Aleksander Skrjabin era un sinesteta. Ovvero una persona a cui uno stimolo sensoriale provoca una reazione distinguibile e propria di un altro senso. I suoni si trasformano in colori, per esempio. Questo in genere accade involontariamente, ma i sinesteti puri sono in grado di evocare il fenomeno in maniera consapevole. Un po’ come l’onironautica. Cioè che mentre si sogna si diventa coscienti del fatto di star sognando e con un po’ di pratica si arriva persino a pilotare il sogno nella direzione che più piace. Pare che Aphex Twin sia in grado di fare sogni lucidi. Anche Skrjabin è stato un musicista, attivo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Ha composto ‘Prometeo, poema del fuoco’, un’opera sinfonica per la quale l’artista aveva progettato un pianoforte che proiettasse fasci di luce colorata differenziati per nota. Skrjabin era notoriamente pazzo, ma credo sia solo una coincidenza.
Ho parlato con persone che mi hanno detto di vedere forme geometriche quando ascoltano certi generi di musica. Come cubi e triangoli con la techno, per esempio. Queste persone di solito fanno uso di MDMA, ma credo sia solo una coincidenza.
La sinestesia è un fenomeno neurologico, nella sua forma più blanda, relativamente comune. Esistono vari tipi di sinestesia. C’è quella grafema-colore che è una delle più diffuse. Ovvero quando la percezione, visiva o auditiva, di una specifica lettera o numero è associata ad un particolare colore. Come il blu sia automaticamente collegato al numero quattro, per esempio. Sembra che Vladimir Nabokov ce l’avesse e che l’attribuisse anche a molti dei suoi personaggi. Anche sua moglie era una sinesteta grafema-colore e di conseguenza loro figlio Dmitri.
Nabokov raccontava che lui e la moglie non associavano le stesse lettere con gli stessi colori. Che però Dmitri vedeva le lettere di colori derivati da un’amalgama di quelli dei suoi genitori. Come lui vedesse la lettera A viola se la madre la vedeva rossa e il padre blu, per esempio. ‘Come se i geni fossero stati dipinti con gli acquerelli’, per esempio.
Non ne sono certa, ma forse anche quando senti un’odore e ricordi qualcosa è una sinestesia. Come una Marlboro Light appena accesa faccia materializzare il viso della nonna, per esempio.
Io so di provare sinestesia emotiva, e di sicuro anche tanti di voi.
Ho scoperto di sentirmi tranquilla quando sono in mezzo a paesaggi industriali, meglio ancora se in stato di abbandono e degrado. Infatti ho un certo talento nel ritrovarmi tra auto-officine e discariche di metalli. Come quella volta ad Istanbul, quando cercavo di raggiungere il cimitero di Eyüp e sono finita in una zona di sfascia carrozze. Forse è solo pessimo senso dell’orientamento. Ma mi è successo anche a Bristol, mentre andavo a Castle Park. A Londra, dove il primo posto in cui ho cercato casa è stato casualmente un quartiere di ex-magazzini riconvertiti in appartamenti. Se ci si pensa è piuttosto banale che un paesaggio susciti determinati stati d’animo. Come ai Romantici, a Leopardi e l’ermo colle, per esempio. Però ecco, di solito è in mezzo alla natura che si prova un senso di pace. Mi sono chiesta se è per via dell’epoca in cui vivo, che per me invece sono fabbriche in disuso a rendermi più calma.
E’ quasi un anno fa, sono a Londra, non dormo bene da svariati giorni. Ho due consegne simultanee all’università, una delle quali è un racconto autobiografico sulla mia mancata carriera da ginnasta. Tira fuori ricordi dolorosi, un periodo difficile. Sono tornata recentemente da un viaggio a Berlino e ho capito che mi manca. In più ho appena compiuto ventisei anni, che secondo me è un’età insulsa. Mi siedo alla scrivania cercando di lavorare, ma vorrei essere altrove. Mi alzo, cammino, mi guardo intorno. Non combinerò niente. Decido di prendere la bicicletta e seguire il canale. Mi dirigo verso Tottenham, teatro degli omonimi riots nel 2011, quartiere rough di Londra Nord. Non è carino. Piloni della luce mastodontici, di quelli che in Italia vedi solo ai lati delle autostrade, e i loro fili elettrici striano il cielo che ovviamente è grigio. L’inceneritore sulla destra appesta l’aria, sulla sinistra invece piramidi di pallet si alternano a cespugli di rampicanti incolti. Finché vedo solo prato con gli elettrodotti in mezzo e c’è troppo spazio. Allora faccio dietro front e mi dirigo ad Hackney Wick. Mi piace qui, i graffiti, i cancelli di lamiera, i capannoni in mattoncini, i depositi con le entrate per i camion. È zozzo. L’asfalto ha i buchi, girano poche macchine, negozi non ce ne sono, solo un off license. In realtà è una zona cool, uno di quei posti originariamente malfamati in cui si sono insediati artisti, che hanno occupato i vecchi impianti di produzione e ci hanno fatto i loro atelier, le loro abitazioni. Poi quello che viene dopo lo sappiamo tutti, lo abbiamo già visto, già sentito. Lego la bicicletta e comincio a vagare. Mi sento meglio. E’ quasi come le RAW Gelände, solo inglese. La fronte si distende. La mascella si rilassa. Passa la Overground e il suo sferragliare sui binari mi provoca un mezzo sorriso. Ed è in quel momento che capisco.
È un grido abbagliante, è un giallo gassoso, è una stretta aspra. E’ una sinestesia.
Quando ho in programma un bagno rilassante, accendo la lavatrice di fianco alla vasca. Sul lettino del dentista, gli strumenti per la pulizia mi inducono torpore. La macchinetta dei tatuaggi ha un effetto ipnotico su di me. E poi tutta la musica industrial, noise e post-rock che ascolto, non può essere un caso. So per certo che la memoria del corpo, la memoria sensoriale, è molto più forte di quella razionale. Che inconsciamente cerchiamo sempre il piacere.
Sarà allora che la vista di carcasse di automobili mi dà la stessa soddisfazione di un brano dei Braniac? Possono architetture in ferro battuto rimandarmi a ricordi musicali? Forse è come chiedersi se gli androidi sognano pecore elettriche. Cammino per il parcheggio quasi vuoto e vedo hangar con stencil numerici scoloriti dal tempo. Vedo le travi portanti in acciaio sbucare da edifici semi-distrutti. Vedo gli angoli arrugginiti delle insegne dei gommisti e mi sento come quando ascolto Lunacy. Come quando ascolto Die Befindlichkeit des Landes. Come quando ascolto Atlas, per esempio. Acquietata.
Guardo la scavatrice spostare i detriti e ammonticchiarli in un cumulo di mattoni sgretolati e sento musica. Sono sollevata. Magari sarebbe stata una forma di sinestesia emotiva più sofisticata se passeggiando per rovine industriali avessi provato le stesse sensazioni che mi suscita la musica classica. Come una vecchia rimessa ferroviaria e Debussy, per esempio. Ma la musica classica mi fa concentrare, non mi rilassa.
E’ una scoperta importante comunque, che un luogo possa esercitare lo stesso identico rassicurante effetto di una traccia audio. Io non credo che sia solo una coincidenza.
E quindi se il posto sta alla calma come la calma sta alla musica, allora la musica è un luogo.
Ma qui forse sconfiniamo in un nuovo ambito. Anzi, presumo che tutto ciò già possa sembrare assurdo. Come un discorso di uno a cui hanno fatto troppi elettroshock, per esempio.
Vi dico solo un’ultima cosa, che James Wannerton quando ascolta delle parole ne sente il gusto. ‘Come le preghiere a scuola la mattina sapevano di bacon croccante’, per esempio. E Wannertonnon non è né notoriamente pazzo, né, che io sappia, fa uso di stupefacenti.
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