Davanti alla porta scorrevole dell’ingresso principale ci sono sparse, qua e là, una dozzina di persone. Alcune sono sole, in piedi o in sedia a rotelle. Altre sono sparpagliate in gruppetti. Quasi tutti fumano. I suoni di una qualche variante dell’arabo si mischiano al silenzio e alla calma, che si respirano a ridosso del canale lì vicino. Tutte le pareti dell’imponente edificio, le due torri con le grandi ali a V che si protendono in avanti come un volatile minaccioso, sono scenograficamente ricoperte con lastre di calcestruzzo bagnato, un materiale a basso costo, usato per pavimentare aree e zone pubbliche. La bizzarra opera architettonica fu progettata dall’architetto tedesco Peter Poelzig e inaugurata, alla presenza del presidente della Repubblica Federale Tedesca Gustav Heinemann, nell’agosto del 1970. Quattro anni prima, il 15 giugno 1966, Willy Brandt, in qualità di sindaco della città, aveva dato l’avvio ai lavori di quella che sarebbe diventata la prima struttura ospedaliera pubblica costruita a Berlino nel dopoguerra.
Unico ospedale presente nel famoso quartiere berlinese di Kreuzberg, il Vivantes Klinikum am Urban si trova al civico numero 1 di Dieffenbachstraße, una delle più suggestive strade della capitale tedesca. Da lì, la via con gli ampi marciapiedi dedicata al chirurgo Johann Friedrich Dieffenbach (1794-1847) scorre verso est in linea retta, sotto le altissime fronde di mastodontici platani che ne costeggiano il percorso. Quasi tutti gli alberi hanno i tronchi leggermente inclinati verso la strada, come per creare apposta una grande volta a sesto acuto che, quando splende il sole, proietta a terra magnifici filtri di luce.
Da un punto di vista estetico e architettonico, l’imponente costruzione del nuovo Klinukum am Urban, una struttura di travi e pilastri rivestita di cemento armato, appare come un pugno in un occhio rispetto al resto dei palazzi che sorgono sulla Dieffenbachstraße. A poche decine di metri in direzione est, infatti, comincia uno spazio urbano completamente diverso, il cui modellamento risale agli anni Settanta del XIX secolo, ai tempi del Gründerzeit, il periodo della prima rivoluzione industriale in Germania e in Austria (1871-1873). Si tratta di un’area topograficamente circoscritta e risparmiata dai bombardamenti alleati della Seconda guerra mondiale: si estende da Planufer a nord, lungo il Landwehrkanal, fino agli ingressi del parco di Heisenheide a sud, ed è delimitata a est dal Kottbusser Damm. Qui i palazzi, eleganti e dai colori tenui, ospitano appartamenti con soffitti alti e pavimenti in legno. All’esterno gli edifici sono allineati tutti alla stessa altezza e molti presentano facciate decorate con motivi e rappresentazioni che risalgono alle varie tradizioni stilistiche dei secoli precedenti. Questo stile architettonico e artistico è noto fra gli storici dell’arte con il nome di Historismus e si colloca tra il tardo diciannovesimo secolo e gli inizi del ‘900: si è dimostrato capace di affermarsi fra la ricca borghesia tedesca, rivaleggiando con il coevo e in voga Jugendstil.
Camminando lungo Dieffenbachstraße, alzando lo sguardo verso il cielo, si nota che la gronda, quella parte del tetto che sporge dal muro esterno di un edificio, è per tutti i palazzi ad una stessa altezza, 22 metri, come previsto dal Bebauungsplan der Umgebungen Berlins, il piano urbanistico dei dintorni di Berlino del 1862 dell’urbanista prussiano James Hobrecht. Singolare il fatto che solo recentemente la IHK, l’Industrie und Handelskammer di Berlino (Camera di Commercio e Industria) ha diramato una nota in cui, sulla scia di una delibera del Senato del febbraio 2020, viene sancito che «la Berliner Traufhöhe (altezza della gronda) di 22 metri non può più essere un dogma all’interno della città».
Nel suo percorso rettilineo di circa 1000 metri, Dieffenbachstraße si incrocia ortogonalmente con altre due strade, che possiamo utilizzare per dividere Via Dieffenbach in due parti. La prima è quella che va fino a Grimmstraße ed è occupata interamente, sul versante meridionale, da un complesso di basse palazzine di mattoni chiari che appartenevano all’originaria costruzione dell’ospedale (Krankenhaus am Urban), quella risalente al 1890. Oggi l’intera struttura, i cui edifici per un terzo andarono distrutti sotto il bombardamento aereo del 22 novembre 1943, è stata trasformata in un’oasi residenziale nel cuore di Berlino, dopo aver ospitato fino a dieci anni fa i locali del reparto di Psichiatria del Vivantes Klinikum am Urban. Sul lato nord, invece, solo palazzi e un ristorante, eritreo, indizio del variegato assortimento culturale della pletora di locali che affollano il secondo tratto di Dieffenbachstraße, cuore del cosiddetto Graefekiez. L’espressione deriva dall’unione del nome del medico oculista berlinese Albrecht von Graefe (cui è dedicata l’altra strada che incrocia Dieffenbachstraße) e la parola Kiez, che indica, soprattutto a Berlino, una circoscritta zona di un quartiere caratterizzata da specifiche connotazioni architettoniche – spesso aree risparmiate dalle bombe – ma anche sociali e soprattutto economiche. La parola deriva da Kietz, termine con cui gli storici si riferiscono ai particolari tipi di insediamenti medievali nel Nord-Est tedesco, nella Germania Slavica. Sorgevano nei pressi di castelli ed erano abitati, specialmente in origine, da popolazioni slave che prestavano al signore del castello opera di servizio e vassallaggio.
Nella capitale tedesca, come sanno i berlinesi, di Kieze ce ne sono, e molti, nei quartieri di Prenzlauer Berg, di Friedrichshain, Neukölln, Wedding e anche di Lichtenberg. Al fine di individuare le caratteristiche comuni ai vari Kieze di una città, il sociologo e scrittore tedesco Michael Rutschky (1943-2018) aveva coniato nel 1982 il concetto di Soziotop (sociotopo) per indicare la stretta connessione tra la comunità e lo spazio delimitato in cui abita. Forzando un po’ l’analogia si può dire che, come in biologia si intende con biòtopo il complesso ecologico in cui vivono organismi animali e vegetali di una stessa specie o specie affini, il Soziotop comprende individui che condividono stesse abitudini, stessi gusti, stessi valori e soprattutto stesso livello economico e sociale. I concetti di Rutschky furono ripresi nel 1994 dal sociologo tedesco Hasso Spode e applicati alla composizione socioculturale del quartiere di Kreuzberg.
Tutti i Kieze di Berlino, a partire dagli anni immediatamente successivi alla Riunificazione del 1990, sono stati colpiti dalla gentrificazione, il discusso processo di «riqualificazione e mutamento fisico della composizione sociale di aree urbane marginali», come spiega efficacemente la Treccani, che aggiunge anche come le conseguenze sul piano socioeconomico siano spesso non egualitarie.
In alcuni quartieri, vedi Friedrichshain, da tempo si protesta contro la gentrificazione, mentre in altri, come nel Graefekiez di Kreuzberg, il fenomeno si è sviluppato in maniera molto più tranquilla. Il prezzo delle case qui raggiunge, stando agli ultimi aggiornamenti delle varie agenzie immobiliari, gli 8.000 €/m². Per affittare un monolocale di 30 m² ci vogliono anche 1000 euro al mese. E l’aumento dei prezzi non sembra subire rallentamenti nemmeno in tempo di pandemia, stando ai dati della società immowelt, che ci dicono che dal 2020 al 2021 il costo al metro quadrato delle abitazioni nel Kiez è aumentato del 7%. Chi viveva in quei palazzi, come gli abitanti della Kreuzberg degli anni ’80 e ’90 – studenti, migranti, pensionati, insegnanti, piccoli imprenditori – non ha potuto più permettersi certi prezzi ed è stato costretto ad andare via, lasciando la propria casa a una nuova classe sociale costituita da gioventù facoltosa, manager, professionisti, professori universitari, che non ha problemi a pagare tali cifre per abitare in una casa del Gründerzeit, ristrutturata e rimodernata, in uno dei migliori angoli di Berlino.
Il cuore della gentrificazione, in estrema sintesi, è questo, anche se non è ben chiaro, dicono gli esperti, se l’aumento dei prezzi sia causa o effetto dello scambio degli abitanti del quartiere.
Della scena alternativa della vecchia Kreuzberg, qui nel Grafekiez, è rimasto soltanto qualche locale turco. Oggi su Dieffenbachstraße si leggono le insegne di Weinblatt, Trang, Muoto, Brandi, homage, dìldìle. Locali da brunch e dinner, bar dentro ai quali consultare i quotidiani del giorno, café galerie, boutiques “etiche” che commerciano tessuti green, sofisticate panetterie. Nessun negozio vende roba prosaica o fatta in serie, solo prodotti a impatto zero sull’ambiente, come i bioagricoltori del mercatino del giovedì. C’è anche un’agenzia di onoranze funebri, che non è però un’agenzia di onoranze funebri «normale»: si chiama Das Fährhaus, la casa del traghettamento, e fornisce individuelle Bestattungen, funerali personalizzati. Il loro motto è: «Ogni vita è unica nel suo genere. Dovrebbe essere così anche per ogni commiato».
È nelle ore del tardo pomeriggio e di inizio serata, specialmente con il bel tempo primaverile ed estivo, che Dieffenbachstraße mostra il suo volto «migliore»: un viavai sempre composto e tranquillo, a volte indolente, di berlinesi e di turisti, stuzzicati dalle guide a provare uno dei tanti ristoranti etnici della zona, con tavoli e sedie seminati ordinatamente sui lati dei marciapiedi, la cui generosa ampiezza è dovuta all’esistenza in origine di Vorgärten, giardini antistanti i palazzi.
Tuttavia, il «nostro» momento migliore è al mattino presto. La strada è deserta, ogni tanto passa una bicicletta, oppure un’automobile. I grandi marciapiedi sono vuoti, gli unici suoni che si sentono sono quelli degli uccellini che cinguettano come impazziti, o dei corvi che gracchiano. I mattoni rossi che rivestono i muri astretti della Chiesa evangelica-metodista di Cristo, al numero 39, con le sue cuspidi e pinnacoli in stile neogotico, evocano atmosfere medievali.
Se non fosse che si è nel centro di una città di quasi quattro milioni di abitanti, sembrerebbe di trovarsi in un posto disabitato.
REDAZIONE
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