Mi ricordo dell’edicola chiosco sul viale a Firenze. La parte che affacciava sulla strada con le riviste e i quotidiani in bella mostra che circondavano la faccia da ergastolano dell’edicolante. Sul lato sinistro, dietro un vetro (probabilmente antiproiettile), i periodici; come se rubare “Casabella” e “Gardenia” fosse la massima ambizione di qualche passante preso da un raptus di delinquenza.
Ma quello che rapiva la mia immaginazione era il lato destro: tra il lato del chiosco e il platano secolare lì accanto era teso un telone verde scuro, chiuso su 3 lati. Dall’unico angolo aperto entravano ed uscivano uomini di ogni età, spesso indossavano un cappotto stile Ispettore Derrick, anche in pieno agosto. A Firenze, in pieno agosto, con l’impermeabile… ci sono più possibilità di sopravvivere saltando sotto un Tir.
O forse ero semplicemente io che volevo rivestire di ulteriore mistero i frequentatori di quell’angolo dell’edicola, già misterioso di per sé. Pensavo che entrassero in quella tenda scura per parlare tranquillamente con l’edicolante senza occupare la parte frontale del chiosco. Quanta infantile innocenza, quanto mi sbagliavo. E quanti mondi avrei scoperto negli anni a venire.
C’era un’unica eccezione editoriale che rimaneva fuori dalla pornotenda: pur avendo delle tette in bella vista direttamente in copertina, Playboy aveva la dignità di essere custodito nella vetrina antiproiettile e doveva essere espressamente richiesto all’edicolante.
Hugh Hefner è stato colui che da Los Angeles è riuscito nella non facile impresa di far uscire i seni fuori dal mondo del porno, di far considerare delle foto di donne nude qualcosa di artistico e non sconveniente. E di far cambiare l’ordine delle cose persino in una remota edicola italiana.
Parlare di Playboy come di una rivista erotica è avvilente: gli articoli di approfondimento, le inchieste erano (e sono) roba seria e scritta bene. C’erano (e ci sono) giornalisti ed autori che per scrivere qualcosa là sopra si venderebbero le dita. C’erano (e ci sono) periodici italiani che per avere la dignità e l’autorevolezza di Playboy dovrebbero… no, niente: non ce la farebbero comunque.
Hugh Hefner è morto ieri nella sua megavilla sulle colline di Beverly Hills, circondato fino all’ultimo da ragazze seminude alle quali ha dato notorietà più o meno temporanea. Possiamo fermarci a questionare sulle sue scelte editoriali e sulla sua condotta pubblica e privata? Certo che possiamo, dopotutto siamo abituati a vedere pagliuzze in qualsiasi occhio tralasciando le sequoie che abbiamo nei nostri. Possiamo impicciarci e giudicare qualsiasi essere umano abbia camminato sulla terra, compresi pontefici defunti e madri terese assortite.
Però intanto Hefner si è battuto per i diritti civili quando mandò Alex Haley, un giornalista afro-americano, ad intervistare George Lincoln Rockwell, bonariamente conosciuto come “L’Hitler americano” e fondatore del Partito Nazista statunitense. Lui sì, noi no.
E poi ha finanziato innumerevoli opere benefiche, ha raccolto fondi per la ricerca e la cura dell’AIDS, è stato sostenitore dei matrimoni tra persone dello stesso sesso anche quando sentir solo parlare di gay e omosessualità faceva svenire persone per strada. Lui sì, e noi che facevamo?
Cito testualmente: “Hugh Hefner si è spento per cause naturali”. Quanti errori in una sola frase, quanto sarebbe triste di sapersi spento e non acceso. E senza nemmeno cause straordinarie a giustificarlo.
Ammiratori e detrattori possono trovarlo sepolto al Westwood Village Memorial Park Cemetery dove riposa nella sua cripta acquistata già nel 1992. Accanto a lui c’è la tomba di Marylin Monroe, da lui scoperta (in ogni senso) nel 1953.
C’è chi può e chi non può: lui, decisamente, ha potuto. Quantomeno ha osato.
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In copertina: Hugh giovanotto in mezzo alle sue conigliette.
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