L’accordo raggiunto mercoledì 7 febbraio fra CDU, SPD e CSU è il penultimo atto del calvario che Angela Merkel sta percorrendo da ormai quasi cinque mesi nel tentativo di mettere insieme un nuovo governo in Germania. E sembra quasi ironico che a formare l’esecutivo potrebbero essere proprio le tre formazioni nei confronti delle quali i cittadini tedeschi, nel voto dello scorso settembre, avevano espresso grande insofferenza, mostrando un chiaro desiderio di discontinuità. Per chiudere la faccenda bisognerà attendere il 4 marzo, quando dovrebbe conoscersi il risultato del referendum interno al Partito Socialdemocratico Tedesco.
I 460.000 iscritti alla formazione guidata, ancora per poco, da Martin Schulz, (lascerà la presidenza SPD ad Andrea Nahles, prima donna nel ruolo nella storia del partito), dovranno infatti valutare le 179 pagine del Koalitionsvertrag prima di dare il via libera definitivo al quarto cancellierato Merkel.
Nonostante le ampie concessioni strappate dall’SPD al tavolo delle trattative, il risultato della consultazione non è per nulla scontato. La battaglia interna è infatti molto aspra, come già dimostrato dal primo voto, quello tenutosi in gennaio, che “autorizzò” Schulz a discutere con Merkel e che vide un successo risicato dei Sì a una nuova Grosse Koalition: 362 delegati su 642. A lottare strenuamente contro la GroKo è soprattutto il gruppo JuSos, i Giovani Socialisti, di età compresa entro i 35 anni, che insistono per operare, a qualsiasi costo, una rottura rispetto al passato, convinti che una riedizione di un governo di larghe intese potrebbe sancire il tracollo definitivo per un partito che viaggia già oggi, secondo le rilevazioni di Forsa (la più importante compagnia di market research e opinion polling in Germania), al 18%, due punti e mezzo in meno del risultato raccolto alle urne in settembre.
Un ulteriore elemento di incertezza rispetto al voto di conferma dell’accordo è legato alla crescita esponenziale di iscritti che l’SPD ha registrato nelle ultime settimane. Sono quasi 25.000 le nuove tessere staccate dal Partito Socialdemocratico Tedesco nel 2018, 2.000 solo nella città di Berlino. D’altronde è bene ricordare che chiunque, anche gli stranieri, può iscriversi all’SPD in Germania, a patto di versare la quota mensile, compresa, a seconda del reddito, fra i 5 e i 250 euro; l’unico documento richiesto all’atto dell’iscrizione è infatti l’Anmeldung, il certificato di domiciliazione. Per esprimere la propria opinione sull’accordo GroKo è comunque ormai troppo tardi: bisognava aderire al partito entro il 6 febbraio.
Il futuro del Paese e dei due più grandi partiti dell’arco politico tedesco è dunque nelle mani di 460.000 persone, tutte appartenenti alla stessa formazione. La sensazione è che alla fine l’SPD confermerà l’accordo, ma è davvero difficile sviluppare una previsione netta rispetto a una consultazione che chiamerà in causa decine di piccole sezioni in ogni parte della Germania.
Il Partito Socialdemocratico Tedesco si è in verità chiuso, da solo, in un vicolo dal quale rischia di uscire distrutto. Se dalla consultazione interna dovesse emergere un parere negativo alla nuova GroKo, il contraccolpo, in termini di consensi, sarebbe enorme. La SPD verrebbe ritenuta responsabile da tutta la Germania, compresa una buona parte dei propri elettori e dei propri iscritti, dell’instabilità in cui sarebbe lasciato il Paese, che dovrebbe tornare nuovamente alle urne. Uno scenario con nuove elezioni spazzerebbe via la SPD e, nella peggiore delle ipotesi, potrebbe portare AfD a diventare il secondo partito in Germania.
Considerato che in nessun caso la CDU sarebbe disposta a trattative con l’estrema destra di Alternative fuer Deutschland, si tornerebbe quindi alla casella di partenza, ma con una SPD stavolta profondamente ridimensionata in quanto a numeri e credibilità.
Le prospettive, di fronte a un nuovo voto, sarebbero forse state leggermente diverse qualora Schulz avesse perseverato nel suo iniziale rifiuto a qualsiasi ipotesi di Grosse Koalition, ma, ad oggi, la gestione delle fasi post-elettorali da parte dell’ex presidente del Parlamento Europeo ha reso catastrofico qualsiasi scenario elettorale immediato.
Qualora l’accordo fosse avallato, i Socialdemocratici si giocheranno il tutto per tutto attraverso un’azione di governo che dovrà riuscire a rinsaldare il legame fra uno dei più gloriosi partiti di Germania e un elettorato, quello di centrosinistra, apparso scollato e disorientato dalle continue giravolte SPD cui si accennava poco sopra. Lo spazio, tecnicamente, potrebbe esserci, in considerazione di un accordo grazie a cui Schulz ha comunque portato a casa molto di più di quanto un partito con il 20.5% delle preferenze avrebbe potuto aspettarsi.
Con l’unico obiettivo di tornare al suo posto di Cancelliera per la quarta volta consecutiva e nella speranza di poter poi, a governo formato, manovrare a suo piacimento l’andatura dell’esecutivo (come già fatto nelle due precedenti GroKo, edizioni 2005-2009 e 2013-2017) Angela Merkel ha infatti accettato compromessi programmatici che potrebbero costarle moltissimo, in termini di consensi interni alla sua area politica di riferimento e in seno al suo stesso partito, lasciando inoltre nelle mani della SPD alcuni fra i più importanti ministeri del suo governo: finanze (dove al posto di Schauble dovrebbe andare Scholz, governatore della città di Amburgo), esteri, giustizia, lavoro. Forse per la prima volta nella storia della politica elettorale i più grandi perdenti di una consultazione potrebbero così diventare i leader de facto di un Paese.
Il documento firmato dai rappresentanti di CDU, CSU ed SPD porta un titolo già di per sé programmatico. “Un nuovo inizio per l’Europa. Una nuova dinamica per la Germania. Una nuova solidarietà per il nostro Paese”. Un segnale inequivocabile della vocazione europeista (lo sarà davvero?) della GroKo edizione 2018.
Per quanto riguarda l’impegno comunitario l’accordo presenta, fra i tanti punti, proposte come:
– l’istituzione di una cornice comunitaria intorno a cui individuare un salario minimo europeo
– controlli più rigidi verso il fenomeno delle “welfare migration”, cioè a dire i casi di cittadini comunitari che migrano dal proprio paese di origine verso un altro paese UE con l’intenzione di sfruttarne le politiche sociali
– l’introduzione di una tassa sulle rendite finanziarie a livello europeo
– l’implementazione di una piattaforma comunitaria sul clima che permetta all’Europa di recitare un ruolo di primo piano sul tema a livello mondiale
– la trasformazione dell’ESM in un vero e proprio Fondo Monetario Europeo
L’ultimo punto è senza dubbio uno dei più controversi. La conversione del cosiddetto Meccanismo di Stabilità Europea in un Fondo Monetario Europeo (in pratica una versione comunitaria del Fondo Monetario Internazionale, l’FMI), la cui gestione passerà interamente nelle mani del Parlamento di Bruxelles, non sarà indolore. Si tratta di un’idea portata avanti con forza dal premier francese Macron e a lungo sponsorizzata da Jean-Claude Juncker, il presidente della Commissione Europea, ma che ha da sempre incontrato grandi resistenze all’interno di CDU e CSU. Per Martin Schulz l’inserimento nell’accordo per una nuova GroKo di questo passaggio ha costituito un fattore chiave per convincere i suoi compagni di partito ad accettare una nuova coalizione con i Cristiano Democratici. Bisognerà però fare molta attenzione al contraccolpo politico che potrebbe portare in dote una misura che trasformerà gli 80 miliardi di euro dell’ESM in un fondo permanente, gestito dal Parlamento Europeo. Wolfgang Schäuble, temuto ministro delle finanze tedesco degli ultimi due governi Merkel e sostenitore assoluto dell’austerity nei confronti della crisi nell’eurozona (di lui si ricorda, ad esempio, la posizione durissima nei confronti della Grecia, che avrebbe voluto fuori dall’Euro) si è mostrato favorevole, nel tempo, alla creazione di un Fondo Europeo, ma ha sempre ritenuto indispensabile che a gestire il fondo fossero i parlamenti nazionali, e non le istituzioni comunitarie, una posizione su cui altri paesi, su tutti Austria, Finlandia e Paesi Bassi, sono assolutamente concordi.
Su questo punto si potrebbe scatenare una battaglia complessa, sono infatti già molti i parlamentari CDU che hanno espresso grosse perplessità sulla riforma, ritenuta un’ennesima richiesta ai lavoratori tedeschi di sostenere il debito degli stati del Sud Europa. La questione potrebbe farsi ancora più spinosa nel momento in cui, prevedibilmente, AfD scatenerà la bagarre mediatica, concentrandosi sulla letteratura, già ampiamente esplorata nel 2014, dei seri e responsabili cittadini tedeschi costretti a pagare per gli sfaticati italiani, greci e spagnoli. Se consideriamo che la questione del Fondo Monetario Europeo va ad aggiungersi all’impegno tedesco, già sottoscritto, di aumentare il proprio contributo al budget comunitario in conseguenza dell’uscita della Gran Bretagna dalla UE, diventa inevitabile immaginare come sarà questo uno dei passaggi del programma GroKo più difficile da affrontare, ammesso che il governo si faccia davvero.
La trasformazione dell’ESM in Fondo Permanente è uno dei progetti più ambiziosi del premier francese Macron, con il quale la nuova Grosse Koalition prevede di sviluppare un rapporto di collaborazione ad ampio raggio. Con la Gran Bretagna fuori dai giochi e un’Italia sempre più debole e che il voto di marzo dovrebbe rendere ancora più instabile e confusa, l’asse Parigi-Berlino diventa decisivo per tenere a galla la piattaforma UE e costituisce inoltre una sponda fondamentale per entrambi i governi, che mai come oggi hanno bisogno l’uno dell’altro in termini di legittimazione internazionale. Nel documento firmato da Merkel e Schulz si legge: “il rinnovamento dell’Unione Europea sarà possibile solo se Germania e Francia lavoreranno insieme con tutte le loro forze. Per questo motivo, intendiamo rafforzare e rinnovare il legame di cooperazione franco-tedesco”. Bisognerà capire quanto ci sia di effettivamente europeista, nell’avvicinamento fra Merkel e Macron, e quanto, invece, di individualmente strategico per i due paesi. Un altro segnale di quanto il radar del nuovo (possibile) esecutivo sia puntato verso Parigi ed il suo giovane presidente è dato dal numero di volte in cui la Francia è menzionata nel testo: addirittura dodici (erano appena tre le citazioni nell’accordo 2013).
Interessante, in questo senso, notare come gli Stati Uniti, che comparivano otto volte nel documento siglato poco più di quattro anni fa, siano presenti adesso solo in cinque punti del testo. Scende esponenzialmente anche la Russia (10 citazioni contro le 19 del passato accordo), mentre entra il Canada di Justin Trudeau, menzionato due volte e con cui la GroKo punta ad infittire i rapporti in termini di scambi commerciali e convergenze sulla piattaforma climatica.
Per completare il quadro relativo all’accordo siglato da CDU ed SPD, aldilà dell’indirizzo europeista cui evidentemente ambirebbe il quarto cancellierato di Angela Merkel, ecco una lista analitica di alcune fra le misure più importanti previste dal koalitionsvertrag:
Economia
– Investire 5.95 miliardi di euro in educazione, ricerca e digitalizzazione entro il 2021
– Investire 12 miliardi di euro per le famiglie, aumentando i benefit per i figli e costruendo nuovi asili
– Investire 4 miliardi di euro nella costruzione di case popolari e in incentivi che incoraggino l’acquisto di immobili
– Mantenere le previsioni finanziarie in essere, con l’obiettivo di non produrre nuovo debito
– Investire 12 miliardi di euro per la copertura di tutto il paese, entro il 2025, con connessione internet ad alta velocità
– Attirare in Germania le istituzioni finanziarie alla ricerca di nuove sedi post-Brexit
Politiche Sociali
– Limitare l’utilizzo dei contratti a breve termine da parte delle aziende: le compagnie con più di 75 dipendenti potranno impiegare al massimo il 2.5% della loro forza lavoro su con contratti limitati nel tempo
– Aumento dei fondi per gli studenti e dei cosiddetti “prestiti di apprendimento”
– Aumento del salario minimo per i contratti di apprendistato
Tasse
-Rimozione graduale della tassa di solidarietà introdotta nel 1990 dopo la riunificazione per supportare le regioni orientali dell’allora nuova Germania unita: l’imposta porta ad oggi nelle casse federali 10 miliardi di euro l’anno.
Pensioni
– Stabilizzare l’assegno pensionistico al 48% del salario medio percepito entro il 2025 e sviluppare un piano che assicuri un contributo massimo del 20% sul salario a fini previdenziali
– Aumento delle pensioni minime
Salute
– Dal 1 gennaio 2019 impiegati ed imprese dovranno pagare la medesima quota contributiva per l’assicurazione sanitaria
– Valutare la possibilità di introdurre un sistema di pagamento univoco per le strutture sanitarie pubbliche e private
Esportazione di armi
– Riduzione nell’esportazione di armi, divieto totale di export nei paesi non UE e non affiliati alla NATO
– Immediato stop all’export di armi verso paesi coinvolti nel conflitto in Yemen e coordinamento europeo per l’implementazione della misura a livello comunitario
– Impegno per una piattaforma europea condivisa in termini di policy sull’export di armi
Politica Estera / Difesa
– Destinazione di ogni surplus finanziario alle politiche di difesa, sicurezza e prevenzione, con l’obbligo di suddividere equamente il budget fra progetti militari e non militari.
– Mantenere lo status attuale in merito alla richiesta di accesso UE da parte della Turchia, senza l’apertura o la chiusura di nuove posizioni
– Lavorare di concerto con la Francia per la risoluzione del conflitto in Ucraina. Proporre un allentamento delle sanzioni nei confronti della Russia qualora i termini previsti dall’accordo di Minsk, studiati per mettere fine alla guerra, vengano rispettati.
– Impegnarsi affinché tutti i paesi balcanici che hanno fatto richiesta di accesso all’UE portino avanti le necessarie riforme, in termini di lotta corruzione e al crimine organizzato, fondamentali per proseguire nel processo di affiliazione comunitaria.
– Rafforzamento dei rapporti di cooperazione fra UE e NATO
Ambiente
– Impegno a rispettare gli obiettivi climatici previsti per il 2020 (già in ritardo), 2030 e 2050, con la promulgazione di misure legislative ad hoc
– Sviluppo di un piano programmatico per ridurre l’utilizzo di carbone
– Riduzione graduale del programma nucleare
Migrazione
– Limite compreso fra 180.000 e 220.000 migranti l’anno (esclusi i migranti di lavoro)
– Limite di 1.000 arrivi al mese nell’ambito dei ricongiungimenti familiari
Agricoltura
– Divieto di clonazione degli animali al fine di produzione alimentare
– Contenimento all’utilizzo di glifosato, con l’obiettivo di ridurne, e pian piano eliminarne definitivamente, l’uso.
Su moltissimi di questi punti, che rappresentano solo parzialmente il programma messo a punto da CDU, CSU ed SPD per la nascita di una nuova Grosse Koalition, il potenziale nuovo governo dovrà scontrarsi con le posizioni di Verdi, Liberali e, soprattutto, di AfD. Un nuovo esecutivo di larghe intese cambierà gli scenari soprattutto per Alternative fuer Deutschland, pronto a diventare il primo partito di opposizione e, in quanto tale, a giovarsi di una serie non indifferente di privilegi parlamentari.
I deputati di Afd, ad esempio, saranno i primi a poter rispondere dopo ogni eventuale discorso di Angela Merkel al Bundestag (e per prassi la tv di Stato replica, nei servizi giornalistici, l’ordine di parola previsto dal Parlamento) e potranno intervenire prima del governo durante i dibattiti relativi alle manovre finanziarie, con tutto ciò che questo significa in termini di esposizione mediatica e possibile capitalizzazione di consensi.
Da questo punto di vista, ancora una volta, la SPD ha probabilmente perso una grande occasione. Sono in molti a credere che il Partito Socialdemocratico avrebbe potuto trarre beneficio da quattro anni di opposizione seria e costante, ristrutturandosi al proprio interno e riallacciando un rapporto di fiducia con l’elettorato di centro-sinistra scontento dell’appiattimento SPD sulle posizioni merkeliane. Bisogna anche ammettere, in questo senso, che aldilà degli errori di Schulz, la cui gestione della sconfitta elettorale è stata a dir poco disastrosa, il mancato accordo CDU/CSU con Verdi e FDP, oltre a mandare in fumo il tentativo di costruzione della cosiddetta “coalizione Giamaica”, ha chiuso l’SPD all’angolo, limitando al minimo le possibilità di manovra: un SPD indisponibile alle trattative per un nuovo governo avrebbe dovuto fronteggiare da un lato gli attacchi di quanti l’avrebbero ritenuto responsabile del ritorno alle urne, dall’altro un voto in cui, molto probabilmente, avrebbe comunque perso ulteriormente consensi.
Il quarto governo Merkel porta insomma con sé una serie di incognite del tutto inedite per una nazione abituata a sguazzare nella stabilità delle sue componenti sociopolitiche. La Cancelliera tedesca, oltre alla gestione di un esecutivo che appare, già prima di nascere, estremamente turbolento (vedi la rinuncia di Schulz al ministero degli esteri ancor prima di essere nominato, su pressione del suo stesso partito), dovrà infatti contenere anche le forze centrifughe interne alla CDU per la sua successione.
Forse pure per questo, e non a caso, nell’accordo di coalizione è prevista, irritualmente, una verifica a due anni dall’eventuale insediamento del nuovo esecutivo. Potrebbe essere quella l’occasione per Angela Merkel, qualora il contesto del dibatto politico fosse già pesantemente deteriorato, di fare un passo indietro e lanciare la corsa per la nuova leadership della Germania.
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