Rivista Eterna, sorellina di Yanez e spin off del progetto berlinese Le Balene Possono Volare, è una rivista letteraria che, lentamente ma implacabilmente, andrà a consumarsi fino a morire. Chi l’ha creata ha deciso di condannarla a morte: nascerà, crescerà, invecchierà e giungerà al suo termine. In soli tre numeri, distribuiti in tre anni.
La prima call della rivista è dedicata alla morte.
Sul primo numero di Eterna, che sarà pubblicato in cartaceo nell’autunno del 2021, usciranno sette racconti, scelti fra 149 elaborati ricevuti nell’arco di tre mesi.
Alcuni dei racconti arrivati a Eterna, nonostante siano piaciuti molto al Comitato di Valutazione, non sono riusciti a trovare spazio all’interno del primo numero. Quattro di quei racconti – più un extra speciale – saranno pubblicati su Yanez, una volta al mese fino all’uscita del numero 1 in cartaceo.
Ogni racconto sarà illustrato da un collaboratore di Yanez.
Leggi gli altri racconti:
Omelia di Elasia Viviano
Un racconto di Andrea Tani
Illustrato da Michele Pieretti
Mia mamma era una tipa strana, portava delle bende in testa. Poi venivano degli uomini che uscivano da un furgone bianco con la sirena e la scritta al contrario. L’accompagnavano in camera da letto, le facevano bere un intruglio e se ne andavano. Qualcuno le faceva pure delle domande sulla foto sopra il comodino, dove si vedeva mio padre e mio fratello al fiume con la canna da pesca in mano.
Quando si svegliava sembrava uno zombie. Sciacquava i piatti al rallentatore, prendeva il latte, tagliava due patate e apriva la finestra. Io le davo il ritmo, battevo le mani sul tavolo e tifavo per lei. Ogni tanto perdeva l’equilibrio, e allora si appoggiava al frigo.
All’inizio apparecchiavo io, per quattro persone. Poi mi disse che dovevo smetterla di fare le navicelle spaziali coi piatti e le posate in più. Mi diceva che la tavola era giusta così, sennò poi arrivavano gli omini verdi e mangiavano tutto. Io ridevo e dicevo: – Facciamo allora che gli omini verdi arrivano sulla terra e si rifugiano nelle grotte? – e lei: – Benissimo –. Allora prendevo la forchetta, la inzuppavo nel purè e gliela infilavo in bocca, e lei faceva altrettanto con un pezzo di pane. Poi però la serata finiva e lei era stanca. Mi chiedeva di riaccompagnarla a letto e la tavola restava tutta da apparecchiare.
Un giorno vidi mia mamma che parlottava con un uomo e una donna con tanti gioielli addosso. I due sorrisero, le strinsero la mano e se ne andarono. Mia mamma però non rideva e alzò lo sguardo verso il nostro granaio, poi appena mi vide allargò le braccia e m’invitò a saltarle addosso. Io presi una rincorsa così forte che in un attimo cascammo per terra accartocciati. Picchiai il ginocchio e lei perse la benda che aveva in testa. Le vidi la pelata. Si coprì subito e si ricompose, poi mi disse: – Michelino, è tempo di rivedere tuo padre.
Dormimmo per due notti in un ostello e sul soffitto della camerata rivedevo la foto del comodino e mi dicevo: – Se andiamo da mio padre andiamo anche da mio fratello Gabriele che magari torna dal fiume, ovvio – E questa cosa, alle tre di notte, mi faceva saltare sul letto di gioia come un canguro, coi cigolii della brandina che svegliavano tutti, anche i gestori dell’ostello.
– Michelino…a dormire! – diceva mia mamma mentre si scioglieva la benda.
Il giorno dopo eravamo da mio papà. Abitava in una casetta di legno in mezzo alle montagne, col pavimento sporco e le porte aperte. Aveva la barba lunga e non aveva la canna da pesca.
– E Gabriele? Non è tornato? – gli chiesi.
La mamma mi interruppe subito: – Che modi Michelino, hai tuo padre davanti!
Lo salutai col bacio sulla guancia, poi mi misi su un divano color stagno, seduto nella posizione della rana. Loro erano al tavolo. Mia madre guardava la vallata dalla finestra e lui guardava il disordine in casa.
– Aron, ho venduto il granaio – disse piano lei – e ho lasciato tutto a Michele.
Mio padre s’abbassò e raccolse da terra una caramella mangiucchiata.
– È ora che tu faccia la tua parte – replicò lei.
– Se volevo fare la mia parte sarei restato, no?
A lei si ruppe la voce: – Sto morendo Aron.
Lui la guardò.
– La vita non è cambiata solo a te da quando Gabriele se n’è… andato – continuò lei – quella rana sul divano non ha nessun altro!
In realtà non facevo più la rana, ma il ponte di Brooklyn con la testa all’indietro. Poi bevemmo del tè col limone e io feci fare un tuffo ai miei biscotti partendo dalla cassettiera. Mia mamma piangeva come facevo io quando volevo la stessa canna da pesca di mio fratello e mi disse che dovevo finire il tè e fare il bravo.
Era passata una settimana. Io e mio padre eravamo in veranda e guardavamo gli alberi. Lui si lisciava la barba con una spazzola per gatti. Volevo tornare a casa da mamma e mi annoiavo, così chiusi le gambe e con le ginocchia feci la più bella pista di atterraggio per cavallette mai vista.
– Sai che mamma sa piantare i chiodi sul tetto? – dissi all’improvviso.
– Quanti anni hai ora, Michelino? – mi chiese, poi fu distratto dal volo di un uccello con le ali d’angelo che s’alzò e sparì nel nulla. Un attimo e tornò in sé e mi disse che quelle ali erano grandi, più grandi di una nave.
Contai gli anni. Con la mano sinistra gli mostrai quattro dita, con la destra due. E continuai: – Sa far nascere anche i vitelli!
Lui accennò un sorriso.
– Sai che chi ha entusiasmo porta dentro Dio? – mi fece, e questa frase gli dette energia, perché poi iniziò a fischiettare una canzone che cantava con mia mamma quando viveva ancora con noi, tornando dai campi.
Entrai in casa perché avevo sete, ma già che c’ero iniziai a sbirciare da tutte le parti: negli armadi, in soffitta, sotto il letto, ovunque. Poi tornai da lui.
– Ma insomma, dov’è nascosto Gabriele?
– Gabriele? – esclamò lui e s’acquietò su una sedia. Poco dopo mi mise una mano sulla spalla.
– Non è ancora tornato dal fiume? – chiesi allora io.
– Michelino, tuo fratello dal fiume non ci torna più, perché il fiume se l’è portato via. – rispose papà.
– Non è vero! – urlai.
Quando mia mamma usciva col trattore, io andavo al fiume a trovare Gabriele. Sapevo che stava lì.
Spesso dormiva e non lo volevo disturbare. Poi però mi annoiavo e allora prendevo un lembo del fiume e lo alzavo. Lui era lì sotto, sveglio e rannicchiato, col ciuffo sul naso e gli occhi grandi.
– Hai fame? – mi diceva e un attimo dopo era già fuori. – Vieni seguimi.
Mi portava poco più in là, scavalcava un cespuglio e mi staccava un pezzo di fiume, poi continuava: – Tieni, assaggia, senti quanto è buono.
Lo mettevo in bocca e il sapore era squisito.
– Quando l’hai scoperto? – gli chiedevo, ma lui era già sugli alberi e con un balzo s’arrampicava sulle rocce, da lì saltava su una cascatella che sbatteva sugli argini. Qui l’acqua era come plastilina, lui la prendeva e la modellava. A volte costruiva una bicicletta, altre volte la figura della mamma sul trattore, una volta fece la faccia di nostro padre. Il mio fratellone era bravo, sapeva fare tutto. Di solito poi giocavamo alla guerra e lui per fare spazio spostava il fiume, spesso lo annodava, ma faceva anche altro. Si inginocchiava, metteva le mani in avanti e fermava la corrente.
– La sera l’acqua va fatta riposare – diceva.
Poi mi salutava e se ne tornava sotto.
Andrea Tani: è nato nel 1974 a Grosseto e vive a Firenze da 25 anni. Dopo essersi laureato in Storia e Critica del Cinema, ha scritto e diretto videoclip musicali per 10 anni in Italia e all’estero. Ama leggere e giocare a tennis-tavolo. Ha pubblicato il suo primo racconto su Open Doors Review.
Riguardo il racconto:
Michele Pieretti: da sempre pratica l’arte del disegno automatico su foglietti di recupero. Ingegnere elettronico senza troppa convinzione, emigrato a Torino, frequenta con molta convinzione il Print Club Torino ed i seminari della Stamperia d’arte Busato di Vicenza sulle tecniche tradizionali di incisione.
Ha contribuito alle illustrazioni di due riviste parecchio underground: Lahar e Lahar Berlin, e ha realizzato copertine alternative di libri per il 9 Righe di Yanez.
Riguardo le illustrazioni per il racconto:
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I diritti legati al racconto sono esclusivi dell’autore. © Andrea Tani
Tutte e illustrazioni di questo racconto sono di proprietà dell’autore e coperte da copiright. © Michele Pieretti
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