Rivista Eterna, sorellina di Yanez, è una rivista letteraria che, lentamente ma implacabilmente, andrà a consumarsi fino a morire. Chi l’ha creata ha deciso di condannarla a morte: nascerà, crescerà, invecchierà e giungerà al suo termine. In soli tre numeri, distribuiti in tre anni.
La prima call della rivista è dedicata alla morte.
Sul primo numero di Eterna, che sarà pubblicato in cartaceo nell’autunno del 2021, usciranno sette racconti, scelti fra 149 elaborati ricevuti nell’arco di tre mesi.
Alcuni dei racconti arrivati a Eterna, nonostante siano piaciuti molto al Comitato di Valutazione, non sono riusciti a trovare spazio all’interno del primo numero. Quattro di quei racconti – più un extra speciale – saranno pubblicati su Yanez, una volta al mese fino all’uscita del numero 1 in cartaceo.
Ogni racconto sarà illustrato da un collaboratore di Yanez.
un racconto di Elasia Viviano
Illustrato da Ivano Talamo
La brezza tiepida profuma di mimosa e di occasioni future. Il mare sa ancora d’inverno, la spiaggia è color ocra. Andiamo a Roma per le vacanze. Un ragazzo ti bacia sull’erba. Cioccolata, il vestitino giallo con i fiori, tua mamma nasconde le uova, quelle piccole e dure, con la pasta di zucchero colorata, nel giardino di casa. Tu e tua sorella avete un cestino di vimini in cui raccoglierle, fate a gara ma tu sei più grande e vinci sempre. Non è la primavera che ami, ma il ricordo di essa. E la transizione, quel momento di passaggio con gli odori nuovi e familiari nell’aria. La primavera in potenza, che sta per essere ed è stata. Mai quella che è.
Il sole di marzo riscalda debolmente il legno di ciliegio che hanno scelto per te. Tu, che avresti voluto essere sepolta nella nuda terra, sotto a un albero, su una collina, in un posto sperduto. Oppure in un cimitero francese. O bruciata e gettata in mare, in un mare qualsiasi.
Un primo rintocco. Sono campane vere, non quelle finte registrazioni che ormai hanno sostituito il bronzo. Ti piace alzarti presto la domenica, aprire le finestre, vagheggiare la vita bucolica che il tuo paese ti suggerisce la sempre: la messa del mattino, il pranzo dai nonni, il mercato rionale, il vino nelle botti, i polli in giardino.
Un secondo rintocco. Il catechismo, una sciocca canzoncina, A-llelu-ia, A-llelu-ia, e un bambino più grande che ti chiede in prestito due monetine per le offerte, perché lui le ha dimenticate e tra poco passeranno con il cestello e non vuol mica fare brutta figura davanti a Gesù.
Un terzo rintocco. Le feste di compleanno all’oratorio, con coca cola fanta sprite e quelle torte alla panna che non ti sono mai piaciute. Solo i fiorellini di carta, quelli sì, sono buonissimi. Non sanno di niente ma sono buonissimi.
Entriamo. L’eco, sì, cos’è questa eco mi chiedi, è il parroco che recita l’omelia. L’ha detto giusto, il tuo nome, sì. Lo sbagliano sempre tutti, il tuo nome. Postini corrieri professori dentisti infermieri dottori. Un’operazione. Tua madre ti accarezza la mano bucata dalla flebo, ti aiuta a mangiare a camminare a ridere, ti nasconde l’angoscia dell’attesa, quattro ore, dietro a una porta, sua figlia, sotto anestesia, una ferita da quindici punti, una cicatrice che ora, anche se ti sforzi, si vede a malapena.
Odore forte di incenso, umido, una pioggerellina. Il prete sta dando la sua benedizione. Tuo padre si copre gli occhi con una mano e piange alla sua maniera, quella in cui a tratti sembra che rida o che abbia il singhiozzo. Quando sei piccola e lui ha la barba tu non vuoi mai che si rada. Vi svegliate insieme, presto al mattino, quando tutti, in casa e fuori, ancora dormono, e uscite da soli a pedalare in paese. Il suo profumo, impregnato nelle felpe grandi che ti dà per coprirti quando hai freddo, le mani rugose già a quarant’anni, per via del lavoro. L’estate in vacanza con lui, tu che vuoi scappare dalla sua soffocante allegria che ti mette a disagio, ti toglie l’aria e ora, ora ti penti di averlo anche solo pensato ma va bene così, va bene così per tutto. Per tua nonna che muore in un letto d’ospedale e tu non ci sei, tuo nonno che muore al piano di sopra mentre tu fai l’amore, tuo nonno che muore a ottocento chilometri da te ma tu sei a pranzo da un’amica e poi devi fare i compiti perché la scuola è importante e gli amici pure.
Tua sorella non parla con nessuno. Da piccola mangia il sapone, ti morde per scherzo e crede a tutte le cose assurde che le racconti – le fragole bianche sono meglio di quelle rosse perciò quelle rosse le mangio io perché sono buona. Quel gioco a cui non giocate mai, anche se lei te lo chiede sempre. Le liti per stare davanti in macchina, una gita a Firenze, l’esame di maturità e tu che l’aiuti a studiare e poi tu che la guardi dormire nella culla e le dici quanto è bella e piccola e che se la prendi in braccio potrebbe cadere e rompersi.
Sul sagrato della chiesa ci sono tante persone. Mi chiedi di lui, se sta piangendo, se ha ricominciato a fumare. Non piange. Ma stasera, a casa vostra, quando troverà le piante secche e i piatti sporchi e il tuo spazzolino in bagno e la tua forma sul divano, stasera ricomincerà a fumare. Rileggerà le tue lettere, quelle tenere e infantili dei sedici anni e quelle mature e dolorose dei quasi trenta, le seppellirà sotto le lacrime e il fumo di sigaretta, come in quei drammi d’amore che lui odia tanto e non vuole mai vedere con te. E spegnerà la luce e penserà alla morte, alla tua alla sua a quella di tutti, e alla fine, quando il sole sarà sorto, dormirà.
Ancora qualche passo. Uno scricchiolio, piedi che strisciano a fatica sulla ghiaia. Il tintinnio delle chiavi di casa e il clap clap degli stivali di tua madre lungo il corridoio della scuola, ti viene a prendere prima perché hai la febbre. I suoi capelli tinti sanno di ammoniaca, di una commovente certezza. Dlin dlon, tua nonna è venuta a trovarti, vorrebbe giocare a briscola ma tu vuoi solo guardare la tv. È natale, e spilucchi dal panettone tutti i canditi e l’uvetta, e quelli li mangia tuo nonno perché a te non piacciono ma quando muore non sai più a chi darli e devi buttarli via. I tagliolini al tartufo una volta l’anno, tuo padre è costretto a mangiarli all’aperto, in veranda, e non in casa con voi, e tu non capisci che la mamma non vuole perché poi fanno puzza.
Il camposanto è quello che vedi sempre per andare a scuola. Hanno ritagliato un posticino tutto per te. Non sai come calano la bara davvero, se lo fanno a mano, con le corde, come hai visto in qualche vecchio film, oppure se con moderni e automatici sistemi di sali scendi. Non vuoi saperlo, va bene, non lo saprai.
Ho ancora qualche istante?, pochi attimi ma sì, ti prego, continua.
Le corse dal bagno alla camera da letto, quando è buio e devi correre sennò il mostro ti prende, sì, anche se ora sei grande. I giocattoli che non vuoi buttare via, perché come nel cartone loro sono vivi e poi ci restano male. Dei fuochi d’artificio, un residence in montagna, la trota pescata al lago che non si può mangiare ma l’hai pescata tu, proprio tu, con la canna a noleggio e tuo padre ti prende in braccio e ti dice che brava. Delle goccioline di pioggia scivolano sul finestrino, ne scegli una per vedere se vince, se taglia il traguardo prima delle altre. In spiaggia ti sdrai sul lettino e tiri indietro la testa, guardi il mondo al rovescio, immagini che la gravità ti faccia cadere nel cielo e così ti aggrappi stretta all’ombrellone.
Buio intorno. Ora piangi, piangi forte e nessun altro può sentirti tranne me. E mi dici anima mia non mi lasciare, chiudi gli occhi per l’ultima volta e ora piango io, piango forte e nessun altro può sentirmi, tranne me. Eppure sono qui, sempre sarò qui. A ricordare di quando la morte era solo in potenza. A ricordare di quando ricordavi la vita, e le dicevi addio.
Elasia Viviano: ha ventisette anni e giura di non aver mai scritto una bio semiseria in terza persona. Vive a Lucca, le piace fare tante cose ma sostiene di non avere mai tempo per niente. Da piccola le è stata diagnosticata la logorrea precoce, grazie alla quale avrebbe conseguito due lauree. Una volta ha cavalcato una manticora, ma questa è un’altra storia.
Riguardo il suo racconto:
“Volevo scrivere un racconto in seconda persona, simile a un flusso di coscienza, pieno di virgole, elenchi e associazioni inusuali. Pochi giorni dopo l’apertura della call di Eterna, ho letto per caso una poesia di Vittorio Sereni (Intervista a un suicida), che nella prima strofa recita “l’anima […] mi rimbrottò dall’argine“. Allora ho pensato che potesse essere un’anima a raccontare questa storia, a ricordare una vita sullo sfondo della morte. Così è nata Omelia.”
Ivano Talamo: è un artista e illustratore italiano che vive a Zurigo.
Usa l’illustrazione e il fumetto per osservare e interpretare la realtà e ama raccontare le sue storie attraverso il filtro delle scienze sociali e naturali.
Quando disegna sogna spesso il mare.
Riguardo la sua illustrazione:
“Di solito mi occupo di illustrare idee, concetti, opinioni, soprattutto per articoli di giornalismo. In questo caso invece mi trovavo davanti a un racconto che sembra quasi un’elegia, emotivamente intenso e già carico di immagini. Ho quindi evitato l’approccio concettuale e ho cercato nel testo quei ricordi le cui immagini sentivo più vive e li ho rappresenti accostandoli con poca coerenza logica ma invece visuale, per dargli una forma che fosse simile a quella di un sogno.”
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