Amo i nostri vagabondaggi per Schöneberg e Friedenau. Forse non dovrei chiamarli vagabondaggi, ma pellegrinaggi, perché non giriamo a casaccio, ma eseguiamo contemplazioni rituali delle varie incarnazioni del genius loci. Addirittura ci obblighiamo a peripli e a lunghe deviazioni per aggirare anche brevi tratti con Neubau e quando non possiamo evitare i Neubau o i grandi assi stradali lo facciamo come in apnea estetica e riprendiamo a respirare solo dopo aver imboccato una via con Altbau.
Termine di per sé piuttosto vago, Altbau (vecchia costruzione), è convenzionalmente usato per indicare gli edifici residenziali costruiti in Germania tra il 1871, l’anno della vittoria prussiana sulla Francia e dell’unificazione tedesca, e i primi decenni del XX secolo. Alcuni, più rigidi, ma non senza ragione, restringono il periodo degli Altbau agli ultimi tre decenni del XIX secolo. Questa distinzione infatti individua un nodo cruciale nello sviluppo degli Altbau, cioè l’ingresso nel XX secolo, che coincide con il declino dell’eclettismo e l’affermazione del movimento modernista (in Germania lo Jugendstil).
Il modello dell’Altbau, anche nell’intervallo di tempo più ampio, rimane però sempre chiaramente riconoscibile perché espressione di un linguaggio semplice e ben congegnato, i cui codici permettono modulazioni minime. Il riferimento tipologico è il palazzo quattrocentesco italiano: un Hinterhof (una grande corte interna quadrangolare) con una Vorderhaus affacciata su strada e una Hinterhaus affacciata sullo Hinterhof, collegate da due Flügel (ali). Gli elementi che caratterizzano il prospetto su strada, ma con molte eccezioni sono il portone della Vorderhaus, l’ingresso carrabile allo Hinterhof, l’Erker (il bovindo) e le logge. L’aggetto dell’Erker e il vuoto in ombra delle logge vivacizzano la facciata altrimenti piatta e la presenza di due entrate di dimensioni differenti ne aiuta a rompere la simmetria. Talvolta è presente il Vorgarten, una fascia verde che può raggiungere alcuni metri di larghezza, ricavata sul marciapiede davanti alla Vorderhaus. Rarissimo il balcone, che appare di regola nelle ristrutturazioni della seconda metà del XX secolo a incrementare il valore economico all’Altbau, ma non quello estetico.
Caratterizzano l’Altbau berlinese il Berliner Zimmer, una sorta di salone passante che collega le stanze di rappresentanza della Vorderhaus a quelle di servizio delle Flügel, e la finestra berlinese, slanciata, ma non troppo, e doppia, con una camera d’aria che separa l’infisso esterno da quello interno, e dunque oggetto tridimensionale, volume di luce che può essere goduto dalla strada come dall’interno.
Questo codice espressivo fu fertile terreno per il gusto eclettico del tempo e gli architetti attinsero a piene mani dal serbatoio storico degli stili realizzando facciate tra il neoromanico e il neoclassico senza risparmiare su intonaco e stucco e senza l’onere dello zelo filologico.
C’incantiamo davanti a questi tabernacoli in cui riposano i penati berlinesi. A volte intravediamo in un Vorgarten trascurato o in un fregio scheggiato mondi che esistono solo al di là delle coscienze, a volte certe facciate di un candore di meringa si dispiegano come una turris eburnea in cui desideriamo solo rifugiarci.
Nel XIX secolo il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie e la richiesta di manodopera per l’industria comportarono un significativo aumento delle popolazioni urbane. Le città crebbero oltre le mura e fu necessario adattarle alle esigenze delle nuove classi sociali, il proletariato e la borghesia. Molte delle opere realizzate allora informano ancora oggi il carattere delle città: si pensi ai boulevards del barone Haussmann a Parigi, alla Ringstraße a Vienna e al quartiere Eixample a Barcellona. Le città italiane non fecero eccezione: l’espansione di Roma fu regolata dal piano Viviani del 1883, quella di Milano dal piano Beruto del 1889.
A Berlino si seguì il piano Orth del 1873, che si concentrò sullo sviluppo della rete ferroviaria urbana. In quegli anni, noti in Germania come Gründerzeit (l’età dei fondatori), i sobborghi di Berlino ebbero una notevole espansione, ad esempio Schöneberg e Friedenau, che appartenevano al distretto di Teltow, ebbero addirittura il rango di comune, almeno fino al 1920, quando con l’emanazione del Groß-Berlin-Gesetz divennero quartieri della capitale. Ed è proprio nella Gründerzeit che gli Altbau conobbero l’età dell’oro e diedero a Berlino il carattere che ha ora. Non stupisce che fu l’età dell’oro anche della speculazione edilizia.
Un caso esemplare è quello del Wagner-Viertel, un piccolo quartiere di Friedenau dedicato alle donne di Wagner, centrato sulla piazza intitolata a Cosima, figlia illegittima di Liszt e seconda moglie del musicista.
L’area su cui sarebbe sorto il Wagner-Viertel era allora incolta ed era stata destinata ad accogliere due grandi serbatoi per il gas usato nell’illuminazione stradale. Tutti ovviamente volevano l’illuminazione stradale, ma nessuno i due gazometri e quindi si costituì un comitato di autorità locali, commercianti e proprietari, deciso a impedirne la costruzione. Il comitato non era composto da sprovveduti, perché riuscì a portare il caso addirittura davanti a Bismark che allora, oltre che cancelliere e primo ministro, era anche ministro del commercio. Bismark diede ragione al pugnace comitato e fece cambiare la destinazione d’uso del terreno, dove nel 1897 fu inaugurato lo Sportpark Friedenau, che comprendeva un grande ciclodromo, una tribuna da ventimila posti, campi da tennis, ristoranti e altre attrazioni. Ma lo Sportpark durò poco, perché nel 1904 un costruttore che vantava eccellenti entrature presso gli uffici amministrativi di Friedenau, tanto da far innalzare nel piano regolatore l’altezza di gronda a ventidue metri, come a Berlino, in modo da poter costruire case a quattro piani, invece che a tre, acquistò il terreno, smantellò lo Sportpark e tirò su il Wagner-Viertel.
Come abbiamo visto, all’inizio del XX secolo l’auge dell’eclettismo era tramontata da un pezzo e gli elementi architettonici caratteristici dell’Altbau cominciarono a essere stilizzati e letti secondo i criteri del modernismo. Più che negli edifici destinati alle classi medio-alte, dove intonaco e stucco non persero la loro egemonia, questi cambiamenti sono evidenti nelle numerose Siedlungen berlinesi, nuovi insediamenti urbani che interpretavano il codice degli Altbau in chiave di edilizia popolare, come quelle famose di Bruno Taut a Britz e di Hans Scharoun a Spandau o meno famose come i Ceciliengärten di Paul Wolf a Schöneberg.
Fece la sua apparizione il mattone a faccia vista, l’Erker fu ridotto a una sporgenza, i soffitti alti furono ritenuti un lusso e vennero abbassati, con la conseguenza che la finestra berlinese perse le sue proporzioni e divenne più tozza. La stilizzazione non fu che l’anticamera del manierismo: l’architettura ormai parlava un’altra lingua e non capiva più quella degli Altbau: i fregi e gli altri elementi che erano integrati nell’ordine della facciata persero il loro senso di suggelli delle proporzioni architettoniche e divennero semplici decorazioni, adesivi da applicare a capriccio e non secondo la necessità della composizione.
Qui la lezione degli Altbau diventa emblematica, perché mostra la caducità insita in ogni avventura umana: infatti più che la contaminazione da parte dei princìpi dell’Existenzminimum poté il tempo che porta via con sé i gusti, le mode e le idee.
E come una guerra, quella franco-prussiana, aveva lanciato l’avventura degli Altbau, così un’altra guerra, ben più spaventosa, ne chiuse nel modo più barbaro la stagione. La Germania fu bombardata, devastata e spopolata e poi occupata per quarantacinque anni. I sopravvissuti non avevano risorse fisiche e morali e l’urgenza della ricostruzione era incompatibile con il codice degli Altbau, la cui lingua ormai si era persa. Venne l’era del Neubau (nuova costruzione). Ma tornata la Germania, almeno quella occidentale, a essere potenza economica su scala mondiale, fioriva il mito estetico degli Altbau, come riscalamento democratico del lusso del palazzo nobiliare su ordini di grandezza borghesi e poi, grazie alla suddivisione dei grandi appartamenti in piccole unità, su misure piccoloborghesi.
Gli Altbau sono come l’esercito di terracotta dell’imperatore Qin Shi Huang, ogni singolo edificio può non essere un capolavoro, ma messi in fila, tutti insieme lungo una via, si complicano in una meraviglia. E il loro segreto estetico è, osiamo, nella finestra berlinese, che non si esaurisce nella grazia delle sue proporzioni, ma ordina le facciate degli Altbau: siccome le sue dimensioni sono stabilite, le variazioni delle altezze dei piani sono minime e la finestra berlinese finisce per scandire il ritmo delle vie, dei quartieri e informare l’intera città.
Soprattutto dopo il tramonto è visibile la trama regolare delle finestre illuminate.
D’estate siamo così rapiti nei nostri pellegrinaggi che la sera ci coglie di sorpresa. Cala la brezza, rimane la quiete. I commercianti ripongono senza fretta le merci fumando l’ultima sigaretta. Si annaffiano i Vorgärten e l’aria si fa fresca e profuma di fiori e terra bagnata. Dai Biergärten salgono chiacchiere a bassa voce e un sommesso tintinnio di bicchieri e se vediamo un tavolino libero ci sediamo. Ordiniamo due birre e una Flammkuchen e rimaniamo ore a raccontarci.
Con l’arrivo della notte l’aria rimane tiepida e immobile, come assorta nei suoi pensieri. Sotto volte di tigli in fiore torniamo a casa con una dolce stanchezza nelle membra.
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