Una piovosa domenica di inizio autunno è apparentemente perfetta per una visita al museo. Tra l’altro, in tempi di pandemia, non dovrebbero esserci neanche troppi turisti in città. La situazione sanitaria ha però un rovescio della medaglia, visto che non si possono neanche lasciare entrare troppe persone insieme: tocca attendere in fila, aspettando che chi è dentro liberi le audioguide che permettono di mantenere controllato il numero di visitatori all’interno del museo Körperwelten.
La fila sembra ordinata e si snoda dall’esterno. Delle transenne separano chi vuole dirigersi verso la biglietteria, al centro, chi esce dal museo, a sinistra, e chi attende la famosa audioguida, a destra: purtroppo questo costrutto, che vorrebbe garantire le necessarie distanze di sicurezza, non funziona per niente perché, per mettersi nella fila per l’ingresso, dopo aver comprato il biglietto, bisogna ritornare indietro, rendendo vana l’intenzione di mantenersi lontani dagli altri.
Dopo venti minuti di attesa riesco finalmente a entrare. Tra l’ingresso e la prima sala c’è una parete composta da corde fucsia, che partono dal pavimento e arrivano sul tetto, lasciando intravedere le buie stanze dell’interno. Appendo la mia giacca alla borsa a tracolla e tiro fuori taccuino e penna, riflettendo su quanto sarebbe stato comodo avere degli armadietti dove depositare tutto.
Il primo scorcio mi colpisce: nell’oscurità si intravedono dei lunghi triangoli di specchi, con accanto delle scritte in inglese e tedesco.
Who is that familiar person in the mirror?
Being visible might be deceptive,
because seeing yourself suggests that you know yourself.
Inizia così il mio viaggio nel corpo umano.
Prima parte: le ossa
Uno scheletro umano pesa tra i 7 e i 10 kg, è composto da circa 206 ossa che sono unite da un centinaio di giunture e coperte da 620 muscoli. A darmi questa lezione di anatomia sono le targhette esplicative che accompagnano i diversi artefatti. Nella prima parte sono esposti gli scheletri interi, alcuni di persone in salute, altri che mostrano la degenerazione dell’ossatura a causa di diverse malattie. C’è poi l’osso più piccolo del corpo umano e lo “scheletro” di un embrione messo in risalto da una sostanza colorata, che ne rende visibile la sagoma. La voce dell’audioguida mi informa che le ossa hanno la solidità del cemento armato e che il midollo all’interno permette di ammortizzare e stabilizzare i movimenti che il corpo intraprende nella sua interezza. Ascolto tutto attentamente, leggo i dettagli, indecisa su quale lingua scegliere tra il tedesco, nella quale sono più ferrata, e l’inglese, che attinge in terminologia scientifica dal latino ed è quindi simile all’italiano.
Seconda parte: i muscoli
Un corpo umano ha dai 400 ai 600 muscoli, la maggior parte situati nel viso, che ci permettono di ottenere la varietà di espressioni che contraddistinguono i nostri stati d’animo. La voce che esce dall’altoparlante spiega che per muovere un braccio, o una gamba, per similitudine di articolazione, si ha bisogno di attivare il bicipite e rilassare il muscolo dell’avambraccio; per stenderlo, al contrario, bisogna rilassare l’avambraccio e attivare il tricipite. In questa parte dell’esibizione sono esposti diversi corpi interi che mostrano la muscolatura insieme ai tendini. È esattamente come rivedere uno dei libri di scuola: delle fasce rosa attaccate alle ossa, ancorate da tendini bianchi.
Per quanto questa mostra abbia ricevuto tante critiche, la principale su come il proprietario sia riuscito a collezionare così tanti corpi umani, e susciti un po’ di disgusto quando ne parlo con gli amici, continuo ad essere affascinata dalla possibilità di vedere come siamo fatti dall’interno. Non attraverso fotografie o plastici a dimensioni naturali, ma con persone vere e proprie, in carne e ossa.
Solo carne e solo ossa.
Terza parte: le giunture
In quest’area c’è un tripudio di giunture: da quelle sane a quelle affette da patologie, e poi anche un’anca artificiale, posizionata nell’ossatura di un bacino. L’audioguida mi racconta come la maggior parte delle giunture del corpo siano nella spalla e che ci permettono di muoverla e ruotarla in tutte le direzioni. Comincio a riflettere sulle mie, di giunture, e noto che finora non ho incrociato né una panca, né una sedia: mancano i posti dove sedersi per una pausa, forse per farci prendere atto della varietà di segnali dolorosi che il nostro corpo è capace di inviare al cervello.
Quarta parte: le fasce
Scopro che aspetto hanno le tanto nominate “fasce”, e che ce ne sono di tre tipi: superficiali, profonde e viscerali. Le prime ricoprono il nostro corpo e dove si va ad accumulare il grasso visibile all’occhio. Le seconde sono quelle che proteggono le ossa, i vasi sanguigni, i nervi e i muscoli. Le ultime, invece, avvolgono gli organi interni. Su una parete viene proiettata una performance di danza nella quale i corpi delle ballerine sono circondati da un’aura di luce. I movimenti sono accentuati, il corpo ci sta raccontando come possa utilizzare ogni sua parte, come riesce a organizzare i movimenti che ci permettono di creare la bellezza.
Subito accanto c’è il corpo di un uomo intero, organi genitali inclusi, nell’atto di correre: qui si intravedono i polmoni e il cuore attraverso il torace aperto. Penso a quanto sia incredibile il volume di informazioni riportate in uno spazio così ristretto.
Quinta parte: gli organi interni
Da una teca appesa a una parete alla nostra destra veniamo introdotti all’apparato digestivo. Si comincia dalla lingua, si passa per lo stomaco e si finisce, com’è logico, con tutto l’intestino, appositamente srotolato per mostrarne la lunghezza. Qui impariamo il funzionamento del fegato, dello stomaco e ogni cosa che c’è da sapere sulla digestione.
C’è poi un angolo della stanza con due enormi scalini sui quali è seduto un uomo. La struttura è enorme perché è stata ideata per sezionare ogni parte del corpo, mostrando cosa ci sia sotto: il muscolo è quindi tagliato e separato, lasciando scoperto l’osso sottostante, anch’esso tagliato e separato per mostrare il midollo. La parte inferiore della gamba risulta lunga tre volte la sua dimensione originale. Anche gli organi sono visibili, ai loro posti ma divisi, appesi l’uno accanto all’altro. Con uno sguardo più attento si nota come l’uomo sia seduto, nell’atto di pescare.
Svoltando l’angolo mi trovo finalmente davanti una donna. Stavo appunto cominciando a chiedermi coma mai non fossimo rappresentate in questa mostra, nonostante costituiamo una buona metà della popolazione mondiale. Anche qui, come nella maggior parte delle situazioni di vita quotidiana, siamo poco rappresentate. Grazie al corpo di questa donna esploriamo i differenti sistemi riproduttivi e gli embrioni: sei embrioni dalla quarta alla decima settimana sono esposti in boccette rettangolari non più alte di dieci centimetri. Mentre il primo sembra poco più che una briciola, l’ultimo ha le sembianze di un topolino e fa quasi tenerezza.
Il sistema informativo della mostra ci tiene ad informarci che 200 milioni di spermatozoi vengono prodotti giornalmente e che pochi di loro raggiungono la destinazione per la quale sono nati; uno solo riesce poi a fecondare un ovulo dando vita a un essere umano unico al mondo, una persona che sarebbe stata completamente differente se un fratello spermatozoo avesse raggiunto quello stesso ovulo. C’è una parete che mostra, attraverso scaglie di legno raccolte in due enormi teche, quanti sono due milioni di spermatozoi. Io intanto mi chiedo: ma questi 200 milioni di spermatozoi giornalieri, dove finiscono di solito?
6a, 7a e 8a parte: il sistema circolatorio, quello respiratorio e il nervoso.
In questa parte del museo sono esposti i vari sistemi e spiegate le conseguenze delle cattive abitudini sulle varie parti del nostro corpo. Quello circolatorio è il più interessante: resto incredula davanti alle dimensioni dell’arteria e della vena principali degli arti e capisco che senso abbia tagliarsi in verticale, invece che in orizzontale, nel caso ci si voglia suicidare; o perché si muoia dissanguati così velocemente se una pallottola colpisce l’arteria femorale. Tra l’altro non riesco a immaginare l’immenso lavoro svolto per mettere in risalto la rete dei capillari di un corpo intero, qui evidenziata in rosso fluorescente.
Il sistema nervoso è invece tutto in bianco; in un angolo ci sono poi due paia di polmoni: uno color crema con alcuni puntini scuri, appartenente a un non fumatore, e l’altro per gran parte grigio scuro. Mentre do un’occhiata un po’ più approfondita, mi passa la voglia di fumare. Comincio poi a non ascoltare più l’audioguida, né a leggere le etichette accanto a ogni pezzo di corpo esposto. Butto un occhio sull’orologio e sono già andate via due ore. L’unico pensiero adesso è la speranza che non mi resti molto da vedere: tra la giacca appesa alla borsa, le due ore e mezza in piedi e il pieno di informazioni, sono sfinita.
Un po’ più avanti noto uno schermo che mostra, in forma di cartone animato, come si trasforma una persona durante il decorso dell’Alzheimer: mi siedo sul pavimento e me la guardo, contenta di fare finalmente una piccola pausa.
Ultima parte: il cervello.
A questo punto passo velocemente accanto alla teca che espone tre esemplari di cervello e mentre intravedo l’uscita mi ritrovo davanti a un unicorno: se esistesse davvero, sarebbe grande come un pony e avrebbe le ali con le penne. Qui è rappresentato dal rosso delle migliaia di capillari che ne formano il corpo, come mostrato nella sezione precedente per il corpo umano.
A destra dell’unicorno, su una parete, viene proiettata la sagoma di un corpo con a destra il simbolo della donna e a sinistra quello di un uomo. In mezzo alla stanza un quadrato con due orme indica il punto in cui posizionarsi e poter usare l’anatohmical mirror. Una volta pronti, bisogna alzare la mano corrispondente al sesso: quando il sensore identifica la scelta, la sagoma si trasforma in corpo. Muovendosi lentamente in avanti, la sagoma si “spoglia” mostrando tutte le parti del proprio corpo, dall’interno. Un gioco divertente per terminare questo giro estenuante.
All’uscita mi rendo conto che, nascosto dietro a un angolo cartonato, dove si possono fare le foto con la figura dell’uomo con i muscoli scoperti, ci sono gli armadietti per poggiare i propri averi, ben separati dalle file di entrata e uscita e per niente visibili a causa dell’angolo foto. Credo che abbia pienamente senso tornare per una seconda visita, sia per approfittare di tutte le informazioni apprese, che per finire di leggere ciò che ho saltato, scoprire i nuovi pezzi che vengono col tempo sostituiti, dare al percorso un nuovo tema.
Di leggere l’ultima tabella informativa, probabilmente quella che mi sarebbe interessata di più, non ho più voglia.
Take care of your body, it’s the only place you have to live.
REDAZIONE
Wale Café
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