Marco Antonecchia non ha un approccio alla fotografia costante o mirato, fotografa oggetti e soggetti che incontra per caso. Quando qualcosa lo diverte o lo rattrista, scatta. Ritirare i negativi dallo sviluppo è la parte del lavoro che più lo emoziona, forse perché non ha una buona memoria e spesso dimentica cosa ha ritratto. La soddisfazione arriva in rari casi, è più spesso delusione quella che prova quando riguarda le foto, ma è un gioco che tutto sommato gli piace. Le sue foto non cercano di comunicare qualcosa di specifico, l’autore non pensa che un lavoro fotografico si debba sviluppare per forza in maniera lineare per raccontare. Le foto di questa selezione non hanno nulla che le accomuna, se non un legame drammatico e disilluso, a tratti magico, con la realtà e tra di loro. Marco scatta da sei anni esclusivamente in pellicola, principalmente con due 35mm compatte. Non si cura dell’aspetto più tecnico, scatta per curiosità e per noia, per non dimenticare quello che vede e ciò che crede si possa considerare bello. A sua madre le sue foto piacciono, dice.
Marco Antonecchia. 1976. Vive a Pescara. Lavori svolti fino ad ora in ordine sparso: lavapiatti, dog sitter, art director, scenografo, dj, magazziniere, regista, imbianchino, artista, barista, videomaker, elettricista, cameriere, operatore, insegnante, mai fotografo. Scatta principalmente con una Contax t2 e una Olympus mju II, usa pellicole economiche, gli piace andare in bici, al cinema, guardare i film sul divano e stare a casa.
Ha già collaborato con Yanez, prestando i suoi scatti all’articolo Pescara, la Twin Peaks dell’Adriatico di Paola Moretti
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