Il mercato di Maybachufer è uno dei posti che i musicisti di strada di Berlino amano di più. Vanno a prenotarsi un posto la mattina presto, poi tornano alle due per suonare. Hanno un’ora a testa per esibirsi. Una regola non scritta, come quasi tutte quelle che governano il mondo del busking in città.
Io al Maybachufer sono stata la prima volta a maggio, perché prima quella cosa immonda e repellente chiamata lavoro d’ufficio non me ne lasciava il tempo. L’atmosfera del mercato è inebriante. I colori, gli odori, le lingue, quell’amalgama di espressioni e di vissuti che ti fanno sentire parte di qualcosa proprio perché sei diverso, così come diversi lo sono tutti gli altri. Il Maybachufer è un piccolo distillato di Berlino, credo, e come Berlino lo si vede risplendere di più quando la musica inizia a suonare. I buskers si sistemano su una pedana che dà sulla Landwehrkanal. Davanti a loro il pubblico si stringe seduto per terra.
La mia amica Giorgia ci suona spesso al mercato turco e oggi sono là con lei per vivere la giornata tipo di un busker berlinese. Giorgia è arrivata a Berlino quasi tre anni fa dal Trentino e da allora si è sempre guadagnata da vivere con la musica. Ha suonato ovunque: in strada, nelle stazioni delle Ubahn, nei parchi, poi sono seguiti piccoli ingaggi nei pub, e adesso ha almeno un concerto a settimana. Magari se date un’occhiata alla sua pagina Facebook, ne trovate uno anche stasera. Si può definire una one woman band: canta, suona la chitarra, si accompagna con armonica, kazoo e stomp box. La musica è un folk rock che pesca le liriche dalle montagne dov’è cresciuta e le ballate dalla tradizione irlandese che l’hanno influenzata durante i suoi anni a Dublino. Le canzoni le scrive sia in italiano che in inglese e le butta fuori con una forza che a vederla non lo diresti mai. A big voice in a small person, si autodescrive.
Io Giorgia la conosco bene e so quanto si dia da fare tutti i giorni. Non si tratta solo di scrivere canzoni ed esibirsi. Gran parte del lavoro di un busker è data dal recupero degli strumenti adatti, dalla registrazione dei dischi e soprattutto dal processo che porta alla registrazione: trovare uno studio e la persona giusta per un prezzo che sia sostenibile senza farsi fregare. Poi c’è tutta la frase di autopromozione: gestire i social media, stampare biglietti da visita, andare di pub in pub per trovare delle date, attivare un giro di passaparola, mantenere i contatti, collaborare con gli altri artisti. E anche suonare in strada richiede organizzazione: recuperare i permessi, andare la mattina presto a prenotare un posto, trasportare tutta la strumentazione in giro per la città. Insomma, l’atto vero e proprio dello show è solo l’ultimo di una catena di altre essenziali attività.
Chiedo a Giorgia quali siano i posti di Berlino più ambiti dai buskers.
“Mauerpark è il primo, sicuramente. C’è gente che si piazza all’ingresso, dove ci sono le scalinate, anche alle 4 del mattino della domenica. In media in un posto X si fanno dai 10 ai 50 euro all’ora, a Mauerpark ne puoi tirare su il doppio. Ma anche a Hackescher Markt, Maybachufer e Alexanderplatz si può guadagnare bene. Il problema è che a Mauerpark ci vanno tutti quelli con gli amplificatori potenti e se ti metti nel mezzo finisci schiacciato.”
E qui veniamo a un problema, la competizione.
“C’è spesso invidia. Tanti ti fanno la bella faccia e poi parlano male di te dietro alle spalle. Quando ci sono in mezzo soldi c’è competizione, non c’è ambiente che tenga. Ad esempio a Mauerpark finisce che chi viene apprezzato di più non è l’artista più bravo, ma quello con la strumentazione più grossa.”
Mentre compriamo una bottiglia di vino in un’osteria dove mi sento molto in sintonia con i gestori, perché si vede preferirebbero li derubassimo piuttosto di alzarsi e lavorare, Giorgia mi racconta le sue esperienze.
“La parte più bella del suonare in strada è il pubblico, sicuramente. Ai concerti nei locali non vedi il businessman e il barbone l’uno vicino all’altro che ti apprezzano in ugual modo e non senti le persone così vicine. Ogni tanto si crea un rapporto divertente con i senzatetto, perché, alla fin fine, condividi la strada con loro. A volte loro sono i più generosi nel darti i tips, ti danno le ultime monete che gli sono rimaste. Una volta uno mi ha regalato il suo cappello e un altro un orsetto di peluche che si portava dietro. Poi improvvisano degli spettacoli da cabaret inconsapevoli, che non capisco più se sono io ad esibirmi oppure loro. Come quando a Warschauer Straße una signora ha ballato per ore dando da bere dei bicchierini di grappa ad un topo finto che teneva in braccio, oppure quando seduto a guardarmi c’era questo vecchio con un mini-vestitino a cui uscivano le palle da sotto la gonna.”
Quando le chiedo se sia pericoloso, lei mi risponde sicurissima di no: “Le uniche cose di cui si ha paura sono i vicini, che chiamano la polizia, e la polizia, che magari ti sequestra gli strumenti. Solo due volte mi sono spaventata, sempre all’interno delle stazioni, perché là dormono i junkies e ogni tanto escono di matto. Un giorno uno si è fatto una pera proprio di fronte a me mentre mi ascoltava e ha iniziato a sanguinare. Anche il ponte di Warschauer Straße non è il massimo, è territorio di quei punk che ti mandano via se suoni là. Dicono che stanno lavorando anche loro, che “fanno divertire la gente”. Però quando ho chiesto a uno di farmi vedere come fa a far divertire la gente, lui ha solo fermato una tipa, l’ha spaventata facendole dei gesti strani e poi le ha chiesto una sigaretta.”
Sono le due e il mercato adesso è affollato, c’è uno di quei soli rari a Berlino, siamo sedute ad un tavolino sulla pedana che dà sulla Sprea e una ragazza attacca bottone. Appena le dico che sto scrivendo un articolo sui buskers le si illuminano gli occhi e inizia a sbracciare verso un tizio seduto più in là: Babe babe, come here, this girl wants to interview you! Penso che babe non l’ho sentito suonare, ma se non altro sono sicura che ha una buona manager. Babe in verità si chiama Alex Heymell e ha iniziato a fare il busker 10 anni fa, ha girato la Germania ed è stato anche a Roma. Mi dice che Berlino è la città tedesca migliore per suonare. “L’ho fatto per un po’anche in Baviera ma là la creatività non viene ricompensata, la gente ti ascolta solo se fai cover.” Chissà perché questa cosa sulla Baviera non mi stupisce per niente. “C’è da dire però che anche qui a Berlino negli ultimi quattro anni le cose sono cambiate. La polizia è più fastidiosa e c’è tanta più competizione.” Gli chiedo quale sia il momento che gli è rimasto più impresso in questo tempo. “Una volta ad Alexanderplatz un tizio mi ha dato 50 euro e mi ha comprato tutti i cd. Era vestito bene, piuttosto strano. Secondo me veniva da un after party”. Anche questa cosa su Berlino mi stupisce poco.
Fermo la ragazza di Alex prima che per farsi mandare l’articolo mi dia anche il suo indirizzo di casa, e intanto un tipo inizia a suonare la ghironda, uno strumento a corde di origine medievale. Il tipo è lo stesso che tiene la lista su cui si deve segnare il proprio nome al mattino, al Maybachufer è uno degli habitué. Si chiama David Flowerkraut, è di Hannover e suona una musica folk ispirata alla tradizione irlandese. Fa il busker da più di 15 anni ed è piuttosto amaro nei confronti della situazione in città. “Negli anni Berlino è cambiata tantissimo. Ad esempio, fino a cinque anni fa qui potevi venire a suonare quando volevi e non c’era nessuno. Era un posto segreto. Adesso invece devi venire la mattina per metterti in lista. Anche i soldi sono un po’un problema: una volta potevi permetterti un amplificatore con poco, mentre oggi i costi sono spesso proibitivi. E ormai ci sono davvero troppi buskers, tanti fanno sempre le solite cose, i soliti due accordi. Una volta c’era più originalità, più rispetto per l’arte. La quantità è andata decisamente a scapito della qualità.”
Mi dice che quando suonava in Irlanda la gente si entusiasmava di più, qui invece la gente ti considera un barbone con uno strumento. Gli rispondo che mi sembra strano: Berlino è una città così tollerante, almeno di fama, come se la spiega questa contraddizione? “C’è differenza tra essere tolleranti ed avere la mente aperta. A Berlino tanti sono tolleranti nel senso che non gliene frega un cazzo. Non gliene frega se sei un coglione e vai in giro nudo o se sei Beethoven e componi la nona sinfonia. C’è una bella differenza tra quello e l’essere aperti di mente”.
Su questa osservazione gli do un cinque virtuale e torno a cercare Giorgia che se n’è andata con il vino. Davanti a un bicchiere mi faccio spiegare tutta la storia delle regolamentazioni, una cosa che a Napoli la facevano meglio:
All’esterno: si può suonare ovunque senza amplificatori. Ma la regola non scritta dice che, finché i vicini non chiamano la polizia, si possono usare anche gli ampli. La polizia quando arriva solitamente non fa problemi, anzi, suggerisce di spostarsi da un’altra parte. Se si subisce più di un richiamo o ci si pone in modo offensivo, però, si può ricevere una multa piuttosto salata, intorno ai 500 euro. Giorgia dice che la multa viene fatta solo ai tedeschi, perché si è sicuri che pagheranno. Molti buskers, infatti, non hanno l’Anmeldung, e mandare una multa nel loro paese di origine probabilmente sarebbe inutile. Per questo un’altra misura presa dalla polizia è il ritiro degli strumenti.
Ma questi sono casi estremi, io ho assistito in qualche occasione all’arrivo degli agenti e sono davvero davvero tranquilli. Per dire, non ti viene neanche voglia di dargli fastidio.
Si dice che esista un permesso per suonare all’esterno con l’amplificatore, però né la polizia né il Bürgeramt, dopo essere stati interrogati, sono riusciti a dare chiarimenti in merito. Si danno la responsabilità a vicenda. “Il permesso è una leggenda” mi dice Giorgia, abbassando un po’ la voce in un modo che mi inquieta.
All’interno delle stazioni: qui la situazione è più chiara, anche se in alcune parti rasenta pur sempre il tragicomico. Il permesso lo si fa il mercoledì mattina dalle 7 alle 11 ad uno sportello apposito a Leopoldplatz. Costa 7,50 euro ed è valido per 15 giorni. Allo sportello c’è un programma con le stazioni (sono circa 50) e lo spazio per mettere la preferenza. Si può suonare anche con l’amplificatore e il permesso comprende il biglietto da casa fino alla stazione in cui si è riservato il posto. Un meccanismo di prenotazione tanto lineare non riscontrava però i favori del pubblico. Accadeva che i buskers si mettessero in fila già dal giorno prima per accaparrarsi le stazioni migliori (ovvero Stadtmitte, Alexanderplatz e Friedrichstraße) e accadeva che durante la fila si scolassero quei tre – quattro litri più del dovuto. Accadeva che i gipsy non riuscissero a parlare nessuna lingua e che i polacchi diventassero molesti. “La bigliettaia impazziva” mi dice Giorgia mettendosi le mani nei capelli per mimare lo stato d’animo della malcapitata. Così ora si è fatto ricorso ad un metodo all’avanguardia: la mattina alle sette l’addetto fa pescare un numero ai presenti, non importa chi arrivi prima, in questo modo è il caso ad assegnare le stazioni migliori e si evitano code, risse e liti infinite fra ubriachi. E la bigliettaia si evita un’ulcera.
L’obiettivo di Giorgia, come degli altri buskers berlinesi, è di essere notata da qualcuno nel giro della produzione, o almeno di crearsi un buon seguito e lanciare così la propria carriera. Non è una visione impossibile. Se ci si trova nel posto giusto al momento giusto, può capitare di diventare virali.
Infidelix, ad esempio. Se passate spesso dalla stazione di Warschauer Straßee, è molto probabile che vi siate imbattuti in questo rapper texano bravissimo, che ha sfondato grazie ad un video diventato virale ripreso in una stazione della Ubahn. 4 milioni di visualizzazioni su Youtube, gente.
Un altro che ce l’ha fatta a diventare virale è Stephen Paul Taylor. È il secondo che si esibisce al Maybachufer, ma io l’ho già visto tre o quattro volte in giro per Berlino. Anche perché non notarlo è davvero impossibile. Quello di SPT è uno show a tutti gli effetti che comprende frequenti cambi d’abito e strampalate coreografie. Il tutto su una base synth pop anni 80 e annaffiato da una buona dose di glitter e brillantini. Definisce la sua musica come “involontariamente provocatoria”, ma sono abbastanza sicura che ci sia una parte di malizia ben volontaria, invece. Altro cinque virtuale. I testi sono un mix di glamour, creepiness e misantropia. È diventato semi-virale nel 2014 grazie ad una gif che lo riprende mentre balla una sua canzone che fa “Everybody knows shit’s fucked!”, fa il busker regolarmente da 10 anni e si è esibito in tutta Europa, oltre che nelle venues più popolari di Berlino, come il Prince Charles e l’Urban Spree. Gli chiedo se anche secondo lui la situazione di Berlino è cambiata in peggio negli anni e mi lapida con un’osservazione a cui non mi sento di replicare, perché è giusto così: “No, non credo. Sai, la gente tende sempre a pensare che le cose vadano peggio”.
L’ultima ragazza con cui parlo si chiama Arava Gal e viene da Israele. È in buona compagnia, in città ci sono tantissimi musicisti israeliani, soprattutto di Tel Aviv. Arava ha 34 anni, fa la busker a Berlino solo da un mese e mezzo, ma prima lo ha fatto per un anno in India. La sua musica e la sua attitudine riflettono abbastanza quello stile flower power che a me dà un po’ l’orticaria; infatti non ci parlo tanto, anche perché la bottiglia di vino è finita e io ho sete. Comunque mi interessa questa storia dell’India e le chiedo come sia suonare là rispetto all’Europa. “In India la gente ti ascolta davvero. Si prende il tempo e sta là ad assistere a tutta l’esibizione. C’è un altro modo di intendere la musica, c’è una maggiore connessione con le persone. In Europa invece they do the mission, fanno il loro dovere e poi se ne vanno, come per togliersi un sasso dalla scarpa. Mi sono esibita in 140 show in India grazie al passaparola, l’anno più bello della mia vita”.
Quando Arana se ne va ci sono ancora due ragazzi che suonano: li trovo eccezionali, ma a concerto finito spariscono e non faccio in tempo a beccarli. Li avevo già visti la settimana prima, un australiano e un cileno che si sono conosciuti otto anni fa a Sidney e si sono rincontrati per caso adesso a Berlino. Entrambi girano continuamente il mondo facendo musica. La loro l’hanno chiamata The most beautiful love story. E come dargli torto? Le storie d’amore più belle sono le amicizie che girano in tondo, e che hanno un sottofondo musicale.
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