Più passa il tempo e più c’è un settore che soffre.
Il mondo della musica dal vivo (e più in generale la cultura e l’intrattenimento) è il primo che ha chiuso le porte di club, teatri, cinema, locali e sarà con tutta probabilità l’ultimo a riaprire davvero.
Per “riaprire davvero” si intende senza troppe limitazioni, che per alcuni ambiti sono impensabili: se può essere fattibile, infatti, godersi un concerto di musica classica o uno spettacolo teatrale con distanze e mascherine, è praticamente impossibile pensare ad una soluzione del genere per un concerto rock o per una serata danzante in un club.
Ma partiamo con dei numeri, tanto “di attualità” in questo periodo.
Secondo un recente articolo de Il Sole 24 Ore, che prende spunto dai dati forniti dall’Osservatorio Impresa Cultura Italia-Confcommercio e Swg, nel 2020 i concerti dal vivo hanno avuto un calo di fatturato dell’89%, i festival culturali dell’86%, il teatro de 90%, il cinema dell’84%, mostre e musei del 62%. Questo in Italia, ovviamente, ma non è andata meglio altrove.
A Berlino, ad esempio, nel 2019, il mondo dei club e della nightlife ha generato introiti per 1,48 miliardi di euro e ha portato in città 3,5 milioni di persone, ognuno delle quali è rimasta in media 2,4 giorni e ha speso circa 205 euro al giorno. Un sacco di quattrini. Un dato che nel 2020 si è però praticamente azzerato, secondo uno studio della ClubCommission Berlin, associazione che riunisce oltre 300 club berlinesi.
Un dato, quello di Berlino, che dimostra quanto la cultura e il divertimento creino un indotto economico enorme e di cui troppo spesso, specie in Italia, si sottovaluta il valore. È difficile far capire alle istituzioni italiane che gli introiti generati da una città attiva culturalmente sono enormi, con benefici per tantissime categorie, dagli albergatori ai ristoratori, passando per le piccole attività locali.
Come disse lo storico ministro della cultura francese Jack Lang, “per ogni franco investito in cultura, ne rientrano almeno 5” e lo dimostrò con i fatti.
La pandemia da Covid-19 ha evidenziato problematiche di settore già presenti da moltissimo tempo in Italia. Dalla scarsa tutela sociale ed economica dei tanti lavoratori dello spettacolo, fino agli investimenti, del tutto insufficienti, e soprattutto la mancanza di una visione e di una strategia istituzionale per un settore che potrebbe essere fondamentale, se si riuscissero a integrare lo storico patrimonio artistico e museale con la necessità di esplorare e dare linfa a nuove tendenze artistiche e culturali.
Per capire a fondo la situazione, sia in Italia che nel resto d’Europa, abbiamo contattato diversi operatori che lavorano nel mondo della musica, per farci raccontare le loro esperienze durante questi dodici mesi di pandemia.
Andrea Ponzoni è product manager per Doc Servizi, cooperativa di lavoratori dello spettacolo, molto attiva in questi mesi difficili.
“Alcuni ristori per i lavoratori sono arrivati, circa 4800 euro in 6 mesi. È stata una battaglia ottenerli e non sono comunque sufficienti. Per i promoter e i locali ci sono stati dei ristori, per un massimo di 30.000 euro. Anche qui tantissima burocrazia e difficoltà non sono mancate. Inoltre ci sono stati bandi regionali e comunali e iniziative private di società di collecting come Siae e Nuovo Imaie (la società degli editori) o nello specifico a favore di artisti e lavoratori come quelle di Music Innovation Hub e Scena Unita (la raccolta fondi avviata da Fedez). Sembra tanto, ma non basta, il settore è allo stremo”.
E in merito ai lavoratori aggiunge: “Stiamo perdendo i nostri migliori tecnici, chi può cambia lavoro. Quando si ripartirà, perchè prima o poi succederà, rischiamo di dover rinunciare a moltissimi professionisti preparati”.
Andrea ci segnala anche una notizia molto positiva.
Il senatore del Pd Francesco Verducci, vicepresidente della Commissione Cultura al Senato, insieme al deputato dei dem Matteo Orfini, ha depositato una proposta di legge per il cosiddetto Reddito di discontinuità (ispirato al modello francese). Si tratta di un reddito che lo Stato garantisce al lavoratore dello spettacolo per il periodo in cui non lavora, quindi ad esempio tra due performance o due ingaggi, a patto che l’artista abbia lavorato almeno 51 giornate nell’anno precedente la richiesta. L’indennità giornaliera sarà pari all’80% della media del reddito percepito nei due anni precedenti (85% se si è lavorato 80 giornate o più). Si tratta di una misura specifica per un tipo di lavoro che è ontologicamente intermittente. Con benefici anche a livello di versamenti pensionistici. Ne ha scritto approfonditamente Il Sole 24 ore, in questo ottimo pezzo.
Soddisfatta di questa proposta di legge è anche Manuela Martignano, fra le promotrici del coordinamento La Musica Che Gira, nato poco dopo l’esplosione della pandemia per unire le voci di diverse figure del mondo della musica come manager, artisti, agenzie di booking, tecnici, promoter, uffici stampa, produttori ed etichette discografiche: “È una legge che i lavoratori dello spettacolo e degli eventi attendevano da tanto tempo, non si può più aspettare. Stiamo attraversando una pandemia, con una parte di lavoratori che non ha diritto all’indennità di malattia, la situazione è gravissima. Se questa legge fosse stata approvata anni fa, quest’emergenza non avrebbe trovato il settore in una situazione di fragilità estrema che porterà a delle conseguenze che ancora non siamo capaci di quantificare a pieno”.
Martignano sottolinea anche l’inefficacia, fino ad oggi, dei fondi ricevuti e soprattutto delle difficoltà nel dialogo con il Ministero della Cultura: “Il sistema degli indennizzi ai lavoratori e dei ristori alle aziende messo in campo fino ad adesso è inadeguato e insufficiente. Il Ministero è entrato in questa emergenza non avendo neanche una mappatura di tutte le realtà che compongono il settore, perché molte di loro non vivono sotto l’ombrello del FUS (Fondo Unico dello Spettacolo). Serve continuare il dialogo con le istituzioni, che devono arrivare a una conoscenza più approfondita di un mondo complesso e articolato per potersene occupare appieno e in maniera efficace”.
Come si può proseguire questa battaglia? “Noi abbiamo sempre provato a essere ai tavoli di discussione per far comprendere le nostre posizioni e le necessità del settore. A volte basta il dialogo, a volte questo dialogo va un po’ sollecitato con delle mobilitazioni più plateali. In questo momento, oltre a preoccuparci dell’emergenza, abbiamo bisogno di parlare di futuro: puntiamo alla riapertura, senza aspettare che la campagna di vaccinazione arrivi a coprire il 60/70% della popolazione. Abbiamo bisogno di riaprire, con tutti i limiti e gli accorgimenti del caso, ma abbiamo bisogno di riaprire il prima possibile: per i lavoratori altamente specializzati che da un anno sono fermi e che rischiamo di disperdersi e per le casse dello Stato, che corrispondendoci un ristoro sul mancato sbigliettamento e compensandoci per i maggiori costi (che per comodità chiameremo di “covid management”), risparmierebbe rispetto alle politiche di sostegno che deve mettere in campo per un settore completamente fermo. E poi dobbiamo farlo per il pubblico, perché nessuno qui parla mai in maniera approfondita dei danni psicologici, ma abbiamo davvero bisogno di un minimo di ritorno a qualcosa che somigli alla normalità, all’aggregazione, alla condivisione di spazi e momenti con altri esseri umani. Di certo parliamo di un settore che subisce danni elevatissimi e che avrà bisogno di essere accompagnato e sostenuto per i prossimi anni, anche quando l’emergenza sarà finita”.
Federico Rasetti è Direttore di KeepOn LIVE, associazione di categoria dei live club italiani e ci presenta un importante dato che emerge da uno studio (in uscita a breve) che hanno realizzato tra i loro associati: se nel 2021 non si potessero tenere concerti dal vivo, solo il 10/15% delle sale sopravviverebbe.
“C’è da specificare che questo dato comprende anche i locali che cambierebbero destinazione d’uso da luogo di pubblico spettacolo a ristorante per esempio, ma comunque la situazione resta molto preoccupante, perchè si rischierebbe di radere al suolo un comparto che contribuisce alla formazione culturale del paese, un antidoto contro la pigrizia intellettuale e la disgregazione sociale”.
Riaprire in sicurezza (quindi con mascherine e distanze “mentre sui test rapidi sono poco fiducioso che possano arrivare fondi dalle istituzioni”), insieme a ristori più corposi è, anche secondo Federico. la strada giusta per non far collassare il settore: “Insieme ad Assomusica (associazione di produttori e organizzatori di spettacoli di musica dal vivo) e Arci abbiamo elaborato una proposta che prevede innanzitutto di fare chiarezza sui codici Ateco (codice con cui viene identificata un’attività economica, ndr), uno dei problemi che ha reso difficile, per qualcuno, accedere ai fondi. Inoltre chiediamo l’abolizione dell’Imposta sugli Intrattenimenti (ISI), l’aumento della capienza a 2 persone per metro quadro (come già avviene in molti paesi d’Europa) e di equiparare l’IVA al 10% per tutte le attività coinvolte nella realizzazione di uno spettacolo. Soprattutto, bisogna prevedere un riconoscimento formale dei Live Club, come avviene per cinema e teatri, attraverso criteri oggettivi. Abbiamo mandato le nostre proposte ai ministeri, speriamo che col nuovo Governo si sblocchi la situazione”.
Sulla proposta di Legge Verducci/Orfini per il Reddito d’Intermittenza KeepOn è favorevole, ma ci tiene a sottolineare (giustamente, ndr) un punto importante: “Bisogna tutelare anche i luoghi dello spettacolo, altrimenti, se non avremo i contenitori di chi organizza lo spettacolo, dove andranno a lavorare i bravissimi tecnici che abbiamo? Rischiamo che, ad emergenza finita, manchino migliaia di posti di lavoro.”
Su una linea molto simile è anche Claudio Trotta, fondatore di Barley Arts (che lavora con artisti del calibro di Bruce Springsteen, Ac/Dc e molti altri) e Slow Music, fra i più attivi in questi mesi per cercare, usando tutta la sua esperienza, di trovare soluzioni ai problemi pratici posti dal Covid-19.
“È stata data una errata rappresentazione del mondo della musica dal vivo, che non è solo quello dei grandi eventi e dei grandi numeri, che oggettivamente non si potranno organizzare ancora per molto tempo. Accanto ci sono, quotidianamente, le famiglie di centinaia di migliaia di persone che vivono del lavoro della rappresentazione artistica nei bar, nei locali, nei teatri, nei club, nelle piazze, e non solo nei palazzi dello sport o negli stadi o nelle grandi arene all’aperto. Sono maestranze e artisti di ogni genere, che alimentano la salute psicofisica e curano le ferite dell’animo di milioni di cittadini, che sono fruitori e non solo consumatori. Va immaginata una nuova economia organizzativa, vanno ripensate le priorità .Va rimessa al centro la fruizione e va accompagnata all’uscita di scena l’epoca del consumo. Abbiamo succhiato tutte le risorse della Terra e la stessa cosa è ormai successa anche nel mondo dell’entertainment. Si tratta di concepire, per fare un esempio concreto, che i tour internazionali europei utilizzino al meglio le eccellenze presenti in tutte le nazioni, evitando di trasportare, con centinaia di migliaia di autoarticolati, il ferro per montare palchi e audio e luci per gli impianti scenici dei loro spettacoli. Queste modalità, oltre che aiutare l’umanità ad avere un presente e un futuro che rispetti madre terra e quindi salvi gli umani dall’autodistruzione a cui sta andando rapidamente incontro, genererebbe un meccanismo virtuoso di occupazione e darebbe fiato alle imprese del territorio.”
Trotta ha anche un’idea molto chiara su come ripartire: “Credo che le modalità sinora utilizzate per sostenere gli operatori vadano corrette. È necessario supportare chi ha reale bisogno e necessità per non chiudere le proprie attività e per poter vivere dignitosamente se impossibilitato a lavorare dalle limitazioni e dai divieti correnti. Si tratta inoltre di sostenere con bandi e ristori appositi la ripartenza dello stare insieme in sicurezza e professionalità. Insieme a Slow Music, a medici e professionisti del settore, abbiamo elaborato nella primavera del 2020 un protocollo per la riapertura di tutto il mondo dello spettacolo dal vivo, delle arti e degli eventi, protocollo che abbiamo implementato e aggiornato in questo ultimo mese con il Forum delle Arti e Spettacolo e che stiamo per presentare al Governo Italiano e al Cts.”
Una personalità politica che ha preso recentemente una posizione molto netta in merito alla situazione dei luoghi culturali in Italia è Filippo Del Corno, assessore alla Cultura del Comune di Milano, che in un post su Facebook del 2 febbraio si esprimeva come segue: “Insisto: l’apertura dei luoghi della cultura, musei, biblioteche, cinema, teatri deve essere programmata con largo anticipo e irreversibile. Accontentarsi di micro-aperture burocratiche, provvisorie, discriminatorie, significa non capire che il nocciolo della questione è rivendicare il diritto inalienabile alla partecipazione culturale e assumere come priorità cruciale per il benessere della comunità il ritorno alla condivisione delle esperienze culturali. Continuo la mia battaglia: solo l’apertura programmata, non reversibile e autenticamente democratica dei luoghi di cultura, nel pieno rispetto delle prescrizioni mediche indicate dalla comunità scientifica, possono essere il miglior accompagnamento possibile alla campagna vaccinale, il segno di una “vaccinazione” sociale agita dai presidi culturali indispensabili per la salute collettiva della comunità.”
E a questo ha fatto seguire una lettera al Presidente del Consiglio, Mario Draghi, chiedendo che la Cultura sia messa tra le priorità del suo mandato.
Fondamentale, a questo punto, fare un confronto con alcuni paesi europei. In altri paesi UE ci sono stati aiuti sufficienti per il settore? Viene dato il giusto peso alla cultura?
In Germania tutte le imprese (quindi anche quelle culturali, liberi professionisti e gli stessi artisti) hanno ricevuto ad aprile/maggio 2020 circa 5.000 euro a fondo perduto, oltre a 9.000 euro per la copertura delle spese fisse (in aggiunta, chiaramente, alla cassa integrazione per chi ha dipendenti). Sono poi stati erogati altri fondi per coprire le spese fisse da luglio a dicembre, mentre sono arrivati da poco i cosiddetti November-Hilfen, ovvero qualcosa di simile al Piano Ristori in Italia, tramite cui le aziende possono ricevere il 75% del fatturato (in Germania) di Novembre 2019. La stessa operazione dovrebbe ripetersi per dicembre. Inoltre è stato approvato il piano NeuStart Kultur, attraverso il quale il governo federale ha stanziato 1 miliardo di euro da destinare al mondo di musica, arte, teatro e cinema, per sostenere il settore, adeguare le strutture e creare eventi on-line. Altri aiuti sono arrivati dal senato di Berlino, inoltre, per i club della capitale. Nonostante questo, non è tutto oro quel che luccica. Anche in Germania, dopo una prontissima risposta nella primavera 2020, pian piano si sono accumulati ritardi nei pagamenti e molte imprese sono in difficoltà.
“Gli aiuti ci sono stati, soprattutto per quanto riguarda i lavoratori e i costi fissi. Vero, ci sono stati talvolta dei ritardi, ma in generale non possiamo lamentarci. Senza questi fondi non saremmo sopravvissuti” ci dice Ralf Diemert, esperto booking-agent e fondatore dell’agenzia Von Der Haardt.
“Credo che lo Stato e l’opinione pubblica abbiano capito l’importanza del settore culturale in un periodo come questo. La mancanza di eventi si è fatta sentire per tutti e il governo, soprattutto alla fine del 2020 con i November-Hilfen, ha dato ossigeno al settore, per mantenerlo in vita. Il problema è che in Germania ci sono anche tanti lavoratori autonomi, per i quali è più faticoso accedere a questi fondi. Non dobbiamo dimenticarci di loro e spero che nei prossimi mesi lo Stato possa sostenere al meglio anche questa ampia fascia di persone.”
Lutz Leichsenring, membro del direttivo della già citata ClubCommission Berlin, ci dice che i club berlinesi hanno ricevuto aiuti sufficienti, grazie anche alla scelta di chiudere da subito i locali e non scegliere forme di protesta eclatanti, puntando al dialogo col mondo politico: “Abbiamo ricevuto molto denaro, soprattutto in confronto ad altre regioni o nazioni. Già il fatto che molti lavoratori possano usufruire della cassa integrazione è fondamentale. Poi ci sono stati numerosi fondi (che dipendono dalla grandezza del club, da quanto esiste ecc…) che hanno permesso di coprire tutti i costi. Alcuni, per questioni burocratiche, non sono riusciti a ricevere tutti gli aiuti, ma in generale direi che non possiamo lamentarci. Berlino è il Land che ha dato più supporto economico ai club e fino ad oggi nessuno ha dovuto chiudere definitivamente la propria attività. Mi sembra già un risultato degno di nota. Un problema sarà però la ripartenza, perché per ricevere questi aiuti (cassa integrazione a parte) bisognava avere il conto in banca vuoto e quindi i club hanno dovuto spendere tutti i loro soldi prima di incassare i fondi. Ripartire non sarà facile e avverrà gradualmente, ma io sono ottimista: dobbiamo puntare su test rapidi economici per una fase di transizione.”
Il promoter olandese Jacco Van Lanen dell’agenzia Double Vee Concerts ci spiega che nei Paesi Bassi ci sono stati fondi soprattutto per le grosse aziende dell’industria culturale e meno per gli artisti e i lavoratori dello spettacolo: “lo stato olandese in generale capisce che a livello strategico l’industria musicale è fondamentale per il nostro Paese, ma non riesce davvero a comprendere i bisogni degli artisti e dei lavoratori più piccoli, che sono in difficoltà”.
Kasper Boldt, agente della danese AllThingsLive, è invece parecchio critico nei confronti del governo della Danimarca: “qualcosa è stato fatto, ma la sensazione è che le istituzioni non capiscano davvero l’importanza del nostro settore, ma è così in tutta Europa. Abbiamo visto artisti vendere la propria strumentazione, colleghi venire licenziati in tronco, è deprimente. Dansk Live (associazione di categoria della live industry) ha stimato una perdita del 90%. È un dato enorme, siamo decisamente il settore più colpito. Credo sia sempre più evidente, dopo quasi un anno, che non si può vivere senza concerti, teatro, cinema, senza l’arte. Abbiamo bisogno di supporto concreto”. Boldt ci segnala questa lettera, scritta dai più grandi festival danesi (con in testa il leggendario Roskilde) e in cui si chiede di lavorare insieme al governo per una strategia che impedisca che il 2021 sia tragico come l’anno appena trascorso, aprendo ad esempio alla possibilità di utilizzo dei test rapidi (sulla scia di quanto detto dalla ClubCommission Berlin).
Situazione non molto differente anche in Portogallo, dove abbiamo parlato col promoter Luis Bandeira di Pinuts Booking. Alcuni aiuti sono arrivati, ma non a sufficienza: “Sono stati erogati fondi a livello nazionale e comunale, autorizzata una dilazione di una parte delle tasse e c’è stato anche un piccolo reddito mensile per i lavoratori indipendenti. Sembra molto, ma in realtà questi aiuti sono ben lontani dall’essere abbastanza.” Anche a Lisbona non sembra che il peso socio-economico della cultura sia compreso fino in fondo: “Durante l’estate alcuni membri del Governo hanno fatto la passerella ad alcuni eventi culturali, ma non capiscono davvero il nostro lavoro. Noi abbiamo fatto, a spese nostre, di tutto per adeguare gli spazi alle normative anti-Covid, ma abbiamo dovuto chiudere nuovamente. Non si può pensare di andare avanti così, serve trovare una soluzione per far svolgere gli eventi (che sono sicuri), anche perché non possiamo pensare di stare chiusi per un altro anno. Significherebbe la morte dell’intero comparto. Dobbiamo imparare, per ora, a convivere col virus.”.
Andiamo a Dublino, da Hugh Murray, ex discografico e da qualche anno direttore artistico del bellissimo Pavilion Theatre, appena fuori dalla capitale irlandese. Hugh sembra uno dei pochi soddisfatti di come si è mosso il governo nazionale: “Sono stati erogati numerosi fondi per il settore artistico, da contributi per stabilizzare il business ad altri per adeguare le sale alle norme anti-Covid, fino ad un fondo molto sostanzioso per realizzare eventi on-line. Credo che il governo, anche grazie alla gigantesca campagna messa in piedi da NCFA (National Campaign for the Arts), abbia capito l’importanza del nostro comparto, anche se non si può negare che manchi una strategia di supporto sul lungo periodo. È indispensabile che lo Stato continui ad aiutare economicamente il settore per superare questa enorme crisi, a nutrire il mondo dell’arte, senza il quale saremmo tutti persi”.
Mirko Bosio vive a Parigi da qualche anno, ha un piccolo locale che si chiama Ciao Gnari e organizza concerti nella capitale francese. “Per quanto riguarda gli aiuti a livello personale, il regime di Chomage Partiel (disoccupazione parziale) ha garantito a tutti gli operatori del settore una relativa stabilità, almeno per quanto riguarda una buona percentuale dello stipendio di fine mese. È stato inoltre concesso un anno bianco di dichiarazione dei redditi a tutti gli aventi diritto del settore, gravemente colpiti dalla mancanza di eventi e soprattutto di prospettive. Le aziende hanno ricevuto differenti aiuti dal CNM, il Centre National de la Musique, oltre a prestiti garantiti dallo stato, di varie entità. Se le notizie che mi arrivano dall’Italia sono corrette, credo che qui sia andata decisamente meglio, anche se il futuro resta incerto. Credo che dovremo ripensare in toto la nostra professione e non sarà semplice, ma stanno per iniziare alcuni interessanti esperimenti con i test rapidi e sono curioso di vederne l’evoluzione”.
La strategia più o meno univoca appoggiata dagli operatori di settore è insomma quella di riuscire a riaprire in sicurezza e di ricevere ristori per i mancati incassi, in attesa che la situazione possa tornare alla normalità grazie ad una diffusa immunità della popolazione. I test rapidi costituiscono un’opzione che si sta valutando in diversi paesi d’Europa, nella speranza di poter ottenere un supporto economico per rendere sostenibile l’operazione. In questo senso, in Spagna il Primavera Sound Festival, in collaborazione con l’Università Hospital German Trias di Barcellona, ha realizzato nel capoluogo catalano un esperimento interessante, che potrebbe fare scuola. È stato organizzato un concerto a cui hanno preso parte 1042 persone, tutte testate all’ingresso con test rapidi e risultati, negativi, consegnati dopo 15 minuti. Il pubblico ha potuto seguire il concerto senza distanza, ma con le mascherine. La serata, che si è tenuta dentro la Sala Apolo, che ha una capienza di 1600 persone, è durata circa 2 ore e 40 minuti. Dopo due settimane nessuno dei partecipanti ha sviluppato un’infezione da Covid-19.
Esperimenti simili si stanno svolgendo a Londra al 100 Club (dove viene testato un innovativo sistema di aerazione del locale che permetterebbe di filtrare il 99,9% dei germi patogeni) ed in Francia.
Queste misure saranno transitorie. L’obiettivo deve essere quello di godersi uno spettacolo senza distanze e senza mascherine, come sta avvenendo (all’aperto) in Nuova Zelanda e Australia, dove si sono tenuti alcuni festival senza alcuna limitazione, visti i pochi casi attivi di Covid-19. Sono immagini, quelle in arrivo da questi paesi, che ci hanno regalato speranza e che ci devono dare la forza di tenere duro: la cultura e la socialità sono elementi prioritari della nostra esistenza. Non solo ci fanno stare bene, ma educano e formano le nuove generazioni ad avere una mente aperta, a essere socialmente attivi e curiosi.
Questi ultimi dodici mesi ce la stanno insegnando a caro prezzo, la lezione. Bisogna tornare con più consapevolezza sia da parte di chi crea che di chi fruisce del lavoro di intrattenimento, con più tutele e una strategia di lungo periodo che supporti, ma per davvero, un settore primario e prioritario della nostra società. Ci sarà da lottare per ottenerlo.
Ercole Gentile vive a Berlino dal 2010, dove organizza da tempo concerti con guest italiane (Cosmo, Calcutta, Verdena, Carmen Consoli fra gli altri), oltre a vari altri impegni, fra cui quelli di booking agent per Von der Haardt e di giornalista freelance. In Italia è stato Presidente dell’associazione Italian Music Festivals ed è direttore artistico di Musicalzoo Festival di Brescia.
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