Sono specialista in ultimidellanno. Ventuno anni fa, quando a cambiare non fu solo l’anno, ma anche il secolo e il millennio, mi trovai imbottigliato per cinque ore nel traffico di Roma: dalle due alle sette. Oggi sono invece a Berlino e approfittando delle auree regole tedesche, secondo le quali non si possono fare assembramenti ma si può andare dove si vuole, ho deciso di passare quest’ultimodellanno in giro per la città, a vedere che succede.
Ho deciso di spostarmi su due ruote. Esco di casa poco dopo le 20.00. La prima “cosa” vivente che vedo è una camionetta della polizia. La seconda è una macchina della polizia. Fortunatamente, sul Kottbusser Damm, appaiono altre persone, anche se non molte. A quest’ora, dei quasi quattro milioni di abitanti di Berlino, la maggior parte è già a casa, con la famiglia o con gli amici, felici di lasciarsi alle spalle un anno come questo 2020, sperando che il nuovo non sia peggiore del vecchio. Per le strade non circola nessuno. Gli spacciatori di Görlitzer Park sono inoccupati e appena vedono che prendo la stradina che porta dentro il parco cercano di richiamare la mia attenzione; gli faccio un segno che non cerco niente mi dirigo verso l’Oberbaumbrücke, passando per Oppelnerstrasse, nel Wrangelkiez di Kreuzberg.
Percorro il lungo ponte sulla ferrovia, dove le luci violente del nuovo centro commerciale East Side Mall fanno immaginare quello che sarà Berlino nel futuro. Nella discesa che porta a Friedrichshain smetto di pedalare, mentre con gli occhi colgo sul marciapiede un uomo dallo sguardo e dall’aspetto minacciosi, che parla ad alta voce con una donna. Alla fine del pendio imbocco Revaler Straße, che a quest’ora, un anno fa, sarebbe stata piena di gente e che stasera è invece deserta, a parte qualche spacciatore. C’è la solita camionetta della polizia, in pattugliamento a passo d’uomo lungo Simon-Dach-Straße, altro luogo caldo della vita notturna della capitale tedesca, eccezionalmente oscuro e silenzioso. La mia idea è di andare a Frankfurter Allee e prendere il Ring, l’anello ferroviario che gira intorno al centro della città, con destinazione Neukölln.
Più passa il tempo e più aumenta la sensazione di disagio. Lungo il vialone berlinese che porta verso est si ripete il refrain comune alla quasi totalità delle città del pianeta: marciapiedi quasi deserti, traffico azzerato. In sottofondo il crepitio dei mortaretti che brillano dalle finestre in alto dei palazzi. L’odore acre di polvere pirica inizia a riempire le narici e una serie di boati amplificati dai porticati fanno sobbalzare cuore e udito. Anche i senzatetto hanno abbandonato la loro abituale dimora sotto il ponte della ferrovia. La consapevolezza di vivere in uno stato di “contronatura”, di stare derogando alla nostra essenza di essere sociali, prende corpo ogni minuto che passa e con essa una sensazione che è un misto di assurdo, spaesamento e nervosismo.
Ciao bella, locale di street food italiano nei pressi della stazione di Frankfurter Allee, prepara, nonostante tutto, la sua merce da vendere nella notte. Ma è desolatamente vuoto. Mi avvicino, faccio una foto e il ragazzo dietro il banco, arabo, esce e mi fa una lavata di capo: “Prima me lo devi chiedere, capito?”
A Neukölln incontro una famiglia siriana che è andata a fare visita ai parenti e sta tornando a casa. Fuori, nel quartiere dove solo la metà degli oltre 300mila abitanti è tedesca senza Migrationshintergrund (senza retroterra migratorio), giovani padri tengono d’occhio i loro marmocchietti che si divertono un mondo a sparare petardi. Le carrozze dei treni della metropolitana, così come tutte le stazioni lungo il Ring, sono quelle di una città in piena emergenza pandemica: quasi completamente vuote, a parte i numerosi uomini e donne in pettorina gialla delle ferrovie tedesche che per l’occasione sono stati richiamati in servizio. Angela Merkel, nel suo ultimo discorso al paese per il nuovo anno, è apparsa preoccupata. Pochi giorni prima aveva scongiurato i cittadini di restare a casa.
Consumo la mia cena a sacco fuori dalla vecchia stazione di Berlin Zoologischer Garten e noto come l’avvicinarsi della mezzanotte mi metta in una condizione di ansia, mista però a liberazione. Il piano, anche questa volta, è molto semplice: andare ad Alexanderplatz con la S-Bahn e da lì percorrere in bicicletta i viali che portano alla Porta di Brandeburgo. Ma la piazza intitolata allo zar russo Alessandro I, con tutto il suo splendido fascino retrò, è inaccessibile, presidiata com’è da uno schieramento di forze di polizia decisamente impressionante. Pensare che tutto ciò accade a causa di un virus sconcerta un po’ e fa aumentare in me la voglia di mettere fine a questa serata, di andare a casa.
La torre della televisione ha la stessa luce della luna e sembra un gigante intimorito. In giro si vedono gruppetti di due, tre persone, sparse nell’oscurità. Dei ragazzi fanno scoppiare degli innocenti mortaretti, la polizia, poco distante, lascia fare. Due giovani mi augurano buon anno; sono mediorientali e fanno fatica a pronunciare frohes, neues e Jahr. Dalle nuvole diradate che rendono opaca la luna si sente il rumore delle pale di un elicottero e mi immedesimo, per un istante, nel pilota, a godermi dall’alto l’Isola dei Musei in tutta la sua bellezza, con l’ultimo arrivato, l’Humboldt Forum.
Il varco da est alla Porta di Brandeburgo è bloccato da un cordone di poliziotti. Alcuni di essi accompagnano lentamente il blindato con gli idranti, da cui per ora proviene solo una voce al megafono che invita la gente a disperdersi e a non infrangere la legge sul divieto di assembramento. Sono definiti gli Unverbesserliche, in Italia sarebbero i negazionisti, quelli che gridano «Freiheit, Freiheit», mentre indietreggiano. Sembra quasi di sentire salire una certa tensione, ma all’improvviso un boato dalla folla dei manifestanti fa capire che è arrivata mezzanotte e che è partito lo spettacolo pirotecnico sopra la quadriga.
Buon Anno.
REDAZIONE
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