La gente si ritira dalla spiaggia quando il sole comincia a tramontare. In verità quello è il momento per restare. Le gemelle sono partite a mezzogiorno per Roma, pensando di non trovare code di rientro. Nessuno parte a mezzogiorno.
Si sono fermate a Bari, in colonna, dopo nemmeno due ore di guida.
Io ascolto Anima Latina di Lucio Battisti, con le cuffie grosse che ho comprato, quelle che isolano e tengono bene il suono.
Resto bocconi sull’asciugamano, a quattro metri dall’acqua, guardandomi intorno, mentre il sole sfuma di rosa il verde del mare.
Una coppia gioca con le racchette di legno; sono impacciati, quindi restano curvi con la schiena e il braccio libero proteso nell’equilibrio, i piedi abbronzati e le unghie no, le dita arricciate nelle infradito. Lui è sovrappeso, lei larga di fianchi e con occhiali da vista a montatura stretta.
La pallina gialla fosforescente tiene il ritmo degli ultimi momenti di una giornata in spiaggia.
Mi convinco a restare qui sdraiato fino a quando uno dei due sbaglierà e la sfera si perderà, cadendo nella sabbia o sul bagnasciuga, allora mi alzerò e camminerò fino a casa, tenendomi l’enorme sfera rossa del sole sulla destra, con i piedi nell’acqua delle onde che risaccano sulla spiaggia e sulla brutta cicatrice del mio alluce.
La coppia non sbaglia mai. La coppia è una coppia di campioni di “racchettoni da spiaggia” e resteranno qui per sempre, invecchiando e ingiallendo come ingialliscono i rami amputati dal tronco, il mare modellerà i loro corpi come modella il legno e le conchiglie e le pietre, trasformandole in souvenir da riporre sulle mensole o nella scatola di scarpe nella quale riponiamo i ricordi delle vacanze.
Continueranno a giocare anche quando lui sarà dimagrito e lei sarà appassita, senza smettere mai, forse perché io devo rimanere, forse perché io non posso andarmene.
La pallina un giorno tornerà a essere la stella cadente del desiderio del loro amore o del mio restare, e cadrà nella sabbia, sgretolando il loro record e i loro sogni di gloria e di guinness, ritrasformando in sabbia quello che dalla sabbia era partito. La coppia si accorgerà di essere invecchiata senza aver concepito figli, lei avrà rughe profonde e degli occhiali fuori moda. Lui ricorderà di aver lasciato la macchina al sole, molti anni prima e di non aver bevuto la birra dell’aperitivo, tutto perché dovevano continuare a giocare e a giocare e a perdere la vita, perdere le canzoni che si fanno con la chitarra e ti mandano avanti, quando sei triste e le estati finisco.
La coppia si renderà conto di aver perso tutto, passando dalle ferie alla pensione, senza vivere.
Non si accorgeranno del vecchio stanco, magro e senza muscoli, al loro fianco, sdraiato prono su di un asciugamano mangiato dal tempo. Gli occhi vitrei, un sorriso stanco e malinconico. Io, che ora dovrei alzarmi e andare a lavarmi dal sale, uscire e mangiare i ricci di mare, ripensando a quest’ultimo giorno d’estate e domani ripartire per la città. Io paralizzato da una sfida durata un guinness, ora non posso più.
Io sono parte della spiaggia e di tutti i tramonti che verranno.
…indugiando sulla scritta Bevi Coca Cola…
Oggi ho avuto un incontro ravvicinato con una medusa, me la sono vista lì, a qualche centimetro dal naso, mentre sono a mollo nel mare calmo. Ho pensato fosse un piccolo sacchetto di plastica e mi sono alzato in piedi per scacciarlo, portandomi con l’acqua bassa all’altezza delle ginocchia e chinandomi per mettere la mano sotto il pelo e scacciare l’immondizia portata a me da un’altra mano vandala.
Invece è una piccola medusa.
Alcune delle persone che mi conosco sanno quanto mi affascinano le meduse e ora questa è proprio davanti a me, a danzare come una ballerina trasparente, il corpo di gelatina lentissimo e ordinatissimo, volteggia nell’acqua con la stessa grazia di un gabbiano che si libra qualche metro sopra il mare. Sono due esseri così diversi tra loro, ma entrambi concepiti per danzare, uno nel vento, l’altro tra le onde.
Mi sento molto emotional e mi volto verso la spiaggia, stando bene attento a non entrare in contatto con la medusa che, toccandomi, mi provocherebbe lancinante bruciore, quella stessa irritazione che da bambino mi costrinse a pisciarmi su di una gamba per darmi sollievo.
Voltandomi mi sbraccio a chiamare i miei compagni di mare e urlo che c’è una medusa, c’è una medusa qui davanti a me.
Un uomo mi si avvicina, camminando sbilenco per contrastare con le tibie il pelo dell’acqua su di un fondale di sabbia e sassi. Chiede d’indicarmi dove si trova, questa medusa. Non riesco a riconoscere il suo accento, senza dubbio lo riconosco in un frequentatore di palestre. Ha dimenticato però, come fanno molti, di lavorare sia sulla parte superiore del corpo, che su quella inferiore. Le sue gambe sono sproporzionate rispetto al busto e alle braccia e alle spalle.
Indico la medusa all’uomo, che ora, avvicinandosi e oltrepassando la mia miopia, si trasforma in un ragazzo. L’uomo si trasforma in un ragazzo, sia chiaro. Non la medusa.
Sorrido e dico: non è meravigliosa? È elegante.
Il ragazzo mi dice di non perderla d’occhio e si allontana ritornando sulla spiaggia. Io non la perdo d’occhio, è bellissima la medusa davanti a me.
Qualche secondo più tardi il ragazzo tiene per mano una bambina triste, nella mano libera regge un acchiappafarfalle. Un acchiappafarfalle in spiaggia.
Chiede alla figlia: E’ quella la medusa che ti ha fatto male, amore mio?
La bimba scuote la testa in segno affermativo, non dice nulla, afferra il polso del padre con la mano libera, senza mollare quella già intrecciata alle grosse dita.
Il padre mi dice di farmi di lato, s’incurva e cattura la medusa con il retino per farfalle.
Io sono immobile e non riesco a dire nulla, forse non posso. Penso a qualcosa che riguarda le regole degli uomini di mare, ma sono triste.
Il ragazzo-padre torna sulla spiaggia, appoggia la medusa su di uno scoglio e questa non si muove, resta immobile come un sacchetto di plastica zuppo d’acqua. Sembra un contenitore di fazzoletti per il naso.
I bambini arrivano con i loro costumi a mutandina e i loro legnetti appuntiti.
La piccola non ha più il broncio e si pavoneggia in mezzo agli altri stronzetti che con le loro spade di legno oltrepassano da parte a parte l’esanime corpo di questa meravigliosa ballerina delle onde.
…Che nessun detersivo potente può aver veramente sbiaditi…
Mi dicono che ascoltare musica in spiaggia quando si è in compagnia di altre persone è da maleducati.
In spiaggia si chiacchiera seguendo il sole come i papaveri, spostando gli asciugami o le sdraio a seconda dell’abbronzatura che si desidera. Ci si aiuta con le creme a protezione 15 / 20 / 30 / la 50 compie il processo contrario e ti fa diventare albino.
In spiaggia si mangia il cocco o i bomboloni. In spiaggia ci si puccia in acqua fino alle ginocchia e ci si convince di aver fatto il bagno. In spiaggia si legge la Gazzetta dello Sport e s’impreca se l’Inter perde contro la squadra di terza divisione del campionato svizzero, durante le amichevoli estive. In spiaggia si fumano le sigarette e si nascondono sotto la sabbia. In spiaggia ci si mette pancia in giù, ci si tira la mutanda del costume in mezzo al culo e ci si slaccia il pezzo di sopra, lo si sfila e si appoggiano le tette sulla sabbia, si mettono le mani sotto la fronte e si appoggia il volto di profilo. Ogni venti minuti ci si volta e ci si mette di profilo dall’altro lato, altrimenti si abbronza una guancia si e l’altra un cazzo. In spiaggia si guardano le chiappe chiare. In spiaggia ci si mette la maglietta per andare al bar se sei un ciccione, ci si va a petto nudo se hai passato l’inverno a fare serie da dieci con 40 chili alla Figurella. In spiaggia si chiacchiera con il bagnino se sei di sesso femminile, lo si guarda in cagnesco se sei di sesso maschile. In spiaggia si affitta la canoa a due posti e si rema scoordinati facendo il triplo della fatica che farebbe un canottiere professionista, che già ne fa molta. In spiaggia si beve l’acqua calda della bottiglia di Rocchetta rimasta sotto il sole. In spiaggia si porta la borsa frigo con dentro i panini o la cena della sera prima. In spiaggia si urla ai bambini di non entrare in acqua che non sono ancora passate tre ore da quando hanno pranzato. In spiaggia ci si addormenta. In spiaggia si amoreggia. In spiaggia si zabetteggia. Ma in spiaggia è assolutamente vietato ascoltare musica. Non sta bene. È da maleducati.
… che nessuna forza per quanto potente può aver veramente piegate…
Non so cosa ricorderò di questi ultimi momenti di mare, di questa vacanza, quando sarà troppo tardi per rammentare, quando i ricordi belli non faranno più male e quelli brutti andranno bene soltanto per gli incubi dopo aver mangiato troppo e non aver digerito.
Non so cosa ricorderò di quello che sto lasciando e che forse non rivedrò mai più.
Ricorderò la simpatia di Francesca nel poco tempo che abbiamo avuto a disposizione, la sua risata coinvolgente, il suo attaccamento alle persone in quanto persone e non in quanto oggetti che attraversano il calcolo della vita. Ma non lo so se lo ricorderò. Ricorderò i giorni passati con Andrea e Davide e il continuo pensiero che mai avrei immaginato di vederli in questo luogo insieme a me. Ma non lo so se lo ricorderò. Ricorderò di quanto mangia Alexio e quanto mangio io e quanto non ci serve parlare di nulla per stare bene insieme, a noi due. Ma non lo so se lo ricorderò. Ricorderò per sempre l’arrivo di una corsa pazza durata quattro anni e rimasta senza carburante, ma non senza amore, in cui io continuo a chiamarmi Mattia e lei continua a chiamarsi Sara e mai sarà diverso e mai saremo lontani, perché una cosa quando è una sola, rimane una sola per sempre. Ma non lo so se lo ricorderò.
Quello che ricorderò sicuramente è l’odore di questo posto, di questa terra bruciata e lasciata a bruciarsi, dei colori chiari, chiarissimi e delle strade di notte senza illuminazione. Gli abbaglianti a smascherare le file di uliveti, tranquillamente nascosti nel buio.
La chiesa di Uggiano e i piedi nudi sui pedali della Opel Corsa diretta verso il mare. Ricorderò gli scogli come nemici per arrivare all’acqua salata dell’Adriatico, i tamburi della Pizzica, il caldo di Lecce, il sapore amaro che ti lascia in bocca la terra salentina, quando ti giri a guardarti indietro e comprendi che un altro sole è tramontato in fondo, vicino all’Albania.
E quasi mi viene da piangere a pensare che questo è l’ultimo giorno di mare e, forse, questa è l’ultima volta che vedrò questo luogo.
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Foto di copertina: pubblico dominio
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