Illustrazioni di Marta Bianchi*
Kamikaze 1989
Germania Ovest, 1982
Regia di Wolf Gremm
“Tutti i miei sentimenti li ho imparati al cinema”
Rainer Werner Fassbinder
Ricordo ben distintamente come in una piccola, deliziosa ma ben fornita libreria di Berlino qualche mese fa fui colpito da uno sguardo malinconico in copertina, stampato su un bel libro da 350 pagine. Era un volto serio, eppure, allo tesso tempo, buono e malinconico. Era la biografia di Rainer Werner Fassbinder.
Non lo conoscevo affatto. Rainer Fassbinder è stato un genio che ha ridato lustro al cinema tedesco nel mondo negli anni ’70 e ’80. Ha prodotto febbrilmente un’enorme quantità di scritti, produzioni teatrali, film, e fa male saperlo scomparso a soli 37 anni.
Kamikaze 1989 è una perla che si muove ai confini dell’universo dei B-movie, ma poi in realtà non lo è affatto, ad una visione attenta, e per questo raccontarlo potrebbe rappresentare un bel rischio. Che corriamo volentieri.
La storia si svolge nell’allora prossimo futuro del 1989, in una Repubblica Federale tedesca che è diventata uno dei paesi più ricchi e potenti del mondo. La povertà e i conflitti sociali sembrano ormai ricordi di un lontano passato, poiché una potente corporazione che detiene il monopolio dei mass media manipola il consenso interno, diffondendo l’illusione di un benessere duraturo e generalizzato.
Eppure, qualcuno ha ancora il coraggio di ribellarsi e progetta di scardinare il sistema, colpendo proprio la lobby dell’informazione. Un pacco bomba recapitato negli uffici al trentesimo piano del grattacielo di un grande network dà il via a una difficile inchiesta della polizia, che porterà l’eccentrico tenente Jansen, (Fassbinder) a scoprire, tra mille ostacoli e sospetti, il volto autoritario del potere e i suoi inconfessabili intrecci con il mondo degli affari.
Vedere comparire Fassbinder (qui all’ultimo ruolo della sua carriera) nelle prime scene, è qualcosa di spettacolare; si ha subito la netta sensazione che sia ubriaco, in procinto di vomitare in qualsiasi istante: siamo sul postcyber neorealista andante allegro. Ispirandosi al romanzo “Mord im 31. Stock” di Per Wahlöö, Wolf Gremm mette in scena un poliziesco fantascientifico, vagamente orwelliano, venato, ma senza eccessi, di intellettualismo, visivamente accattivante e provocatorio. Non è un fin troppo ambizioso, ma particolarmente enigmatico, un pamphlet anti-capitalistico che a lunghi tratti può risultare anche noioso. Forse non è invecchiato benissimo, Kamikaze ’89, ma merita, credetemi, una seconda visione, per passare da una prima, leggera compassione, ad una partecipazione emotiva reale verso le vicissitudini che scorrono sullo schermo, anche perché, senza grandi beats ad annunciarlo, da una prima parte più leggera e introduttiva si passa, di corsa, all’azione narrativa del racconto, in cui si concretizza una certa disillusione nell’affrontare la piovra del sistema.
Gremm punta deciso alla ricerca delle smagliature del sistema capitalistico, rigurgitandone il marcio e le sue ambiguità. Sono numerose le scene che con testardaggine vedono il nostro super poliziotto Fassbinder che, seppur con metodi da street fighter, cerca di andare fino in fondo, contro la minaccia.
Sarà tutto vero o è solo un terribile scherzo?
In una parte minore abbiamo anche il piacere di trovare Franco Nero, che interpreta Weiss (bianco, in tedesco). Sembra uno pseudo pirata punk messo lì per dire delle parole a caso, ma ha un ruolo fondamentale, rappresentando la pavidità di certi presunti ribelli, che non si schierano apertamente nella guerra al sistema, limitandosi a dare briciole di informazioni.
Il film è costellato di completi leopardati, assassini travestiti, cospirazioni aziendali, pornostar, case galleggianti e una fantastica colonna sonora droning-techno dei Tangerine Dream, che con il loro inconfondibile sound cosmico si mischiano in catarsi con la sceneggiatura.
Kamikaze 1989 si distingue storicamente per la sua star, Rainer Werner Fassbinder, che interpreta Jansen, un poliziotto spettinato, trasandato, che indossa un solo abito (e che abito! Forse l’unico che lo stesso Fassbinder aveva in casa) per tutto il film (il già citato completo leopardato, che si abbina all’impugnatura della sua pistola e all’interno della sua auto), fuma costantemente e suda in modo sorprendente, il tutto mentre cerca di svelare un complotto bomba: nulla di quanto ho detto e dirò qui sulla storia avrà importanza, perché la storia stessa non ne ha.
Questo film va visto come una reliquia, è un tipo di visione estetica singolarmente stravagante. I tedeschi sono storicamente stati dei veri antesignani nelle arti, degli scienziati nel costruire geniali cocktail creativi tra musiche ed estetica e Kamikaze ’89 ne è un esempio. Certo, si avverte una certa stanchezza letterale, nei movimenti di macchina, negli inseguimenti, ma si rimane incantati da questa sorta di tele bianche, che solo il cinema tedesco dell’epoca riesce a riempire di colori, fregandosene di tutto e tutti.
Un’altra ragione per vederlo è perché è completamente pazzo, libero, affascinante, anche se, come certe battute intelligenti, può arrivare un po’ dopo. Anche se siamo abituati già a film che sembrano totalmente fuori di testa, Kamikaze 1989 ci appare molto, ma molto più genuino in questo senso. Alterna l’ironia e l‘azione, lasciando addosso un senso di piacere e mistero, oltre che un lampo del talento di Fassbinder. Tutte le scene che hanno a che fare con il rapporto che il poliziotto ha con un grosso poster raffigurante Neil Armstrong sulla parete sono splendide. Che dannato futuro ci aspetta, sembra chiedersi Jansen.
Dall’inizio alla fine il film è intriso di un tappeto di luci neon; è impossibile che il regista di Drive, Nicholas Winding Refn, non si sia sparato centinaia di volte questa pellicola ricercandone i colori, le tensioni, e riproponendole trent’anni dopo, in chiave certo meno ironica (e con un outfit, quello di Ryan Gosling, decisamente migliore). Mi fa pensare anche Matrix 2 e 3. Non li sopporto, (speriamo nel quarto capitolo) ma che stile, che giacche fashion: scusate la divagazione.
Kamikaze ’89 è anche una testimonianza fondamentale di come appariva il futuro nei primi anni ’80, molto prima di sapere come sarebbe stato davvero, il futuro. Il film è infatti pieno di schermi televisivi catodici tremolanti, di gambaletti di vinile, di acconciature artisticamente a sbalzo, di spalline abbastanza larghe da farci atterrare 2 elicotteri, e poi di un videotelefono “portatile” che Jansen porta nella sua giacca e che ha più o meno le dimensioni di un computer a ventosa: ironicamente, anche se i registi degli anni ’80 hanno cercato di prevedere le mode future, hanno sottovalutato la misura in cui il futuro, nei loro film, sarebbe comunque sembrato molto simile molto ai retro anni ’80. Quando la Film Society of Lincoln Center ha proiettato Kamikaze 1989, nel 2014, un trafiletto lo descrisse come “una profezia unica e agghiacciante”.
Una promessa dell’arte nell’era di Internet è una sconfinata diversità di visione. Tutti i tipi di estetica hanno ormai una facile piattaforma attraverso la quale possono essere condivisi con il mondo. Ma c’è anche un effetto di appiattimento, poiché tutti hanno accesso allo stesso vasto catalogo di influenze, e così l’estetica dominante diventa inevitabilmente un pastiche. In Italia il film non arrivò mai nelle sale e rimase inedito per undici anni, fino all’aprile 1993, quando la ViViVideo lo distribuì per il mercato delle videocassette. L’edizione italiana venne curata dalla Sinc Cinematografica e i dialoghi italiani e la direzione del doppiaggio affidati a Vinicio Marinucci.
In Italia venne trasmesso su Rai 3, in prima visione TV, alle 3 e mezza di notte, venerdì 26 maggio 1995, all’interno del mitico “Fuori orario” di Enrico Ghezzi.
È difficile, considerato il contesto di quegli anni, consegnare un sogno di febbre visiva veramente stridente e distintivo, che sembri come cucinato in un laboratorio segreto, da un gruppo di alchimisti pazzi che si sono fatti un trip con il loro stesso prodotto.
Ma Kamikaze ’89 fa esattamente questo. Incorpora molti tropi visivi proto-cyber-punk dei primi anni ’80, dando vita ad un film meravigliosamente strano, da volergli tanto bene insomma, in un modo che ci ricorda un tempo in cui lavori come questo non erano facilmente disponibili con un semplice clic del mouse. Questo è un lavoro veramente, profondamente, gloriosamente strano, difficile da trovare, figuriamoci poi da produrre: fortunatamente oggi trovarlo risulta più facile di qualche anno fa, e permette di farci un altro regalo: riscoprire un autore che ha puntato il dito sulle ipocrisie, della borghesia tedesca prima generali poi.
Il volto sudaticcio, stanco e malato di Fassbinder è sempre magnetico, sembra quasi improvvisare a ogni scena. Vederlo giocare a un simil tennis-squash, scaricando lo stress in un locale cyberpunk berlinese, è esilarante, così come la galleria di personaggi incontrati durante le indagini. Anche se girato tra Berlino e Düsserdolf, la città sullo ricorda di più Francoforte, ma poco importa: rimaniamo seduti insieme a Fassbinder sul divano, ascoltando il dialogo tra il presidente Nixon e l’astronauta Neil Armstrong nel 1969 su registrazione, osservando e immedesimandoci nello sguardo gonfio, deluso, del poliziotto che, solo in una stanza spoglia, senza scrivania e arredo, cerca conforto nelle parole in arrivo dalla registrazione.
Che piacere averti conosciuto caro Rainer, ci sono arrivato tardi a te, ma sono sicuro che, di persona, mi avresti sorriso, forse mi avresti portato a giro per Berlino, disquisendo di cinema e dell’ipocrisia della gente. La giacca però no. La giacca me la sarei scelta io.
“Coloro che vedono la realtà in modo un po’ diverso devono pensarci due volte prima di esprimere la propria opinione e chiedersi se ne valga la pena. È così che ha inizio la castrazione della fantasia.”
Rainer Werner Fassbinder
*Marta Bianchi è un’illustratrice freelance che vive e lavora a Roma.
Ama mischiare registri stilistici e tecniche grafiche diverse. Per lei il disegno è lo strumento con cui trasmettere emozioni ed evocare mondi immaginari, mentre rappresentare la realtà le risulta alquanto noioso.
Quando non disegna parte per fare lunghe passeggiate nei boschi.
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