Era un ragazzo sveglio: questo in paese lo dicevano tutti. Aveva l’acume di un indovino, le sopracciglia tese e il cuore buono. Fin da quando era alto solo un soldo di cacio e in punta di piedi arrivava a mala pena a sbirciare sul tavolo, imparava un gioco di carte nuovo in poche mani ed era subito pronto a indicare i bari, ma se gli si chiedeva di giocare lui, si tirava indietro. Solo suo nonno, di cui portava il nome e da cui aveva appreso i primi rudimenti dei giochi più noti, gli faceva in quei casi un occhiolino d’approvazione, tra i beffeggi di tutti gli altri a dargli del codardo. Era schivo, timoroso, o forse troppo onesto per giocare ai giochi del mondo dei grandi. Di tutto e su tutto aveva come un rifiuto reverenziale, un passo indietro dalle cose che gli permetteva di studiarle meglio.
Un giorno però, fattosi quasi grande, che la durezza a quei tempi toccava affrontarla giovani, gli venne la foga di vedere il mondo. In paese vennero a cercar soldati e marinai, e senza pensarci troppo finse d’esser pronto. Voleva provare, e provarsi, e dato che assicuravano a tutti una zuppa calda e da vestire, provò. Camminarono per giorni filati, cambiarono i paesi i colori e persino le lingue. Il suo spagnolo catalano divenne francese e poi genovese, finché non si ritrovò una notte a vagare da solo per una città di porto, dove avrebbe dovuto aspettare l’alba, per imbarcarsi.
In molti erano lì, come lui, da città lontane, arrivati per traversare i mari, e di questi più e meno esperti, più o meno avvezzi. Nella locanda i fumi, gli odori e i sapori degli uomini e delle loro storie, delle loro avventure e delle loro sconfitte, nella notte. Ai tavoli bevevano, palpavano donnacce e, ovviamente, giocavano a carte. Si mise seduto un po’ defilato, e solo di rado lanciava un’occhiata, ma gli ci volle poco a interpretare il gioco e i giochi. Vedeva chiaro i pretesti, i bari, gli scambi, i discorsi.
Di quelle lingue non ne capiva mezza, ma capiva degli uomini e dei giocatori, e alla fine ogni lingua parlava a gesti, a toni, a sguardi e a umori. Anche i giocatori stessi, spesso, non avevano una stessa lingua in comune. Tra tutti uno, forse tedesco, pensò dai vestiti, sembrava il più sprovveduto: giovane, magro e allampanato, in mezzo a una mandria di bari, era come un cucciolo di gazzella tra cento leoni. Appena lo vide e lo riconobbe, si riconobbe: un soldo di cacio in mezzo a sfide da grandi.
Non si sa da dove né come prese il coraggio, se fu lui a muoversi e ad aprir bocca o se fu qualcun altro a parlar per lui, né seppe poi spiegarsi in che lingua si fece capire, o seppe ricordarsi quello che fece e disse, esattamente. Certo è che salvò il giovane crucco, trattenne i bari dal venire alle mani, e riuscì a defilarsi di nuovo, illeso. Forse, si disse molte notti dopo, ripensandoci, anche il solo guradar giocare il mondo gli aveva insegnato qualcosa.
Mentre ancora si riprendeva, mentre incredulo fissava il tavolo davanti a sé senza il coraggio di guardarsi attorno, sentiva come ovattati il parlare dei giocatori e le urla d’un oste che provava a calmare i dissapori. Si accorse con sorpresa che la mano destra, forse chissà da quanto, impercettibilmente tremava. Senza farsi troppo vedere controllò che nessuno lo stesse guardando, che nella confusione non fosse stato troppo notato, quindi tirò un lungo sospiro: era salvo.
Proprio mentre trovava in qualche modo il coraggio di chiedere da bere, sentì una voce dura e cortese allo stesso tempo rivolgersi a lui. Non capì cosa quella voce dicesse, ma voltandosi riconobbe la sagoma alta del ragazzo tedesco. I due si guardarono, studiarono, senza parlarsi. L’altro allora chiese, e si fece capire in qualche modo, se potesse sedersi, e ordinò anche lui da bere. L’oste fece un cenno appena e dopo poco arrivò con due grossi boccali di legno: uno ricolmo per il tedesco e poi uno, poco meno schiumoso, per lui.
Era giovane ma non così tanto, il crucco: non tanto da potersi dire un uomo ma abbastanza da averne passate molte, o almeno così gli sembrò, guardandolo meglio in volto. Se non furbo o disonesto, quantomeno doveva essere meno sprovveduto di quanto sembrava: forse, in mezzo a quei bari, a far da indifeso ci si era messo proprio lui; forse, ma come mai avrebbe potuto calcolarlo?, quel salvataggio in estremo era proprio quello su cui contava, fin dall’inizio, per truffare i bari e rubare ai ladri.
Beviamo, incitò il tedesco prendendo il boccale e invitando l’altro a fare lo stesso. Ma il giovane spagnolo sembrava titubare, sembrava non fidarsi e, come da sua abitudine, restare un passo indietro, per, da zona sicura, studiare il nemico. Che c’è non ti fidi? sembrò dire quello in un qualche imbroglio gutturale di consonanti.
Poteva avere un coltello, potevano volerlo far fuori con del veleno, potevano stare tramando di tutto, alle sue spalle, ma ormai era lì, era in ballo, e doveva giocare. Fare una mossa, al tavolo verde, spesso è meno importante che il solo sembrare pronti a farla. Pensò che in fondo non aveva nulla da perdere. Così scosse il capo, e fece per bere. Ma l’altro lo fermò e, come a volerlo rassicurare che con lui non barava, che era un amico, disse scandendo bene, con le parole e con i gesti: “Ich” (e s’indicò) “bring dir’s” (il boccale a te) e fece intendere che scontrando i bicchieri avrebbero fuso le loro bevande e dimostrato che in nessuno dei boccali c’era veleno. “Bringdis”, ripeté scandendo in punto di domanda il giovane spagnolo, con aria tanto goffa che il tedesco non riuscì a trattenere uno scoppio di riso. “Bring dir’s”, ripetè. “Brindirs” disse. E bevvero.
Ne fecero un certo numero, dopo di quello, quella sera, di questi “Brindis”. Ne fecero tra loro due e poi con il tavolo accanto, e presto con tutta la taverna. “Bring dir’s”, faceva il tedesco alla comitiva, “brindis, faceva eco il catalano e tutti insieme facevano gran gara a sbatacchiar boccali. “Brindis a te” Brindis a noi”! “Gli sono piaciuti, questi brindìsi“, intervenne bonario l’oste, vedendo il più giovane ormai al collasso.
Continuarono a farne e troppi ne fecero, tanto che l’indomani non si svegliarono e persero nave truppe e scialuppe. Ai due, ormai inseparabili, non restò che aspettare e non si imbarcarono che dopo un’altra settimana. I loro corpi, ancora vicini, come a proteggersi l’un l’altro, come avessero fatto un patto di birra e saliva, più ancor che di sangue, a viversi amici, furono ritrovati di lì a pochi mesi sul campo di guerra, morti compagni. Di questi due giovani non si seppe mai altro, eppure, da loro, da quel piccolo paesino, per anni a venire, non si perse l’uso d’insegnare, a chi passava dall’osteria, l’uso lanzichenecco alla spagnola del far brindìsi.
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