Il 27 dicembre del 2011, nel comune di Licodia Eubea, in provincia di Catania, una giovane donna, studentessa di lettere e filosofia, viene uccisa dal suo ex fidanzato che, entrando in casa di lei, la colpisce con otto coltellate. Con lei muore anche il nonno, mentre cerca di difendere la nipote dalla furia del ragazzo. Anche la nonna, per lo stesso motivo, rimane gravemente ferita.
Questa è la storia del femminicidio di Stefania Noce, assalita e uccisa da Loris Gagliano, il ragazzo da cui si voleva sentimentalmente separare. L’evento che scatena “l’arrabbiatura” di Loris: Stefania quel giorno gli aveva detto di preferire di andare a giocare a carte con le amiche, piuttosto che uscire con lui.
Anche in questo caso, come in ogni caso di femminicidio, l’uccisione di Stefania non è avvenuta di punto in bianco, ma è stata l’apice di una serie di violenze volte a minacciare e impaurire la vittima. Loris, prima di entrare in casa brandendo un coltello, aveva già manomesso i freni della macchina di Stefania, e – come gesto intimidatorio – persino piazzato una balestra nella casa abbandonata che stava dirimpetto a quella dove Stefania abitava con la famiglia. Non si può, quindi, parlare di furia obnubilante, è evidente che l’aggressione fosse premeditata, probabilmente causata da una rabbia innescata da uno o più rifiuti di Stefania nei suoi confronti.
Stefania non vuole più stare con lui, Stefania gli preferisce le amiche, Stefania…
La verità è che Stefania vuole essere una donna libera di scegliere. E questo è per Loris inaccettabile.
Quella di Stefania è una storia purtroppo molto comune nei casi che caratterizzano i femminicidi di tutto il mondo, e i numeri in questo senso parlano chiaro: in Italia, ad esempio, secondo i dati dell’istituto Ricerche Economiche e Sociali (Eures) dal 2000 a ottobre 2018, i femminicidi sono stati 3.100 e il 66,1% delle donne uccise sono morte per mano dei mariti o dei compagni.
Il caso di Stefania Noce è inoltre importante non solo perché la sua storia è poi diventata un simbolo della lotta contro la violenza di genere, ma anche la data del successivo processo d’appello, che si aprì a Catania il 25 Novembre, la giornata internazionale contro la violenza sulle donne e durante il quale, per la prima volta in Italia, nella sentenza di primo grado si parlava di “femminicidio”.
Prima di tutto chiarire di cosa parliamo, quando parliamo di “femminicidio”. Questa parola esiste nella lingua italiana soltanto dal 2001: fino ad allora l’unico termine che indicava la specifica uccisione di una donna era “uxoricidio”. La differenza tra uxoricidio e femminicidio è però notevole. Se uxoricidio, dal latino uxor, moglie, significa l’uccisione del coniuge, sia femminile che maschile, per estensione, ed è un’aggravante dell’omicidio, con femminicidio, invece, s’intende l’uccisione di una donna, proprio in quanto donna.
Anche in ambito criminologico, con il termine femminicidio, si fa riferimento a tutte le pratiche violente che, esercitate da un soggetto di sesso maschile, creano un danno a una donna proprio “perché donna”. Questo vuol dire che se, per esempio, un attentatore maschio spara su una folla e uccide una o più donne, non è femminicidio. Oppure, se un ladro uccide una donna durante una rapina per eliminare il testimone, non si tratta di femminicidio: molto probabilmente il ladro avrebbe cercato di eliminare il testimone in ogni caso, anche se al suo posto ci fosse stato un uomo. Il femminicidio, invece, da un lato ha moltissimo a che fare con la difficoltà di accettare la libertà delle donne di essere donne “ognuna a modo suo”, ovvero la possibilità e il diritto di definire e ridefinire continuamente cosa significhi essere donna. Dall’altro con l’inaccettabilità della presa di coscienza di questa libertà da parte di chi si fa portatore di un’ideologia patriarcale, che invece obbligherebbe le donne stesse a essere solo in un certo modo, rimanendo sempre entro certi limiti di obbedienza e sottomissione a figure di sesso maschile.
Il femminicidio non è quindi soltanto l’uccisione o la violenza verso una donna in quanto donna, ma da parte di chiunque si faccia sostenitore di una certa ideologia misogina e patriarcale. Secondo il “Canadian Femicide Observatory for Justice and Accountability” esistono, infatti, tantissime tipologie di reati che rientrano all’interno della definizione di femminicidio. Tra questi si nomina ad esempio il female-perpetuated femicide, il femminicidio perpetuato da donne, che include tre categorie principali, ovvero quella delle donne che agiscono come perpetuatrici del patriarcato e che può includere gli omicidi legati alla dote, l’infanticidio di bambine femmine, la morte di bambine e ragazze per via di mutilazioni genitali. Nella seconda categoria si raggruppano le uccisioni di donne da parte di altre donne legate alle dispute tra bande criminali. E, infine, la terza categoria, che raggruppa le donne che agiscono per conto proprio, spinte dalla gelosia o da motivazioni economiche e/o ideologiche. Questo per dire che il delitto di femminicidio non riguarda, come attuatori, i soli uomini, ma tutti coloro che si fanno, per usare le parole di Diana Russel, “agenti del patriarcato”.
Quando una donna si prende – perché raramente gliela si da – la libertà di essere la donna che sente di essere, ricreando con la sua vita e con le sue scelte una tipologia di femmina che non appartiene a nessuna iconografia comportamentale o figurativa, quando una donna si ribella e vuole chiudere una storia che per lei non funziona più o che sente essere deleteria, quando una donna si sente di disobbedire agli ordini della famiglia, quando una donna si prende la libertà di vestirsi come vuole, amare chi vuole, camminare come vuole, alcuni sostenitori dello status quo (uomini, dati alla mano, nella maggior parte dei casi) si sentono in dovere di castigarla, per rimetterla al posto che la società esige occupi: quello di sottomessa.
In italiano, oggi, il termine compare sulla pagina dell’Accademia della Crusca, sul dizionario Zanichelli, sullo Zingarelli dal 2010 e su altri vocabolari. Il Devoto-Oli definisce il termine, dal 2009, come ogni forma di violenza esercitata sulle donne “in nome di una sovrastruttura di matrice patriarcale” sia allo scopo di perpetuarne la subordinazione, sia per annientarne l’identità “attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte”.
Derivata da due termini inglesi, femicide o feminicide, la parola femminicidio in italiano è l’evoluzione, tradotta, dei lemmi femicidio e femmicidio, che ha assunto la forma più utilizzata oggi, appunto quella del neologismo femminicidio.
Storicamente, la prima volta che il termine inglese femicide è stato usato in maniera documentata e rintracciabile risale alla pubblicazione del libro “A Satirical View of London at the Commencement of the Nineteenth Century”, un volume del 1801 dell’autore inglese John Corry, dove il termine indicava l’omicidio di una donna. La parola femicide viene poi nel 1848 pubblicata nel Warthon’s Law Lexicon, al tempo il paradigma di riferimento per le leggi inglesi, sempre per indicare l’omicidio di una donna.
È solo nel 1976 che il termine è stato reintrodotto pubblicamente dalla ricercatrice e attivista femminista Diana Russel, che all’International Tribunal of Crimes Against Women parla di femicide per riportare l’attenzione sulla violenza e la discriminazione contro le donne, e che con questo termine intende s’indichino tutte “le uccisioni delle donne da parte degli uomini motivate da odio, disprezzo, piacere, o senso di possesso nei confronti delle donne”.
Nel 1992, sempre Russel, pubblica il libro “Femicide: The Politics of Women Killing”, dove scrive:
‘Femicide’, defined as ‘the misogynist killing of women by men’, accounts, they say, for most murders of women. It is ‘a form of capital punishment’, fundamental to patriarchal societies, which are ‘rooted in violence’ and whose continued existence depends on controlling women. Femicide can be exacerbated by racism, incited by pornography and is frequently condoned by a judiciary which holds similar prejudices about women as do the men in the dock.
(Si dice che “femminicidio”, definito come “l’uccisione delle donne da parte degli uomini per misoginia”, possa spiegare la maggior parte degli omicidi di donne. È “una forma di pena capitale”, fondamentale per le società patriarcali, che sono “radicate nella violenza” e la cui esistenza perpetuata nel tempo dipende dal controllo delle donne. Il femminicidio può essere esacerbato dal razzismo, incitato dalla pornografia ed è spesso condonato da un sistema giudiziario che ha pregiudizi simili sulle donne come gli uomini sul banco degli imputati.)
L’anno seguente, 1993, nell’ambito degli studi delle violenze subite dalle donne in Messico, l’antropologa messicana Marcela Lagrande usa il termine femminicidio per ricordare i numerosissimi omicidi di donne compiuti ai confini tra il Messico e gli Stati Uniti, rendendo il significato del termine ancora più ampio. Lagrande fa in modo che con “femminicidio” si cominci a indicare non solo l’uccisione di una o più donne da parte di un uomo per via di pratiche misogine, ma anche stupri e maltrattamenti: con feminicide si comincia a considerare così una forma estrema di violenza, pubblica o privata, in cui si violano i diritti umani di una donna per via di condotte misogine.
In Italia, il termine inizia a venire utilizzato in maniera massiccia dal 2008, in seguito alla pubblicazione del libro “Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale”, di Barbara Spinelli, all’epoca consulente dell’ONU in materia di violenza sulle donne.
Dal punto di vista internazionale è prima di tutto importante notare che è solo dall’inizio degli anni 2000 che l’Unione Europea ha iniziato attivamente a promuovere dei programmi per contrastare la violenza di genere, facendola divergere dalla violenza domestica, e si hanno tre principali eventi che sono stati importati per il suo ordinamento: il primo è la “Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne” adottata dall’ONU nel 1993; nel 2009, poi, entra in vigore il trattato di Lisbona che riconosce la parità tra uomo e donna come uno dei valori fondamentali dell’Unione Europea, parità che viene posta come uno dei principali obiettivi. La Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea stabilisce, infatti, che il rispetto della dignità umana, la proibizione di trattamenti inumani o degradanti, il divieto di discriminazione sulla base del sesso e l’obbligo di perseguire la parità tra uomo e donna siano basilari. Infine, il 15 maggio del 2011, i membri del Consiglio d’Europa sottoscrivono la Convenzione di Istanbul, nella quale si definisce che l’espressione “violenza contro le donne” sia basata sul genere e designi qualsiasi violenza contro una donna in quanto tale, o una violenza che colpisce le donne in modo sproporzionato e che comprenda quindi tutti gli atti violenti fondati sul genere, atti che provocano o possono provocare sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica.
Questi che abbiamo menzionato sono dei traguardi molto importanti per quanto riguarda l’uguaglianza di diritti di uguaglianza tra uomini e donne e la violenza di genere, perché la modalità con cui l’uccisione e la violenza sulle donne viene perpetuata ha dimostrato come la sola definizione di omicidio non riesca a spiegare le ragioni che portano all’uccisione delle donne per femminicidio, ragioni che però sono intrinseche all’atto. Come scrive Michela Murgia, indicando un’uccisione di una donna come femminicidio sappiamo non solo che una donna è stata uccisa, ma anche il perché. In aggiunta, si deve tener presente che la riforma del delitto di famiglia in Italia risale al 1975: sino ad allora l’uomo, marito e padre, era per legge il capo indiscusso del nucleo familiare, orientava e indirizzava le vite di tutti i suoi componenti e poteva, ad esempio, pretendere dalla moglie rapporti sessuali da lei non desiderati, senza che lei potesse difendersi legalmente. Questo significava che la donna fosse vista alla pari di un oggetto, una proprietà del marito. Inoltre, l’attenuante del delitto per causa d’onore in Italia è stata abrogata solo nel 1981, attenuante con la quale il marito, ammazzando la moglie, poteva essere condannati, in determinati casi, ad appena tre anni di carcere.
E’ per tutti questi motivo che l’utilizzo e la diffusione del termine femminicidio siano oggi molto più importanti di quanto possa apparire. Si tratta infatti di un termine che non descrive, semplicemente, un’azione compiuta a scapito di una o più donne, ma che è anche un modo di parlare della struttura della società, e di come essa funziona.
Sul piano giuridico, in Italia, non esiste ancora il reato di femminicidio, ma il termine è stato introdotto nell’ordinamento penale con il decreto legge 14 agosto 2013, n. 93 recante “Nuove norme per il contrasto della violenza di genere che hanno l’obiettivo di prevenire il femminicidio e proteggere le vittime”. Si tratta di una legge che ha reso più severe le pene nei confronti del femminicidio e della violenza di genere, introducendo per la prima volta l’arresto in flagranza per i reati di maltrattamenti famigliari e per quelli di stalking, e che ha instaurato la possibilità dell’allontanamento della persona violenta dall’abitazione in cui risiede.
Virginia Patrone è urbanista e scrittrice, radio speaker, illustratrice, pensatrice libera e libertaria. Scrive e disegna per capire il mondo. È nata a La Spezia (1985) ed è cresciuta a Genova. Ha studiato e vissuto in molti paesi diversi e ora vive in uno sperduto villaggio in Anatolia. Quando l’idea di essere remota la spaventa pensa a Tilda Swinton: la lontananza è oggi uno status mentis. Se andasse a Hogwarts la sua casa sarebbe Rowanclaw. Se fosse un elettrodomestico, forse sarebbe una lavapiatti, invenzione di una donna.
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Bibliografia
http://www.treccani.it/magazine/webtv/videos/pdnm_della_valle_femminicidio.html
https://www.mentinfuga.com/femminicidio-e-violenza-sulle-donne-una-storia-di-barbarie/
https://accademiadellacrusca.it/it/consulenza/femminicidio-i-perche-di-una-parola/803
https://www.igorvitale.org/storia-del-femminicidio/
https://www.robadadonne.it/188839/femminicidio-leggi-statistiche-italia-mondo/
https://www.bloggiuridico.it/femminicidio-reato-codice-penale/
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