credeva nel potere delle piante ed era convinto che le loro forme e stili di vita avrebbero permesso agli individui di accrescere il proprio Lebensgefühl, la gioia di vivere. Nel suo lavoro cercava di integrare le nuove scoperte della sociologia delle piante con le scienze naturali, applicandole ai complessi ecosistemi del parco. Anziché costringere le piante a vivere irregimentate in forme determinate, come è tipico di politiche di conservazione più convenzionali, fece crescere spontaneamente una serie diversificata di boschi e foreste, «intensamente interconnessi dal punto di vista ecologico», in una sorta di emulazione di uno stato naturale. Alverdes è uno dei primi esponenti di quella filosofia dell’ecologia e della pianificazione territoriale che si mette in moto proprio negli anni 50, e che costituirà per Tiergarten uno dei modelli di sviluppo, che, come vedremo, con la costruzione del Muro di Berlino nel 1961 subirà un’accelerazione.
…che tutti i cani trovati incustoditi in Tiergarten saranno abbattuti a colpi di pistola, e che i proprietari dei cani saranno multati di due talleri
Regolamento del Consiglio del Demanio e della Guerra per i territori imperiali, 1792
Con la morte del Grande Elettore Federico Guglielmo (1688 in Potsdam), Tiergarten smette progressivamente di servire da riserva di caccia e si trasforma, a partire dal 1742, quando vennero rimossi gli ultimi resti della recinzione perimetrale (siamo nell’epoca di Federico il Grande, re di Prussia dal 1740 al 1786), in un parco in stile barocco aperto al pubblico. La graduale metamorfosi di Tiergarten era iniziata al tramonto del XVII secolo, allorché Federico III di Brandeburgo, uno dei figli di Federico Guglielmo (e dal 1701 primo re di Prussia con il nome di Federico I) cede in dono alla consorte Sophie Charlotte von Hannover un piccolo paese di nome Lietzow (dal XVIII secolo attestato anche come Lützow), collocato lungo la sponda meridionale della Sprea, circa sette chilometri ad ovest di Tiergarten. Qui, nel 1695 la giovane regina fondò una piccola città e fece costruire il proprio castello, che già nel 1705, ovvero quando Sophie Charlotte morì all’età di soli 36 anni, prese in suo onore, così come la città, il nome di Charlottenburg. Per rendere possibile quindi il collegamento fra Berlin-Cölln e Charlottenburg, che sarà residenza estiva degli Hohenezollern fino al 1888, il re Federico I pensò di tracciare, come proseguimento del viale Unter den Linden, una via di comunicazione rettilinea all’interno del Tiergarten, così da assicurare un rapido collegamento fra le due residenze reali. Pressappoco a metà del tragitto si rese necessario allestire una piazzola di sosta, perché il fondo terroso e irregolare rendeva difficile e lungo il viaggio delle carrozze. La piazza venne fatta a forma di stella, visto che da lì si dipartivano a raggiera altri viali all’interno della foresta, e per questo fu chiamato Großer Stern.
Con Federico II di Prussia, detto il Grande, la foresta di Tiergarten viene affidata alle cure dell’architetto Georg Wenzeslaus von Knobelsdorff (1699-1753), sovrintendente ai castelli e ai giardini della corona, e assume lentamente la forma di un parco pubblico. Knobelsdorff modellò Tiergarten secondo i canoni dell’estetica tardo barocca, intersecando i viali secondo simmetria e proporzione, costruendo labirinti, fontane, giochi d’acqua, stagni ornamentali e sculture. Charlottenburger Chaussee, oggi Straße des 17. Juni, venne allargata e abbellita con due file di tigli su entrambi i lati. Anche il Großer Stern subì delle modifiche: la piazza fu circondata da siepi e faggi; lungo il suo perimetro furono sistemate, sullo stile dei parchi alla francese, 16 statue in pietra arenaria di antiche divinità, che la tradizione chiama die Puppen. Il grande slargo divenne il centro di un sistema di assi stradali e visivi che correvano all’interno del parco e convergevano nella piazza a forma di stella. Uno di questi viali, che si chiama ancora oggi Fasanerieallee, conduceva in direzione sud-ovest alla Fasanerie, l’embrione dell’attuale giardino zoologico, nato nel 1844.
“An den Zelten” (alle tende), nel bordo settentrionale di Tiergarten a ridosso della Sprea, dove si trova oggi l’edificio dell’Haus der Kulturen der Welt, era a quei tempi la zona più frequentata del parco. Se vi si passa oggi, oltre a sperimentare ancora l’unico confine storico rimasto (gli altri sono stati cancellati dall’urbanizzazione) si distingue bene la piazzetta erbosa semicircolare da cui partono sette viali (sette come il numero dei principi elettori tedeschi autorizzati a eleggere l’imperatore). La piazza fu fatta costruire dal primo re, Federico I, e in origine si chiamava Kurfürstenplatz, ma cambiò nome in Zeltenplatz, dopo che nel 1745 gli ugonotti avevano ottenuto dal re il permesso di mettere le loro tende per vendere le bevande a chi passeggiava nel Tiergarten. Sono della fine del secolo anche le passeggiate solitarie, a caccia di muschi e licheni, di Alexander von Humboldt, che descrive il parco di Tiergarten nel 1789 come una «foresta pluviale», un universo sonoro che lo circonda e gli tiene compagnia, facendogli venire in mente la metafisica di Leibniz, ove vita e materia sono la stessa cosa (Tiergarten, Landscape of Transgression, 223).
Quando la natura non era realmente dominata, l’immagine del suo non-esser-dominata terrificava. Da qui la predilezione che da tempo fa specie per ordinamenti simmetrici della natura.
Theodor W. Adorno, Teoria estetica, 1970
Le vicende di Tiergarten durante il XIX secolo riflettono la rivalità fra le due opposte visioni dell’arte del giardinaggio che si erano delineate in Europa già da alcuni decenni: il modello formale del giardino francese, elaborazione del giardino all’italiana, e la predilezione romantica per la natura del giardino all’inglese. Non si trattava soltanto di una questione estetica: la preferenza per un tipo o l’altro di giardino poteva diventare una seria questione politica. Ridotto ai minimi termini il conflitto in gioco era quello fra la borghesia liberale inglese, che aveva già sottratto alla monarchia e alla nobiltà parte del potere con il Bill of Rights del 1688 e che pertanto concepiva il giardino alla francese come rappresentazione assolutistica del potere aristocratico, e la stessa monarchia, rappresentata esemplarmente dai maestosi parchi e giardini della reggia di Versailles, progettati con l’espressa intenzione di trasmettere la siderale distanza fra il re e gli altri comuni mortali, incutendo asservimento e timore ai visitatori del parco.
Tiergarten è influenzato da entrambe le correnti. I primi influssi dello stile inglese si hanno già a partire dal 1784, quando il principe Augusto Ferdinando, fratello minore di Federico II, acquista una cascina all’interno di Tiergarten, dove aveva vissuto anche Knobelsdorff, e la trasforma in un castello a tre ali. La veduta panoramica che si presentava dal salone del castello, con lo sguardo che poteva spaziare a ovest fino a Charlottenburg e a nord fino ai giardini di Moabit, ispirarono il principe a chiamare il castello Bellevue, dal 1994 residenza del Presidente della Repubblica tedesca. Ben presto, sul terreno dietro la propria dimora, il principe Augusto Ferdinando fece crescere un giardino secondo i canoni paesistici all’inglese: sentieri curvilinei che serpeggiano nella vegetazione lungo il corso dei ruscelli; aiuole e siepi che si trasformano in vegetazione spontanea; stagni naturali al posto di vasche e fontane.
Chi sviluppò ulteriormente questa sensibilità estetica all’interno di Tiergarten fu l’architetto e giardiniere Justus Ehrenreich Sello (1758-1818), il quale, in onore a Jean-Jacques Rousseau e al suo “ritorno alla natura”, trasformò nel 1792 uno dei corsi d’acqua in un laghetto con sponde ricche di insenature, con al centro una sentimentale isoletta dedicata al filosofo svizzero-francese. La Rousseau-Insel si trova a poca distanza da un’altra isola più grande, la Luiseninsel, nel settore sudorientale di Tiergarten, dove i berlinesi andavano e vanno ancora volentieri a passeggiare.
La forma che Tiergarten assunse nel 1835, dopo la ristrutturazione ad opera di Peter Joseph Lenné (1789-1866) – direttore generale dei giardini della corte reale sotto Federico Gugliemo III e Federico Guglielmo IV -, è quella che poi il parco ha mantenuto fino alla sua distruzione nella Seconda guerra mondiale. In una città investita dalla Rivoluzione industriale e in piena espansione demografica (Berlino passò da 330.000 abitanti nel 1803 a 409.000 nel 1847), Lenné introdusse elementi paesaggistici all’inglese, come i grandi spazi aperti che si vedono ancora oggi (ma il cui uso all’epoca era vietato al pubblico), mantenendo però il sistema dei viali barocchi di Knobelsdorff come fondamentali vie di comunicazione. Nel soffocante clima politico di quegli anni, Lenné dovette inoltre assecondare la volontà dei re di Prussia di trasformare Tiergarten in una sorta di parco nazionale prussiano per l’edificazione del carattere morale dei cittadini.
Berlino desiderava un parco cittadino che fosse quasi una foresta naturale, qualcosa di affascinante come può esserlo solo la natura al di fuori dei centri urbani
Willy Alverdes
Alle vicende di Tiergarten nel dopoguerra abbiamo già accennato con la figura di Willy Alverdes. Con lui, la sintesi barocco-paesaggistica che il parco aveva assunto nell’800 cessa di esistere e Tiergarten subisce un radicale mutamento di paradigma, coprendosi di una fitta coltre di foresta, ricca di sottobosco, con le grandi radure di Lenné accessibili alla popolazione. Tutto in Tiergarten – dagli stretti sentieri che si inoltrano nella fitta macchia dei rododendri, alle numerose nicchie e insenature che proteggono l’alta biodiversità delle specie animali e vegetali – doveva contribuire a suscitare nel visitatore l’impressione di trovarsi a contatto con una natura allo stato vergine.
Nel suo progetto Alverdes si attenne allo schema generale disegnato da Lenné nell’800, tenendosi però alla larga da qualsiasi intento di ricostruzione storica. Ritenne non più al passo con i tempi il sistema barocco dei viali e si oppose al recupero di molte aree storiche. Al contrario, piantò diversi gruppi di alberi (pinete, querceti, salici, pioppi, carpini) studiando nei dettagli i comportamenti di ogni singola colonia e favorendone le caratteristiche. In tale direzione va intesa la sua decisione di far crescere piante più sensibili e a sviluppo lento (come il faggio e la quercia) in mezzo ad alberi a rapida crescita (come il pioppo, la betulla e il frassino) che dovevano proteggere gli esemplari più delicati. Dopo trent’anni, gli alberi “pionieri” sarebbero stati abbattuti per lasciare spazio alla crescita degli altri. La temperie politica della seconda metà del Novecento (in particolare la nascita del movimento ambientalista) e le vicende interne della città (dal 1975, per abbattere anche un solo albero era necessaria l’approvazione dell’assemblea di distretto) fecero abbandonare il piano di Alverdes. La conseguenza fu che la parte orientale di Tiergarten, soprattutto dopo la costruzione della Entlastungsstraße, si trasformò a pochi passi dalla Porta di Brandeburgo in una foresta rigogliosa e lussureggiante, in cui per anni selci, poiane, falchi, gufi e civette vi hanno trovato il proprio habitat (La Entlastungsstraße, strada di scorrimento, fu realizzata nel 1961 dopo la costruzione del Muro di Berlino e serviva a decongestionare il traffico di Berlino Ovest).
Come una specie di Robinson Crusoe alla rovescia, che costruisce una recinzione per racchiudervi tutto ciò che può essere messo in salvo della civilizzazione, la città rispose alla sua condizione di isola all’interno della Germania Est cercando di inglobare la natura all’interno dei suoi confini urbani
Irenee Scalbert, London After the Green Belt, 2013
Con la costruzione del Muro, Berlino diventa improvvisamente l’avanguardia mondiale nel campo degli studi dell’urban ecology, termine usato dall’allora direttore del dipartimento di ricerca in sistemi ecologici della Technische Universität Herbert Sukopp per ridefinire il modo di intendere l’ecologia nel contesto urbano (prima il concetto si applicava all’ambito sociologico). Gli scienziati e gli ambientalisti di tutto il mondo sono attratti dalla posizione insulare di Berlino e soprattutto dal fatto che «il regno urbano si era trasformato in un esotico ed emozionante campo di ricerca senza precedenti» (Tiergarten, Landscape of Trangression, 228).
Le condizioni della città pongono i presupposti per la nascita di nuove politiche ecologiche, supportate dalla crescente consapevolezza di quasi tutta la popolazione dell’importanza della protezione della natura. Alternative Liste für Demokratie und Umweltschutz (Lista alternativa per la democrazia e la protezione della natura), che più tardi sarebbe diventata il partito tedesco dei Verdi, fu fondata nel 1978 proprio a Berlino. In questo contesto si inserisce anche l’approvazione da parte del Senato berlinese (30 gennaio 1979) di un “programma di conservazione delle specie” (Artenschutzprogramm), una serie di parametri normativi che porteranno poi alla realizzazione dell’impresa della mappatura di tutti i biòtopi della città, completata per la prima volta da Sukopp e il suo gruppo nel 1984 (il biòtopo è la componente fisica e chimica di un ecosistema). La mappa di Sukopp, che comprendeva «flora, fauna e altri fattori ecologici di tutte le zone della città», era qualcosa di radicalmente nuovo, perché interpretava la città secondo categorie botaniche e zoologiche, spiega Sandra Bartoli, architetto costruttivista e curatrice del volume su Tiergarten, e soprattutto documentava un modello di sviluppo del parco in cui «il convenzionale antagonismo fra città e natura era dissolto». Era la prima volta che un progetto per Tiergarten era pensato con lo scopo di proteggere e salvaguardare la vita delle specie animali e vegetali del parco.
Policies of neglect, politiche di non manutenzione ben ponderate, questo suggeriva l’Artenschutzprogramm: cure ridotte al minimo, mucchi di foglie lasciati sul terreno, alberi che possono crescere liberamente senza essere amputati, così da sviluppare crepe e cavità che permettono agli animali di nidificare. Questa «amorevole indifferenza e dimenticanza», scrive Bartoli, questa mentalità del laisser pousser, del lasciar crescere, ha contraddistinto l’esistenza di Tiergarten dal 1960 al 2006.
un uomo altamente competente che possa dire al Senato: my way or the Highway!
Klaus von Krosigk, ex direttore Landesdenkmalamt Berlins, auspicando per Tiergarten un direttore con pieni poteri decisionali
Per favorire la biodiversità, l’Artenschutzprogramm suggeriva di lasciare incolte tutte le aree verdi della città, anche le più piccole e recondite, e proponeva di classificare Tiergarten come Landschaftsschutzgebiet, zona a tutela ambientale. In effetti, intorno al 1975-76, c’era stata l’opportunità di inserire Tiergarten nella lista delle aree naturali protette, cosa che avrebbe comportato per il parco molte più restrizioni e vincoli rispetto a una zona a tutela paesaggistica. Invece, nel 1991, Tiergarten è stato dichiarato Gartendenkmal (giardino monumento) e posto sotto la tutela del Landesdenkmalamt di Berlino, l’autorità per la tutela dei monumenti e dei beni culturali, con il conseguente scivolamento in secondo piano degli aspetti ecologici: questo è stato fatale per le sorti del parco.
Stando a ciò che scrivono alcuni degli esperti, la gestione di Tiergarten da parte delle autorità cittadine in questi ultimi trenta anni è stata del tutto fallimentare: «L’amministrazione di Tiergarten sta attualmente dando la priorità ad una concezione ideologica di conservazione e salvaguardia del patrimonio che favorisce ricostruzioni dilettantistiche rispetto a considerazioni di tipo ecologico», scrive ad esempio Sandra Bartoli (Tiergarten, Landscape of Transgression, 232).
In particolare, gli strali di una certa critica sono si sono diretti su Klaus-Henning von Krosigk, direttore dell’orticoltura (Gartendirektor) dell’Ufficio per la protezione del patrimonio culturale (Landesdenkmalamt) di Berlino dal 1978 al 2011. Fra il 2006 e 2009 von Krosigk, ispirato dall’idea di ridisegnare Tiergarten secondo i piani di Peter Joseph Lenné, ha attuato degli interventi di restauro che reintroducono nel parco elementi storici barocchi. La vicenda del restauro del Venus Basin (completato nel dicembre 2009), il lungo e stretto specchio d’acqua situato nella parte orientale che risale al progetto tardo barocco di Georg Wenzeslaus von Knobelsdorff, è solo l’esempio più eclatante di una serie di interventi guidati più da principi estetici e “artistici” che ecologici. Luise Rellensmann, studiosa e ricercatrice in critica dell’architettura, si esprime in maniera molto critica nei confronti di von Krosigk: «(von Krosigk) non solo ha sacrificato tutto il lavoro di Alvardes, ma ha anche cancellato uno strato che apparteneva alla Berlino del dopoguerra (esistente da più di cinquant’anni), con lo scopo di ricreare la sua personale interpretazione storica di Tiergarten» (Tiergarten, Landscape of Transgression, 61).
Il “vizio di forma” di una certa mentalità tedesca, continua Luise Rellensmann, riguardo all’idea di tutela e conservazione del patrimonio culturale e ambientale, è quello di interpretare il parco come un mero Gartenkünstlerisches Denkmal, un monumento di arte del giardinaggio, qualcosa che evoca subito l’immagine «di piedistalli e palazzi, realizzati da un unico genio creatore o artista originale». Molti progetti dell’amministrazione cittadina, e fra questi il Parkpflegewerk, il piano di cura e manutenzione redatto nel 2016, partono dalla premessa concettuale che Tiergarten sia un parco imperfetto, che necessita di interventi per competere con parchi a più alta attrazione turistica come il Central Park di New York o Hyde Park di Londra, i quali però presentano una biodiversità molto più bassa rispetto al parco berlinese.
Già dal 2009 c’era stato un forte incremento di sentieri “storici”, con conseguente riduzione della vegetazione e della biodiversità. Il Parkpfegewerk del 2016 prevede numerosi interventi di questo tipo, alcuni realizzati e altri in fase di progetto, che vanno nella direzione di rendere più attraenti e accessibili molte zone di Tiergarten. Una delle operazioni purtroppo già compiute riguarda un grande faggio, che si ergeva fino al 2018 nei pressi del rondò del Großer Stern. L’esempio è riportato dall’urbanista ed ecologista Angela von Lührte durante un’escursione a Tiergarten, in cui stava mostrando ai suoi studenti di architettura tre grandi cavità nel tronco del grande albero, da una delle quali si poteva udire il pigolio di pulcini, probabilmente di picchio. Il tutto a poche decine di metri dal Siegessäule. Dal 2018, continua l’autrice, il faggio non c’è più: solo per far spazio a delle file ben allineate di giovani tigli della stessa misura (Tiergarten, Landscape of Transgression, 222). Fra i progetti non ancora andati in porto vi è quello che propone di costruire dei ponticelli tra le isolette, altrimenti inaccessibili, del Neuer See – il lago nella parte occidentale del parco, vicino al popolare Cafè am Neuen See. Se una cosa del genere venisse realizzata, scrive Bartoli, andrebbero distrutti tutti i delicati e preziosissimi santuari degli uccelli presenti su queste piccole oasi.
Intorno al concetto di heritage, spiega Luise Rellensmann, si sono da sempre – o almeno da quando architetti, storici dell’arte e filosofi hanno cominciato a rifletterci sopra – confrontate due differenti e inconciliabili concezioni di conservazione del patrimonio: quella di un restauro che si pone il fine di raggiungere un’unità di stili, e quella che ne riconosce il valore temporale, «il suo carattere dinamico e versatile, il cui significato è generato dai valori che ha acquisito con il tempo» (Tiergarten, Landscape of Transgression, 59-60).
Le politiche di manutenzione e conservazione di Tiergarten in questi ultimi decenni hanno privilegiato la prima linea di pensiero, trascurando l’evidenza che Tiergarten rappresenta un patrimonio che va ben oltre i valori storici e artistici, che comprende non soltanto quei significati creati ufficialmente ma anche quelle stratificazioni di senso generate nel tempo in modo informale attraverso gli svariati usi degli utenti del parco: dagli alberi usati come legna da ardere, alla gay cruising più antica del mondo. Un luogo con un alto grado di coesistenza fra mondo animale, vegetale e umano. Tiergarten, scrive Sandra Bartoli, è un modello per il futuro, perché in esso svanisce il presunto antagonismo fra città e natura, e perché aiuta a pensare esseri umani e non umani come paritari, dipendenti gli uni dagli altri e con gli stessi diritti.
*Peter Kollbach, tedesco, ha vissuto per 15 anni a Hong Kong, occupandosi di moda, prima di trasferirsi in Maremma, dove ha scoperto la passione per la coltivazione degli ulivi e la fotografia.
Tornato a Berlino, viaggia spesso in Italia per i suoi progetti fotografici, che si concentrano, principalmente, sulla riscoperta di antiche tradizioni regionali.
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