Primordi è un rubrica aperiodica, curata da Mattia Grigolo.
Ci piacciono degli esordi narrativi e ne scriviamo. Ma solo esordi.
Dopo anni di lavoro dietro le quinte come editor letterario – tra gli scrittori e le scrittrici con cui ha collaborato c’è Giulia Caminito – Marzia Grillo pubblica la sua prima raccolta di racconti dal titolo Il punto di vista del sole, edito da Giulio Perrone Editore.
Alcune di queste tredici storie sono l’evoluzione di racconti già editi su riviste letterarie, altre sono il frutto del lavoro di costruzione della raccolta stessa.
Sulla copertina, una serie di avvertenze simboliche – tra cui un punto esclarrogativo, ovvero un punto interrogativo e un punto esclamativo sovrapposti e con un punto in comune – ci anticipano il bugiardino all’interno, nel quale le istruzioni per l’uso strappano un sorriso: la lettura di questi racconti come integratore alimentare e letterario; si suggerisce una triplice lettura consecutiva, senza eccedere nella dose giornaliera.
Nei tredici racconti, la ricerca del punto di vista esatto per narrare quella specifica storia passa attraverso la necessità di alternare le voci narranti: prima e terza persona singolare, e persino terza plurale, narratore onnisciente (così bistrattato e ripudiato negli ultimi decenni), fino alla scelta di utilizzare diversi stili e forme narrative (Gost in translation, per esempio, è epistolare, Arrivederci utilizza la forma brevissima).
«I dialoghi galleggiavano piano, avanti e indietro, con i verbi spaiati. Le domande erano isole, le avevano piegato in terza elementare. Le risposte continenti. Dove preferiresti abitare?» [da Il cigno, pag. 11]
Case, madri, cigni, richieste di matrimonio, famiglie e arche, il gioco del backgammon e l’arte di barare, una caccia al tesoro per mantenere intatta l’infanzia, la caduta di una dittatura – quella rumena – triangoli amorosi, fantasmi alle prese con la parola. Una costante nostalgia del presente a riempire queste pagine. Piccoli rimandi uniscono tra loro i racconti: tornano pesci, camerieri e una tenace urgenza di raccontare.
«Vedo dei pesci rossi. Girano attorno al banco, guarda. Tu lo sai come funzionano quei pesci lì?». I pesci rossi respirano a una velocità incostante, che puoi riempire d’oro. Hanno scaglie arancioni, occhi di brina. Ballano sulle dorsali sempreverdi dell’amnesia, tra castelli di alghe o di plastica, a seconda della loro fortuna o sfortuna. Costruiscono e distruggono imperi enormi, ma dimenticano ogni volta di averli posseduti o rasi al suolo. [da Il punto di vista del sole, pag. 57]
Nel racconto, che da il titolo alla raccolta, Il punto di vista del Sole, sono condensati ben quattro punti di vista differenti, su un unico evento. L’approccio è quello di una divisione in capitoli: prima la maestra, poi la madre, il padre e infine la voce di un manuale che recita: «Il punto di vista del Sole è il più semplice, perché coincide con quello di Dio: si tratta di pura assonometria.». Questa struttura permette di carpire come, i personaggi, si percepiscono di fronte a ciò che sta accadendo e come costruiscono il loro sentire. Marzia Grillo li caratterizza, attraverso la voce e la parole, permettendoci di distinguerli, farci restare con loro e vivere le loro immagini.
La raccolta si chiude con *Macchina, il più ardito e surreale dei racconti presenti, il cui incipit recita: «Roteando le viti a croce che occupano le sue orbite, la Macchina ha espanso il presente: è uno sfarfallio della coscienza, e la sua voce echeggia nell’assenza dei nostri cuori. Mi sentite?». L’uomo e la macchina in un tempo che sa di infinito, in cui gli umani fluttuano senza più corpi, e sono solo essenza plasmata alla Macchina.
«Al tramonto del mondo, […] avete persino gioito di fronte alla ribellione dei bancomat […]. Avete perso il controllo.» La Macchina percepisce la nostalgia dell’essenza umana narrando della Grande Razzia, così chiama l’apocalisse avvenuta, che ha reso gli umani inabili, banali, «prede tra le prede». La fine dell’epoca del denaro e la digitalizzazione sono tra le cause di una realtà diventata accessoria, nella quale senza corpo non si è più nulla. Nulla ha più senso in questa dimensione narrata e per quanto «il ricordo è potenza in atto, non attecchisce sulle nostre pallide menti» in un universo in cui nulla ha più valore della società conosciuta, e dove anche la Macchina, nel raggiungimento del suo trionfo nell’eterno etereo, si ostina a cercare, nell’algoritmo, la fine.
La scrittura pulita, lineare, precisa, lucida – il cui lirismo si supera nel racconto Matrioska – ci restituisce una sintassi asciutta e reticente all’eccesso. Nel raccontare la realtà, Marzia Grillo sovrappone in perfetta combinazione il fantastico e, in questa operazione, non lascia percepire il momento dello scollamento della realtà, così che tutto sembri possibile e immaginifico allo stesso tempo. L’autrice ha saputo calibrare le due visioni, dandone a ognuna il giusto equilibrio. Esercizio non facile, ma che custodisce una profonda conoscenza della materia narrativa.
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