Ogni mese Margherita Seppi sceglie un luogo nel mondo e ci racconta che tempo fa, a modo suo.
La Sicilia è una terra carnale. Catania è una donna condannata alla tragedia.
Il Triscele, lo stemma dell’isola, impersona e trasuda il fascino pagano del posto. Dalla testa della Gorgone con le sue crine di serpente spuntano tre gambe piegate al ginocchio. Raffigurano i tre promontori alle estremità dell’isola, il Pachino, il Peloro e il Lilibeo, i tre vertici formano una figura che rimanda chiaramente ad un triangolo, così com’è triangolare la Sicilia, così come triangolare è l’essere femmina. La Gorgone ha un simbolismo arcano, secondo Esiodo era tutte e tre le figlie di Foco e di Ceto, due divinità del mare, e rappresenta tre perversioni dell’uomo: Euriale la perversione sessuale, Steno la perversione morale e Medusa quella intellettuale.
Catania è arroccata all’estremità orientale, una donna di migliaia di anni vestita giovanile, i panni barocchi che coprono i lividi lasciati dal suo torturatore, l’Etna, che da sempre minaccia di ucciderla.
Si sente che Catania vive da molto più tempo della sua storia cristiana, anche se la religione qui è ovunque, è ancora una parte vitale dell’uomo. Lo vedi ad esempio in quasi ogni ufficio, tabacchino, bar, che i lavoratori sono protetti dalla guardia spirituale di qualche santino. Ma non c’è contraddizione in questa coesistenza di resti pagani e simboli cristiani, le terre del sud sono così, si nutrono di tradizioni, credenze e di leggende, le strappano dall’alto dei cieli e le fanno rotolare nel fango, le insudiciano facendole diventare terrene. Io che vengo dai monti questa realtà la sento ancora più forte perché mi è straniera. Noi non siamo abituati a tutto questo calore della terra, a questo fuoco che arde, noi abbiamo i boschi con la bruma e lo sguardo che volge verso i monti imbiancati, abbiamo le mani che si freddano già in autunno e un rapporto con la natura rispettoso e distante, quasi sacrale. Esploriamo ciò che ci circonda salendo, sotto strati di abiti e allontanandoci dalle radici, questo ci rende distaccati, predisposti all’ignoto, non a quello che ci si staglia davanti. A Catania invece ti assalgono tutte queste sensazioni mondane, così strane per una persona dall’indole nordica. I colori dorati e lavici ti fanno sentire parte della terra e il mare ti avvolge. Il sole batte quasi durante tutto l’arco dell’anno a Catania, rendendola una delle zone più calde d’Italia, permette i piedi nudi, i bagni da giugno ad ottobre, sporcarsi senza vergogna il corpo di polvere. Gennaio è il mese più freddo, anche se freddo non è un aggettivo che in questo caso si possa usare a ragione, con una media di 10.7 gradi. A febbraio le temperature raggiungono gli 11.3 gradi, a marzo i 12.6, ad aprile i 14.9, a maggio i 18.6, a giungo i 22.8 a luglio ed agosto i 26, a settembre i 23.6, ad ottobre i 19.5, a novembre i 15.5, infine a dicembre i 12.2 gradi.
Mentre la percorro, in un giorno piovoso di ottobre, il mio sguardo si espande in orizzontale ed è come fossi protetta in un grembo. Per questo la Sicilia e Catania per me hanno i fianchi di madre, forse per questo le siciliane sono alcune delle donne più femmine che ho conosciuto, perché assorbono fin dalla nascita il caldo e la carne, sviluppano in relazione alla terra la natura sensuale e il temperamento sanguigno.
Siamo più o meno a metà 1700, è quasi mezzanotte, un ragazzo cammina verso Via Crociferi con un chiodo e un martello in mano. Non lo dà a vedere, ma ha una paura tremenda.
Il terremoto del 1693 ha devastato Catania, l’ha costretta a inventarsi di nuovo, ne è rinata una donna elegante, barocca, ancora più fiera, che in Via Crociferi ospita il suo cuore barocco e la sua nobiltà. Via Crociferi è diventata un rifugio per gli amanti e per chi sa tenere un segreto, un luogo di malaffare dove si complotta, si intavolano convegni notturni, ci si lascia andare ai peccati più spinti. I nobili vogliono rimanere indisturbati, il popolo non si deve immischiare. Così, mestamente, inizia a circolare una leggenda. Un cavallo senza testa si aggira di notte per la via, è mostruoso, violento, se lo incontri nel suo percorso è impossibile scappare, la sua vista è letale. Il popoletto ignorante abbocca. Ma un gruppo di giovani, una sera, decide di sfidare la sorte.
Il ragazzo con il chiodo e il martello lascia gli amici alle spalle, fa lo spavaldo, sventola il suo mantello e grida “Il cavallo senza testa non mi fa paura!”, ma intanto gli tremano le gambe. C’è il vento che soffia forte quella sera, è marzo, il mese più ventoso, con sferzate che raggiungono i 17 km/h, la media invece è di 11. Il resto dell’anno i venti sono piuttosto stabili, hanno una media di 9 km/h da gennaio a settembre, marzo escluso, e di 7.5 ad ottobre, novembre e dicembre.
Il ragazzo più si allontana più sente il respiro pesante, l’obiettivo è l’Arco del Monastero di San Benedetto che apre via Crociferi, là sotto deve piantare il suo chiodo per dar prova di audacia. Nell’oscurità raggiunge la meta, si abbassa, di fretta inizia menare il martello. Ma ad un certo punto lo sente. Un rumore, forse un calpestio di zoccoli, più probabilmente il vento che ha fatto cadere qualcosa. Il ragazzo terrorizzato si alza, fa per correre via ma non ci riesce, si sente trattenuto. “Il cavallo senza testa”, riesce solo a pensare. Muore sul colpo di infarto, il resto del gruppo lo raggiunge, ma non c’è più nulla da fare. Solo allora qualcuno si accorge che, nella fretta, il ragazzo aveva inchiodato il suo mantello al selciato, per questo non era riuscito a fuggire.
Catania è un focolaio di leggende ed è bene camminarla ripassando le sue storie. Il giorno di ottobre che la attraverso, piove. Infatti ottobre è il mese in cui piove di più, cadono in media 106 mm di acqua. Seguono dicembre (86 mm), gennaio (75 mm), novembre (62 mm) e febbraio (53 mm). Come da clima mediterraneo, le primavere e le estati sono piuttosto secche. A marzo cadono 46 mm di pioggia, ad aprile 35, a maggio 19, a giungo 6, a luglio 5, ad agosto 9 e a settembre 45 mm.
Dal mercato del pesce sbuco in Piazza Dante, vedere d’improvviso il Liutru, mi fa quasi impressione, mi pare di ritrovarmi in Africa, quest’ elefante sul quale è montato un obelisco egittizzante, ma dove sono, e intanto con la coda dell’occhio mi pare di vedere uno stregone che lo cavalca, Eliodoro si chiamava, un’altra leggenda ricamata su un personaggio realmente esistito. Poco lontano, in Piazza dell’Università, ci sono due fratelli che stanno scappando, portano sulle spalle i genitori, dietro di loro la lava. È l’eruzione del 693 a.C. Uno dei quattro candelabri della piazza è dedicato a loro, il secondo invece sorge in onore di Colapesce, che sta ancora reggendo la Sicilia da sotto al mare, il terzo candelabro è per Gammazita, che, per salvare la propria virtù da un soldato francese, si gettò in un pozzo, il quarto è per il cavaliere Uzeta, il quale sconfisse i giganti Ursini.
Rimango a Catania solo due giorni, ma sono abbastanza per farmi ripromettere di tornare in Sicilia d’estate, quando tutto arde, che anche la mia tempra del nord ogni tanto s’infuoca.
A Catania, il 21 giugno, il solstizio d’estate, il sole sorge alle 5.39 e tramonta alle 20.24. Il solstizio d’inverno il sole sorge alle 7.10 e tramonta alle 16.45.
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