La band bolognese suonerà il 29 settembre 2023 al Franzz Club di Berlino. Abbiamo discusso con Alberto “Bebo” Guidetti (drum machine, synth) di passato e presente, di Bologna e Berlino, di musica italiana, di individualismo rampante e forza del gruppo.
Partiamo da Berlino. Anzi, partite da Bologna. A volte si dice che è un po’ la Berlino d’Italia. O che lo era. Com’è la Bologna di oggi?
Una città borghesotta che a forza di fare del progressismo la propria bandiera è diventata un contenitore neutro e aconflittuale. Non è più una città radicale, ammesso lo sia mai stata, e ha virato con decisione verso l’immaginario turistico che -mentre in tutte le analisi se ne parla malissimo- in città sembra l’arrivo di una nuova primavera fatta di AirBnb, food-city e altre trappole volte all’escludere le vite di chi realmente abita e sostiene la città.
Ma ha anche dei difetti.
Gli esordi de Lo Stato Sociale coincidono con la vostra esperienza di DJ radiofonici a Radio Città Fujiko, a Bologna appunto. Cosa ricordate di quel periodo?
Un livello di anarchia notevole, ma anche la necessità di trovare un ordine e un linguaggio comprensibile anche a chi stava fuori da quello studio. A Fujiko abbiamo iniziato da ragazzi, attorno ai 16/17 anni mentre la band è arrivata circa 8 anni dopo. In quel periodo abbiamo potuto sperimentare come mai avremmo immaginato e senza la nostra amata radiolina chissà dove saremmo.
Facciamo un gioco. Tornate in radio oggi. Selezionate 5 brani da passare nel vostro programma radiofonico.
Solo brani dell’epoca:
LCD Soundsystem – Daft Punk is playing at my house
The Rapture – House of jealous lovers
Arctic Monkey – I bet you look good on the dancefloor
Offlaga Disco Pax – Robespierre
Altro gioco. Mettiamo che io venga al vostro concerto di Berlino con un amico tedesco, Franz. Franz non ha nessuna idea di chi siate (ma si fida di me). Potete spiegargli chi sono Lo Stato Sociale, che musica fate e di cosa parlano le vostre canzoni?
Facciamo canzonette che parlano di amore per la politica e di politiche dell’amore.
Il salto dai centri sociali bolognesi a Sanremo in tempi relativamente brevi sembra enorme. Come si coniugano nel vostro percorso questi due scenari agli antipodi?
Beh dai, siamo passati dalle prime prove al palco di Sanremo in 9 anni, un tempo congruo per diventare santi. Si coniugano piuttosto serenamente: l’attivismo politico e il sostegno verso certi luoghi non è mai transitato solo attraverso lo spazio offerto a noi come band, ma è nato prima e soprattutto legato al tessuto sociale che abbiamo costruito e frequentato negli anni. Sarebbe come chiedere a qualche nostra compagna o compagno: “come fai a lavorare per una big tech ed essere qui alle riunioni di gestione del centro sociale?”. La vita, in sé, è compromettente, alle volte ti dà la possibilità di salire sul palco più osservato d’Italia, fare qualcosa che ti rappresenta e sentire la forza delle migliaia di persone che hanno creduto in te fino a quel momento: da mamma a papà, ai promoter, al pubblico che ti segue e alle persone con cui condividi le lotte di tutti i giorni. Poi abbiamo avuto culo, ma siamo anche stati bravini a giocarcela dai.
Per alcune date italiane di questo tour siete tornati in alcuni centri sociali, come il CSO Pedro di Padova e il TPO a Bologna. Com’è andata?
Ci siamo divertiti come dei cretini. Esattamente come doveva andare.
Quando vado a un concerto di un gruppo che sta portando in giro il nuovo album, spesso penso: spero facciano i pezzi vecchi e non solo quelli nuovi. A voi cosa piace portare sul palco?
Il tour “del disco” l’abbiamo fatto in primavera, come una sfida: abbiamo organizzato circa 15 date in cui avremmo suonato praticamente tutto l’album prima ancora che fosse uscito, assieme a tante altre canzoni del repertorio. Uno show di oltre due ore in cui il rapporto fiduciario verso il pubblico era al massimo storico. Ora che siamo dentro la solita rumba dei tour estivi è tutto più equilibrato: grandi classici, ma anche nuovi cavalli di battaglia.
Parliamo di Stupido Sexy Futuro. Cosa troviamo dentro a questo nuovo album?
Una band che si era stufata di dover inseguire le richieste artistiche ed economiche di chi si aspettava una replica di Vita in vacanza (Sanremo 2018, n.d.r.), di chi pensa che la musica sia roba da classifiche, misurabile, annotabile in schemi di successo o altre cazzate che il capitalismo ti mette in testa. La rovina di un ambiente artistico è pensare che le tue colleghe e i tuoi colleghi siano degli avversari, dei competitor, mentre sono colleghe e colleghi con cui sarebbe il caso di fare fronte per evitare di essere spappolati dalle piattaforme di distribuzione e dalle multinazionali del booking.
Cosa è sexy nel 2023? E cosa è stupido?
Sexy è organizzarsi e insorgere. Stupido è credere che la propria opinione sia di qualche valore solo perché pronunciata su un social network.
L’album arriva dopo 6 anni dal precedente lavoro. In mezzo, tanti progetti paralleli individuali, non solo musicali. Da dove nasce la necessità di tornare a fare musica insieme come band?
Nasce dalla voglia di riprendere in mano argomenti e modalità che ci piacciono e che sono tornati ad essere divertenti. Abbiamo ricostruito il rapporto d’amicizia prima di tornare a fare la band, credo che questo abbia fatto la differenza sotto tanti punti di vista.
Oggi il concetto di band sembra un po’ vintage. Complice la tecnologia, l’individualismo musicale è dominante e ben riflette il bisogno di autoreferenzialità ed egocentrismo che caratterizza le società occidentali.
È complicato, proprio come ti dicevo poco sopra: pensiamo di avere qualche valore se stiamo da soli, mentre è solo organizzandosi e riconoscendosi gli uni con gli altri che otteniamo qualcosa. La band è di sicuro complicata, ma è anche una creatura capace di accoglierti e difenderti, mentre come diceva un bel libro di qualche anno fa “nessuno si salva da solo”.
Stupido Sexy Futuro contiene diverse collaborazioni con altri artisti, e non è una novità per voi. Mi piace questa concezione della band come sistema aperto, soprattutto in un ambiente, quello musicale, in cui l’invidia e la competizione, a qualsiasi livello, è spesso pesante e stucchevole.
Abbiamo lavorato con persone che ci piacciono, con cui andremmo (e andiamo) al bar volentieri. Alle volte ci si illude che l’incastro debba essere principalmente artistico per cavare un buon featuring, mentre è una questione di umanità: da lì poi le cose scorrono molto più facilmente.
Arriviamo a Berlino. Cosa vi aspettate da questo concerto?
90 minuti di divertimento e abbracci.
Ultimo gioco. Insieme a Franz verrà anche un’amica italiana che abita a Berlino da più di 10 anni, Franca. Da quando si è trasferita, non ha ascoltato altro che krautrock e techno. Raccontatele cosa si è persa in questi anni della musica italiana.
L’importante è che abbia anche la cortissima frangetta d’ordinanza, poi le direi che Iosonouncane, Frah Quintale e i Post Nebbia parlano una bellissima lingua musicale.
Giusto 40 anni fa a Berlino si formavano i CCCP – Fedeli alla linea. Vorrei sapere se sono stati un vostro riferimento e se c’è ancora qualcosa da celebrare, o salvare, di quel periodo probabilmente irripetibile per la musica indie italiana.
Live in Pankow, dall’ep Ortodossia, è uno dei miei brani preferiti ancora oggi. CCCP e CSI sono stati fondativi per molti di noi, hanno costruito una poetica che prima non era diventata icona e, proprio come le icone, ad un certo punto sono state bruciate (o si sono autocombuste). E comunque la batteria di “In due è amore, in tre è una festa” è un tributo bello e buono alle drum machine di Zamboni e Ferretti.
Allarghiamo il campo. Quali sono stati i vostri riferimenti degli inizi e quali sono quelli di oggi?
La canzone leggera e impegnata di Rino Gaetano, il grande vaffanculo dei CCCP, la dance per i rock kids tra Covo e Estragon. E poi in generale fare di necessità virtù: saper suonare così così ti obbliga a spremere le cose su cui ti ritieni più forte: stare sul palco. La discografia è finzione, mentre i concerti sono uno dei pochi momenti di verità che ci concediamo.
Siamo alla fine. Torniamo al vostro imminente concerto a Berlino. Avete un’ultima cosa da dire a Franz e Franca per prima del vostro live?
Come diceva Luciano Ligabue: “la forza della banda è nello stare insieme”, speriamo di stare insieme.
La foto all’interno dell’articolo è di Stefano Bazzano ©
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