Le luci bluastre del Grunding illuminano il soggiorno dove tutto è fermo. Troppo caldo anche solo per respirare. Mia madre dorme già da qualche ora. Posso sentirla russare nonostante sia a due stanze dalla mia. È il segnale che aspettavo per dare sfogo ai richiami della pubertà. Mi assicuro che la porta della sua camera sia chiusa. Torno in sala, abbasso il volume della tv, poi le mutande. Inizia il frenetico zapping tra le reti locali alla ricerca dello stimolo perfetto. Ignoro Rete4 e Italia7 Gold anche se nelle notti d’estate sono una certezza. Le tette della Fenech non tradiscono mai, ma tocca sorbirsi un quarto d’ora di film prima che Banfi guardi attraverso il buco della serratura, e il mio cazzo è già duro. Vado sul sicuro con TeleArena e la pubblicità dell’144, il telefono erotico. Nello schermo, una bionda truccata come Moira Orfei – ma con le ciglia vere e cento anni in meno – si passa la cornetta del telefono tra le enormi tette strette in un reggiseno di pizzo rosso. In sovrimpressione la scritta ‘Chiamami e Chiavami’ e altre finezze. La ragazza infila la mano libera nelle mutande. Le bastano due semplici tocchi per raggiungere l’orgasmo. Poco credibile ma non è il caso di farmi troppe domande. Accetto lo stato delle cose e partecipo anch’io. La bionda si chiama Crystal, è moldava, e dice che se le telefono mi farà venire. Troppo tardi. Mi pulisco la pancia gonfia e nuda, butto a terra lo Scottex, sistemo le mutande, e continuo con lo zapping verso canali più sicuri. Sia mai che mamma si svegli.
Ho ancora due mesi pieni prima che la scuola ricominci e di andare a letto presto non c’è motivo. Le mie serate d’estate seguono sempre la stessa routine: baretto con gli amici, poi a casa, poltrona a due metri dalla tv, tv, sega, tv, altra sega, altra tv fino a che non mi addormento. Solitamente mi desto che è quasi l’alba, con il collo bloccato, e mi trascino sul letto per risvegliarmi che è già ora di pranzo. Tra una Crystal e una Selen c’è sempre il tempo di guardare qualche film e a quell’ora c’è una solo certezza: Fuori Orario, un programma di Rai3 che va in onda quasi ogni sera, a tarda notte, per tutta la notte. Un film dietro l’altro: lungometraggi, corti, carrellate di immagini prese da chissà quale cineteca, il tutto intervallato dalle digressioni di Enrico Ghezzi, il conduttore nonché curatore del programma. Ghezzi è un critico cinematografico, uno di quelli che hanno ideato Blob. A lui devo tutta la mia gratitudine per avermi introdotto al cinema d’essai. Sentirlo parlare, alle tre di mattina, di un film bielorusso del ‘34 – con la sua voce fuori sincrono rispetto alle immagini fisse di lui in canottiera bianca – non è uno sforzo da poco, ma se si riesce a rimanere svegli, Ghezzi ti premia con qualche perla. Visioni provenienti da ogni parte del mondo che non hanno speranze di passare dal grande schermo, film sperimentali, capolavori sconosciuti, ma anche i grandi classici che non fanno botteghino. Una cineteca in casa. La sola opzione valida nel triste palinsesto della televisione italiana dei primi anni novanta.
Attore poliedrico, ha coperto numerosi ruoli come quello del gobbo in cerca dell’anima gemella, del topo di fogna, dell’albero di natale, dell’escremento che vive il dramma di puzzare troppo, del verme solitario, dell’esausto uccello di uno stupratore.
Stasera Ghezzi propone Cinico tv, la creatura di Daniele Ciprì e Franco Maresco, due registi palermitani, maestri nel raccontare la loro amata Sicilia. Lo fa spesso, e a volte capita di vederla anche su Blob.
Cinico tv è l’ordinario fuori dall’ordinario. Brevi filmati in bianco e nero, con l’inquadratura fissa, i ritmi lentissimi, la voce-off di Maresco, e poi loro, la vera anima del tutto, gli attori presi dalla strada che si muovono tra le macerie e i rifiuti di una Palermo post-apocalittica. Freaks in mutande, disadattati in cerca di qualcuno da amare, o anche solo di un manichino da trombare. Perché in quella Palermo devastata non si vedono donne. Non c’è spazio per la bellezza. E allora a vagare tra i detriti rimangono Paviglianiti, il ciccione affetto da meteorismo, che canta classici di Orietta Berti intervallandoli a poderosi peti; Tirone, sempre con la sua tuta e il berretto da ciclista che, con fare signorile, mantiene intatta la sua dignità nonostante la voce fuori campo provi costantemente a demolirla; il terribile Roccocane, intento a scoparsi qualsiasi cosa incontri, che sia un essere umano o un semplice buco nel terreno; e una vastità di altri relitti umani.
E poi c’è Pietro Giordano. Solo Giordano per la voce fuori campo che lo interroga, lo provoca, gli fa ripetere le parole fino a portarlo all’errore nell’inutile tentativo di umiliarlo. Attore poliedrico, ha coperto numerosi ruoli come quello del gobbo in cerca dell’anima gemella; del topo di fogna, vedovo di una topina uccisa dall’acerrimo nemico gatto; dell’albero di natale; dell’escremento che vive il dramma di puzzare troppo; del verme solitario; dell’esausto uccello di uno stupratore perché «il suo padrone lo tiene sempre in movimento».
Giordano è l’attore feticcio, quello bravo, l’orgoglio dei due registi. I suoi tempi comici lo mettono una spanna al di sopra degli altri. E poi la sua mimica facciale, le smorfie, le parole reiterate fino allo sfinimento con la bocca impastata, gli sputi, gli sputi, e ancora gli sputi.
Ventisei Gennaio Duemiladiciassette
Pietro Giordano è morto. Stroncato da un malore nella sua abitazione a Palermo. Aveva raggiunto quei 68 anni che già dimostrava un ventennio fa. Verrà ricordato per il capolavoro Lo Zio di Brooklyn, il primo lungometraggio dei due registi, datato 1995, summa dell’esperienza di Cinico tv, e per il ruolo di Sua Eminenza, il Cardinale Sucando, ne Il ritorno di Cagliostro che lo vedeva come co-protagonista a fianco di una vera star internazionale del calibro di Robert Englund. Poi la fine del sodalizio tra Ciprì e Maresco ha distrutto la sua carriera. Ciò non ha impedito che il suo mito continuasse a diffondersi, grazie ai video che ancora oggi si possono trovare in rete. Ora è culto, è leggenda. Ora è morto.
Dei protagonisti di Cinico tv era rimasto solo lui. Agli inizi del nuovo millennio, uno dopo l’altro, se n’erano andati tutti gli altri stoici reietti.
Qualche giornale gli dedica due righe, e i fan lo ricordano sui social network postando spezzoni dei filmati che resistono su YouTube. Di lui scrivono che, nonostante vivesse di espedienti, non era nato povero e che, per un periodo, ebbe pure una cameriera in casa, ma che era ossessionato dalla paura di essere obbligato a lavorare e di rimanere indigente. Scrivono che negli ultimi anni elemosinava fuori dalle chiese e che era facile incontrarlo nelle strade delle sua Palermo, o all’Officina di Dio, dove due volte al giorno, fino all’ultimo giorno, andava a bersi il caffè. Scrivono delle sue doti d’attore, definendolo una “maschera surreale” ma di surreale non aveva proprio niente. Lui, insieme a Tirone, Paviglianiti, e Roccocane, guidati dai due Maestri, semplicemente davano un’interpretazione di quello che tutti noi saremmo diventati o che già eravamo.
Ho rivisto un filmato, in questi giorni, in cui ho voglia di ricordarlo e di ridere delle sue e delle mie disgrazie, che rappresenta tutta l’immarcescibile tempra e ostinazione alla vita dei personaggi di Cinico tv. La telecamera, ovviamente immobile, inquadra una croce di legno con il suo nome scritto sopra. Questa volta le voci fuori campo sono due. C’è quella del solito Maresco e quella di Giordano sepolto vivo. Maresco chiede se sta soffrendo ma Giordano tranquillamente risponde che sì, ha «qualche privazione, ma poteva andare peggio» e, per quanto riguarda il sesso, che «in questa situazione non si può avere tutto» ma che «certo lei non può capire perché non è un sepolto vivo».
Immagine di copertina: lo zio di brooklyn, Cipri e Maresco (1995) – screenshot
REDAZIONE
Wale Café
Hobrechtstrasse 24, 12047 Berlin