Ogni mese Margherita Seppi sceglie un luogo nel mondo e ci racconta che tempo fa, a modo suo.
Il treno lo prendemmo a Trento, forse ci accompagnò mio padre in stazione, questo non lo ricordo. Mio padre nella mia infanzia è un figurante, è un paio di baffi che arrivano e vanno sullo sfondo.
Era l’estate del 1994, io avevo nove anni.
Del viaggio in treno ricordo che era di notte, eravamo in cuccetta, entrò una donna come non ne avevo mai viste, con un velo che le copriva la faccia. Non mi fece nessun effetto. Nel mio diario scrissi solo che era gentile.
Quello fino ad Ardea, più di preciso a Tor San Lorenzo, è stato il viaggio più lungo che feci con mia madre. Se escludiamo Rimini, è stato l’unico viaggio che feci con lei.
Arrivammo di mattina credo, a prenderci c’erano due amici di famiglia, Nevio ed Aldina. Il suono di quei nomi per me era strano e mi faceva dubitare che il posto in cui stavamo andando si trovasse in Italia.
Ma Ardea si trova a sud di Roma. È un comune di circa 50 mila abitanti che sorge su una rocca e guarda dall’alto i Castelli Romani e il Mar Tirreno. Tor San Lorenzo è la sua frazione più popolosa e prende il nome dalla sua torre, una delle più antiche torri costiere dell’Agro Romano, soprannominata La Pomposa per la sua maestosità dai corsari turchi che solevano invadere il territorio.
Il clima di Ardea subisce forte l’influenza del Mar Tirreno, le estati sono calde, le primavere e gli autunni molto bagnati, gli inverni miti.
A gennaio e febbraio la temperatura media è di 8,5 gradi, a marzo di 10 gradi, ad aprile di 12,5, a maggio di 16,5, a giugno di 20,5, a luglio ed agosto di 23,5. L’autunno è come la primavera: settembre la temperatura scende a 20,5 gradi, ottobre a 16, novembre a 12,5 e dicembre a 9,5 gradi.
Le precipitazioni si concentrano soprattutto in autunno, novembre porta lo scettro con 142 mm di pioggia, seguono ottobre e dicembre con 105 mm. Anche l’inverno è piuttosto piovoso, gennaio 94mm, febbraio 82, marzo 69. Aprile già scende a 46, maggio a 34. L’estate si apre al sole, maggio conta 34 mm, giugno 23, agosto 10 e settembre 32 mm.
I venti sono quasi costanti durante tutto l’arco dell’anno, con una media di 11 km/h. Si alzano leggermente in inverno ed inizio primavera. A febbraio, marzo ed aprile si aggirano sui 13 km/h.
Il giorno più corto dell’anno ad Ardea saluta il sole all’alba alle 07:01 e al tramonto alle 17:16. Il solstizio d’estate, invece, vede la luce alle 05:00 e il buio alle 21:22.
Io di quei posti ho i ricordi confusi di una bambina vissuta più di vent’anni fa.
Mi ricordo, ad esempio, che Nevio ed Aldina abitavano in una casa piccola e grigia. Che in un angolo in fondo al soggiorno a sinistra di quella casa grigia, c’era un armadietto buio. Dentro all’armadietto c’erano dei biscotti, i ritornelli del Mulino Bianco, io mangiavo solo i tasti neri al cioccolato e di nascosto rimettevo quelli bianchi nel pacchetto.
Che a mezzogiorno non si poteva uscire perché faceva troppo caldo, che c’era un piccolo giardino di sassi roventi dove saettavano le lucertole, oggi se penso a quei muretti mi viene in mente Montale e il suo meriggiare pallido e assorto. Che Nevio ed Aldina mi parevano immensamente vecchi e lenti, come se si fossero cotti troppo a lungo sulle pietre scottate dal sole e si fossero inceneriti, i capelli di cenere, gli occhi di cenere, la pelle fuligginosa. Che mia madre aveva un costume verde ed io volevo indossare le sue scarpe con il tacco per andare in spiaggia, mia madre indossava sempre i tacchi, che la spiaggia era pienissima di gente e io volevo fare amicizia solo con i bambini belli, quelli brutti li scansavo. Che Nevio ed Aldina avevano regole strane, dormivano ad orari strani, mi facevano domande strane, loro e i loro nomi strani. Io li guardavo disgustata, con quella stessa espressione che assumo ancora oggi quando non capisco o non convengo, e guardavo mia madre come a dirle ma questi sono pazzi. Che mia madre mi diceva di avere pazienza e trattava tutti con indulgenza, come se quelli ormai non fossero già più suoi affari e vivesse in un luogo lontano, portata via dal vento, lei che era così magra, quasi evanescente, ancor molto prima che il cancro le divorasse le ossa e la portasse via davvero. Chissenefrega Margherita, chissenefrega. Lasciali fare, lasciali dire. Che andammo a Roma un giorno, tutti e quattro, ma io invece volevo andare al mare, allora per tutto il tempo non parlai e camminai qualche passo dietro agli altri, guardando la strada, rifiutandomi di alzare lo sguardo anche solo una volta, così il mio primo ricordo di Roma, che oggi adoro e di cui mi riempirei gli occhi in ogni momento, è solamente il suo asfalto. Che così rovinai il viaggio a mia madre, il suo quasi unico viaggio.
I ricordi bruciano, inceneriscono, dalle ceneri fanno nascere qualcosa di diverso, elaborato sul passato ma che della sua verità conserva solo l’apparenza. Quella bambina vissuta vent’anni fa non esiste più, questa è solo la mia memoria. Oggi capisco un po’di più la cenere negli occhi di Nevio ed Aldina, che forse non si erano scottati col sole, invece il tempo li aveva già bruciati tante volte. E così mi sento più vicina anche ad Ardea, quel posto lontano nella mente, che nel mito venne incendiato e, come un uccello, dalle proprie ceneri risorse. Scrive Ovidio nelle Metamorfosi:
«Turno muore. Ardea cade con lui, città fiorente finché visse il suo re. Morto Turno, il fuoco dei Troiani la invade e le sue torri brucia e le dorate travi. Ma, poi che tutto crollò disfatto ed arso, dal mezzo delle macerie un uccello, visto allora per la prima volta, si alza in volo improvvisamente e battendo le ali, si scuote di dosso la cenere. Il suo grido, le sue ali di color cenere, la sua magrezza, tutto ricorda la città distrutta dai nemici. Ed infatti, d’Ardea il nome ancor gli resta. Con le penne del suo uccello Ardea piange la sua sorte».
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