È la prima volta che guardo un porno al cinema e l’idea di farlo con qualcuno che nemmeno conosco mi attrae.
Piove sulla Maybachufer; il cinema IL KINO è in una traversa sulla destra. Se non si chiamasse così, nessuno saprebbe che si nasconde una sala per le proiezioni nel retro di un bar dall’arredamento vintage inquadrato da un bagliore accennato.
Mentre aspetto chiedo una Fritz Kola da bere al bancone; fisso il formato ridotto del manifesto di Caro Diario dietro ai bicchieri sul fondo del bar, e intanto ascolto il vociare di idiomi confusi alle mie spalle. Ci sono italiani prevalentemente; traslano il loro accento regionale su un tedesco arrangiato per chiedere l’ingresso alla proiezione di ISVN, Io sono Valentina Nappi.
Penso che, qualche anno fa, avrei avuto più avidità nell’esaminare i lineamenti del pubblico di un film porno; ora invece il mio istinto voyeuristico è assopito dai fumi berlinesi dei tabù ribaltati e degli eccessi rivisitati. Mi viene da pensare che docilmente l’aura scandalistica che accompagna il mondo della pornografia si stia dissolvendo, che la tematica si stia normalizzando. Si sciolgono le riserve sull’interesse femminile per il tema, si dissipa l’idea che il porno sia roba da maschi, che alle donne non piaccia. Oppure la mia percezione è ancora una volta falsata dal nulla osta ai costumi libertini di questa città?
Valentina, l’organizzatrice dell’evento, mi scorta in sala; ci segue Marcela del progetto Karne Kunst e organizzatrice del Vierte Welle, un festival al femminile, femminista, che accoglie la proiezione di Monica Stambrini ISVN (2017) in quanto film pornografico diretto da una regista donna.
Trovo posto, poggio la Fritz Kola per terra; ci saranno una cinquantina di poltrone. La sala non è piena, ma c’è una buona partecipazione. Ci sono molte donne; più donne che uomini. Mi chiedo se sia questa idea di porno al femminile ad attirare la loro attenzione, o l’idea del porno in generale. Oppure, se, ancora una volta, non sia semplicemente questa città.
Valentina Nappi ha ventinove anni, uno più di me, e una cadenza campana delicata.
Il profilo del suo naso fende il ponte della Garbatella, fuori dal finestrino del taxi nella periferia romana. Dove dormirà stanotte? Monica, la regista, non la può ospitare, ci sono i suoi figli a casa, non c’è spazio. Andrà da un amico, un artista, ha uno studio enorme, pieno di cose. Uno studio sporco da entrare in doccia con gli stivali ancora addosso.
Vale Nappi si siede sulla tavoletta del water, fa pipì: le è venuto il ciclo – cazzo. Si lava i denti con estrema perizia, sfrega lo spazzolino sulla lingua. Aspetta Lorenzo. Aspetta, sale al piano di sopra, annusa la scatola delle tempere; beve acqua dalla bottiglia senza mai attaccarsi. Piatti e bicchieri sono pieni di calcio, il bollitore fa schifo solo a guardarlo.
Lorenzo arriva, deve ancora mangiare: si impasta la bocca di carne e cipolle. Il cibo e il sesso non vanno d’accordo, pensa lei, ma lui più mangia e più gli viene voglia invece.
Monica Stambrini mi racconta di un piccolo confronto tra Valentina e il filosofo Stefano Bonaga durante la 75. mostra del cinema di Venezia: “Si parlava di filosofia e lei ha detto una cosa che mi ha molto affascinata: ‘la mia ambizione è quella di scindere il desiderio dal piacere’. Noi siamo ancora legati a quell’idea romantica per cui devi desiderare una persona per avere piacere a letto, invece lei dice: no; si può provare piacere anche senza desiderare necessariamente la persona”. Durante quella conferenza Valentina fa l’esempio del gelato: non ti va, poi te lo fanno assaggiare e ti piace, dice.
Ci può essere piacere, anche senza desiderio.
Vale Nappi ha piacere a succhiare il cazzo di Lorenzo. Lui non ricambia il pompino; è lei a dirgli che non gli conviene, se non gli piace la salsa barbecue. Fanno sesso senza il preservativo, poi lei torna a compiacere lui, che chiede un time out (non concesso). Il piacere di lei nel dargli piacere è palpabile, coinvolgente. Lui se lo assorbe tutto fino a ributtarlo fuori, e lei se lo gusta, come un gelato.
È difficile rappresentare l’orgasmo di una donna. Valentina viene mentre è ripresa di schiena; e se non me l’avesse detto la regista, devo ammetterlo, non l’avrei scoperto.
“È difficile rappresentare l’orgasmo di una donna” ripeto alla Stambrini. “Anche nella vita” mi risponde lei. Le dico che è per questo che ho apprezzato il film: mette in luce un aspetto piuttosto realistico di quello che a volte si verifica in un rapporto sessuale tra uomo e donna, non tanto nel porno, quanto nella vita. Ho il sentore che, nel rapporto sessuale con un uomo, molte donne – non tutte – siano più propense a dare che a ricevere, più a fare che a chiedere. Dice Monica Stambrini: “Siamo noi donne che a volte, soggette al pudore, pensiamo: non sono carina, puzzo, ho le mestruazioni… Le donne non è che dicono: “leccamela”. Gli uomini sono molto espliciti nell’esternare il desiderio, le donne hanno molti timori. Ma è un discorso che gli uomini per primi vorrebbero fare alle donne: siate un po’ più aggressive, esprimete un po’ di più il vostro desiderio. Credo che arrivare a questo traguardo metterebbe d’accordo uomini e donne”. Aggiunge relativamente a ISVN: “A me è piaciuto che Valentina si sia sentita spontanea, che se la sia vissuta senza dover dimostrare che dato che lei è Valentina Nappi, anche se ha le mestruazioni, se la deve far leccare, si deve far toccare. Mi è dispiaciuto che non ci fossero scene in cui la donna è più centrale, però lei la fa comunque da padrona, tanto che a un certo punto io avrei voluto chiamare il film La cavallerizza, perché è lei che decide cosa fare con lui”.
ISVN non è la prima esperienza nel porno per Monica Stambrini. Nel 2016 aveva presentato a Pesaro il corto Queen Kong, nell’ambito di un progetto chiamato Le ragazze del porno. Già da allora si definiva una strategia grammaticale del porno differente, che modellava una definizione personale ed estremamente adeguata al concetto a supporto della produzione della Stambrini: realismo sessuale.
In ISVN: l’empatia con i personaggi si sviluppa in modo diverso rispetto ad un normale video porno; non si ha la sensazione di partecipare con loro, ma di essere loro. L’immedesimazione è rapida, e questa lunga scena di sesso esplicito in cui vengono meno i meccanicismi e le ripetizioni di un rapporto falsificato dall’immaginario e dalla fantasia, sa di vissuto o quantomeno di vivibile.
Il realismo sessuale toglie al porno per donare alla narrazione: la sfida è forse ben riuscita proprio per via del fatto che la protagonista è una pornodiva, e che il suo ruolo di pornodiva è smitizzato, è non più di una professione che porta Valentina a star fuori per lavoro; scivola in sottofondo, smorzando le fantasie della performance falsata dalle direttive della macchina da presa. ISVN è un documentario e Valentina è Valentina.
Ma al di là del personaggio di Valentina, la struttura narrativa imbastita sull’intimità dei due amanti acquista nel lasciarsi compensare da ciò che le gira intorno. Il particolare si perde nella grandezza dello studio-contenitore; i genitali sono parte di un corpo intero il cui desiderio si estende a gustare il dettaglio e a interagire spazialmente con l’ambiente circostante.
Eppure il valore descrittivo che acquista punti dal lato cinematografico, perde nel confrontarsi con le motivazioni per cui solitamente si guarda un porno: l’eccitazione.
Ne parliamo con Valentina, l’organizzatrice dell’evento presso IL KINO, alla fine della proiezione. A molti suoi amici uomini ISVN non è piaciuto perché non li ha eccitati. Come critica al film un po’ mi sorprende. Mi chiedo quali aspettative avessero, in generale, tutti gli spettatori presenti in sala: togliersi lo sfizio di vedere un porno su uno schermo più grande di un computer o una tv? Intraprendere un’analisi del concetto di porno-femminismo? E con quali parametri di giudizio hanno commentato il film? Il valore estetico va colto nell’attrazione per i corpi nell’amplesso o nell’odore di acrilico che aleggia, nel mentre, al piano di sopra?
Vale la pena farne una questione di genere, o affiancare il concetto di porno a quello di femminismo?
“Bisogna capire che cosa si intende per ‘femminismo’ – dice la Stambrini – se femminismo vuol dire avere una donna dietro la macchina da presa o se femminismo è veicolare un messaggio femminista attraverso il film. Poi anche nel femminismo ci sono tantissime correnti: ci sono quelle anti-porno, che vedono cioè il porno come una ‘oggettificazione’ della donna, e quindi assolutamente letale per la stessa, e ci sono le femministe che prendono il porno e ci fanno un po’ quello che vogliono per rompere la grammatica del porno mainstream. Io preferisco l’antisessismo al femminismo. Non perché non riconosca tutto quello che c’è stato del femminismo, ma perché sento che questi sono tempi in cui forse ha senso parlare di equità più che mettere uno contro l’altro. A volte il femminismo tende ad additare negli uomini la causa, mentre io a volte vedo che sono le donne stesse la causa. Non è il sesso, è una questione di mentalità”.
E infatti, piuttosto che sul genere le problematiche sono, a livello più ampio, relative alla categoria in sé: l’essere etichettati come attore o regista porno riduce la possibilità di poter lavorare in altri ambiti cinematografici, ad esempio. Ottenere dei finanziamenti è ancora più difficile. Impossibile a livello pubblico per quanto riguarda l’Italia (a differenza di alcuni altri paesi europei, quali Spagna o Germania, dove addirittura il partito socialdemocratico SPD si propone, nel proprio programma elettorale, di dare sostegno economico alla cinematografia porno che promuova la parità di genere). A livello di produzione e distribuzione, “mettere i soldi è un po’ come mettere la faccia”, dice la Stambrini. “E a livello politico, in Italia più che altrove, si fa molta fatica ad accettare che una donna che non sia una zoccola di professione possa esternare il proprio desiderio”.
La battaglia politica che Valentina Nappi svolge dall’interno grazie alla sua professione, è volta esattamente a sradicare questo concetto fortemente condizionato, a livello sociale, da una visione arcaica di ruoli e competenze legate al sesso. Vuole ‘normalizzare’ il concetto di piacere femminile, comunicando che non c’è vergogna nel voler godere, e che, anzi, bisogna essere fiere del proprio appetito.
L’istinto sessuale appartiene all’essere umano; come se ne può fare una questione di genere?
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