“Papà, chi era Karl-Heinz Schnellinger”?
Sorride. Non so se a me, che gli sono di fronte, o al ricordo, vecchio di quasi 50 anni, che gli sta affiorando per la mente. Aveva 20 anni, mio padre, quando, alla fine degli anni ’60, look alla John Lennon, partiva dalla Bassa Emiliana con destinazione San Siro, a Milano, ultimo anello, e da lassù ammirava la folta chioma bionda di un ragazzone tedesco che correva sulla fascia.
“Un grande terzino del Milan”, risponde, dopo due lunghi secondi.
Karl-Heinz nasce il 31 Marzo 1939 a Düren, in Germania, nella Renania Settentrionale. Da piccolo dice di voler fare il medico, oppure il pilota d’aerei, ma a dieci anni comincia a calpestare la fascia sinistra nella squadra della sua città, l’SG Düren 99, e non la smette più. I professori cercano di dissuaderlo, il calcio lo sta rovinando, gli dicono, ma intanto le sue doti tecniche e la grande dedizione che mostra sul campo d’allenamento gli valgono subito una promozione: va al Colonia, nel 1958. Nel suo futuro non ci sono camici o uniformi da aviatore, ma degli scarpini coi tacchetti.
Quando Schnellinger comincia a giocare tra i professionisti, il campionato tedesco non è ancora strutturato in un’unica lega, come la Bundesliga odierna, ma in cinque divisioni territoriali, le Oberliga. Karl Heinz comanda la difesa del Fußball-Club Köln fino al 1963, vincendo per quattro anni consecutivamente la divisione occidentale (dal 1959 al 1963) e addirittura il titolo nazionale nel 1962.
A 19 anni è già titolare inamovibile della nazionale della Germania Ovest. Partecipa ai Mondiali del 1958 e si distingue particolarmente in quelli del 1962, organizzati in Cile, tanto da essere inserito nella FIFA All-Star Team del torneo e da vincere il premio come migliore giocatore tedesco.
E’ il momento decisivo della sua carriera. Con grande pragmatismo, decide di trasferirsi in Italia. “Sono andato in Italia perché guadagnavo solo 24 marchi in Germania”.
Nel 1963 viene acquistato dalla Roma, che lo paga 1 milione di marchi e a lui ne dà 300.000 subito, già alla firma, prima di girarlo in prestito al Mantova. L’allenatore è Luigi Bonizzoni. Appena arrivato, Karl-Heinz prova a presentarsi al mister nell’unica lingua che crede possa somigliare all’italiano e di cui ha qualche basico rudimento, il latino: “Ego sum Schnellinger”, dice all’allenatore. Bonizzoni risponde: “Ego sum Bonizzoni, sprichst du deutsch?”.
Come se fosse un segno del destino, il suo esordio in serie A arriva contro il Milan, il 15 Settembre del 1963. Il Mantova perde la partita 1 a 4, ma Schnellinger si fa comunque notare, con giocate di classe e una serie di tempestivi recuperi che gli valgono i primi elogi degli addetti ai lavori. L’inviato del Corriere della Sera lo definisce “uomo ovunque”, “biondo campione”, sottolineando la semplicità con cui, in più occasioni, riesce a fermare i due attaccanti milanisti, due signori chiamati Altafini e Amarildo.
Gioca un bel campionato, e la Roma lo riporta alla base.
Nella capitale affina la sua dote di efficace mastino, tanto che la Curva Sud gli affibbia il primo una lunga serie di soprannomi: “il cane”. Pressa e soffoca gli avversari, impedendo loro qualsiasi libertà di movimento e, nonostante una stagione anonima dei giallorossi, complice la crisi finanziaria della Roma, viene acquistato dal Milan. Arriva ai rossoneri in un pacchetto che include anche Angelillo e la comproprietà di Sormani, per una cifra complessiva, a prezzi di saldo, di 350 milioni di lire.
Nella figurina dell’album Panini del 1965 ha la maglietta con le righe rossonere strette. Schnellinger viene raffigurato in una posa a trequarti, col mento e il volto protesi verso un cielo azzurro-azzurro, senza nuvole, gli occhi stretti e socchiusi, lo sguardo serio, ma leggermente sorridente. E poi lei, l’inconfondibile chioma bionda, senza ciuffi, senza creste, con la riga dalla parte sinistra e il taglio squadrato: è arrivato “Carlo il Biondo”.
La sua prestanza fisica, 1 metro e 80 centimetri per 80 chilogrammi di peso, la sua costanza nell’applicazione e il suo ottimo rendimento, gli valgono diversi altri soprannomi. Da“Volkswagen”, direttamente attribuitogli dal patron Nereo Rocco, sino a “Panzer” e “Carlo Martello”. Si narra che quando esagera spingendosi in avanti, Nereo Rocco gli urli: “Te lego, tedesco, te lego”. Le sue energiche spazzate sono un marchio di fabbrica, anche in salto e di testa, con il pallone scaraventato verso il centrocampo, pronto ad essere raccolto da un Rivera o da un Prati. Ancora più irresistibili sono le sue scivolate a piedi uniti, quando improvviso plana sull’erba per sradicare il pallone agli attaccanti.
Nonostante lo strapotere fisico e la carica agonistica lo portino ad essere imbattibile sui contrasti, non è mai scomposto, ma sempre leale e attento: in tutta la sua carriera colleziona appena quattro ammonizioni e nessun cartellino rosso. Schnellinger è considerato da tutti un compagno rispettoso, onesto, con un grande spirito di gruppo.
Sulla rivista Oggi, Nereo Rocco ne dà un caloroso ritratto: “E’ innamorato del football come un ragazzino dilettante. Baruffa immancabilmente con i medici quando gli ordinano di non giocare per una indisposizione. Sembra un gigante dal cuore di ferro, invece con la famiglia è molto tenero. I figli se li porta in campo durante gli allenamenti. Se siamo lontani da Milano, spende uno stipendio in telefonate”.
Karl-Heinz si vede come un impiegato. Ligio al dovere, rispettoso del padrone, con la responsabilità di dover sempre produrre buone prestazioni per onorare il suo contratto di lavoro. “Questo è il pane che mangio e la camicia che indosso”, ripete.
Di tutte quelle giocate, c’è una partita che Schnellinger sicuramente non dimentica, ed è la finale di ritorno della coppa intercontinentale 1969.
L’andata, Milan – Estudiantes, si gioca l’8 ottobre a San Siro. Il campo è “perfetto e l’illuminazione anche”, racconta Nando Martellini in telecronaca. Allo stadio accorrono 82.000 tifosi.
Nonostante la tattica ostruzionista dell’Estudiantes, che cerca di distruggere, più che creare, il Milan vince 3-0, “pronto al colpo di rimessa”, con Karl-Heinz a guidare la difesa, abile a spazzare in acrobazia i palloni velenosi messi in mezzo dagli argentini. Sembra fatta, ma c’è il ritorno da giocare.
Si scende in campo il 26 ottobre, alla Bombonera di Buenos Aires.
“Per scaramanzia e per evitare commenti e provocazioni degli interisti, molti tifosi della squadra di Rocco hanno deciso addirittura di staccare il telefono. A Buenos Aires troveranno altri 50.000 lavoratori italiani immigrati che tiferanno con loro”, racconta l’inviato Maurizio Barendson, nel servizio trasmesso dal TG1 alla vigilia del match.
Ma le cose non vanno come ci si aspetta. Quella che dovrebbe essere una festa, un evento che ricongiunge gli immigrati italiani in Argentina con la madrepatria, si trasforma ben presto in una una battaglia senza esclusioni di colpi.
I giocatori del Milan vengono intimiditi sin dal riscaldamento. Dagli spalti volano caffè bollenti verso il terreno di gioco, in campo invece sono pugni, botte, pestoni, non sanzionati, da un arbitraggio scandaloso e connivente: è una finale insanguinata.
La partita si conclude con Pierino Prati, l’attaccante titolare, in infermeria, svenuto per un colpo ricevuto, mentre a Nestor Combin, passaporto francese ma nato nel nord della provincia argentina di Santa Fè, vengono fratturati zigomo e naso, prima di essere arrestato dalla polizia, che lo accusa di diserzione dalla leva militare. L’Estudiantes vince 2-1, ma il Milan mette comunque la prima coppa Intercontinentale in bacheca. “E tutti insieme, appena in volo, facemmo il gesto dell’ombrello verso l’Argentina” racconta il centrocampista rossonero Giovanni Lodetti.
Schnellinger, nel tempo, ricorderà questa partita come la “conquista più esaltante” della sua carriera.
Se Karl-Heinz raccoglie scaffali di trofei con il Milan, non si può dire lo stesso della sua carriera con la maglia della Germania Ovest, che resta a secco. Eppure, in due occasioni Schnellinger arriva a un passo dal vincere i Mondiali: va in finale nel 1966 e in semifinale quattro anni dopo.
Quella del 1970 è una partita speciale per il terzino sinistro tedesco, che affronta l’Italia, la sua Italia, con i compagni di nazionale che lo scherniscono con il soprannome “Der Italiener”, l’italiano. La partita, durante i novanta minuti, è brutta.
Il risultato è fermo dall’ottavo minuto sull’1-0 per gli azzurri, maturato grazie a un potente sinistro dalla distanza di Boninsegna. Quando ormai mancano pochi secondi alla fine, Schnellinger decide di spingersi nella metà campo avversaria, senza troppa convinzione: sembra quasi voglia trovarsi vicino all’uscita per evitare la bolgia, quando l’arbitro metterà mano al fischietto per chiudere la partita. E invece, al 92’ minuto riceve il pallone sulla destra da Grabowski, si lancia in spaccata e, procurandosi uno stiramento muscolare segna la rete dell’ 1-1. Lui, che di gol all’attivo ne aveva giusto un paio e che in nove lunghi anni di carriera al Milan non andrà in gol mai, nemmeno una volta. “Infine pareggia Schnellinger, al 47’ 30”. E meno male che è lui, der Italiener. Non l’abbiamo corrotto: Carletto è onesto. Segna”, salmodia Gianni Brera.
I compagni tedeschi lo seppelliscono festanti. Dagli italiani invece, racconta di aver ricevuto dei vaffanculo sonanti.
Quello che succede dopo è ormai storia. La partita del Secolo in una notte tarda, per l’Europa, che fece impazzire milioni di telespettatori in tutto il mondo: il 4-3 finale per l’Italia viene segnato da Gianni Rivera al centoundicesimo minuto.
Alla fine del match Rivera e Schnellinger vengono ritratti in una foto storica. Sono distesi, tranquilli, a scambiarsi la maglia, due grandi campioni che si rispettano fuori e dentro il campo. Karl-Heinz non appare affranto, o lo dissimula bene, sembra in procinto di dire qualcosa, chissà, mentre Rivera lo consola con una pacca sulla spalla.
Dopo l’avventura al mondiale e una serie di nuovi successi con la maglia del Milan, arrivati nel suo nuovo ruolo di libero, nel 1974 decide di lasciare il calcio italiano, con ben 282 presenze all’attivo, e di ritornare in Germania, nel Tennis Borussia Berlino, una squadra esordiente nella neonata Bundesliga, con cui resterà per un solo campionato, prima di ritirarsi, nella primavera del 1975.
Non si ferma però in Germania, Karl-Heinz.
La sua vera casa ormai è Milano ed è lì che ritorna, ed è a Milano che ancora oggi vive, con la moglie, tre figlie e i suoi quattro nipoti.
“Chi se ne frega degli anziani del calcio tedesco? Sono felice perché ho visto molto, ho imparato molto e ho guadagnato molto. E poi a Milano ci siamo anche trovati benissimo”, racconta l’ottantenne Karl-Heinz.
Del calcio moderno, gli piace molto poco. In una recente intervista ha commentato lucidamente quello che più non sopporta: i simulatori (“ai miei tempi nessuno si buttava per terra, perché aveva paura di fare brutta figura”), chi non gioca lealmente e chi ha troppi tatuaggi (“come fanno ad andare in giro conciati cosi?”). Soprattutto non sopporta i procuratori, che a suo dire hanno fatto diventare il calcio un grande atto commerciale, con speculazioni continue. “Nessuno dei calciatori di oggi avrebbe il coraggio, come ce l’avevamo noi, di andare dal presidente a chiedere un aumento”. Il Milan, ovviamente, gli resta nel cuore, eppure allo stadio non riesce più ad andare: “mia moglie Ursula va sempre a San Siro. Io no, non ce la faccio, soffro troppo. Comincio ad agitarmi e a sudare. Dalla mia faccia non si direbbe, io sono sempre uguale. Da tedesco non lo faccio vedere. Ma dentro sto malissimo”.
Per tutti, Karl-Heinz Schnellinger, rimane Der Italiener.
Francesca Dallasta nasce nell’anno in cui l’Italia vinse i mondiali di calcio (ma non il 2006, quello prima), in una cittadina “mollemente adagiata sul Po”, come la definì un suo vecchio professore di Teatro al Liceo. Per non adagiarsi anche lei mollemente, si laurea in Ingegneria e si trasferisce a Milano, poi a Vienna, quindi Lugano e infine a Zurigo. To be continued….
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