Nelle canzoni di Pop X uomo nero può far rima con imbarcadero, amore mai con cuore ma eventualmente con tumore. Nei loro videoclip puoi vederli cantare in evidente playback davanti a un deposito di ambulanze con addosso berretti con le orecchie, ma mai sfrecciare a bordo di macchine di lusso indossando vestiti firmati e occhiali da sole.
In occasione dell’uscita dell’album Antille (Bomba Dischi/Universal, 2020) ho avuto una conversazione telefonica con Davide Panizza, membro fondatore del gruppo.
Il primo singolo dell’album è una cover di un pezzo di PoP_X del 2005, Il cieco e la finestra, che però è stato rinominato D’Annunzio. Come mai la scelta inusuale di fare una cover di un proprio pezzo e di cambiarne il titolo?
Ho voluto ripescare una canzone dei nostri inizi perché il nuovo disco segna un ritorno alle origini del gruppo: Il cieco e la finestra faceva parte del nostro primo album, che ho scritto insieme a Walter Biondani così come ora abbiamo fatto per Antille. Per quanto riguarda il cambiamento del titolo la storia è questa: dei miei amici dell’epoca mi avevano chiesto di spiegare il testo della canzone e io dissi che il pezzo nasceva da una suggestione nata da una visita al Vittoriale degli Italiani. Da quel momento in poi il titolo D’Annunzio ha quindi preso a circolare prima tra i miei amici e poi tra i miei fan parallelamente a quello originale. Nel riproporre la canzone ho voluto darle il titolo che mi sembra più esplicativo e che era nato indipendentemente da me che l’avevo composta.
Ho sempre apprezzato la coerenza formale dei video di Pop X, caratterizzati dall’inizio e fino ad oggi da uno stile spartano con l’uso di normalissime telecamere consumer.
Sì, uno stile povero, se guardi quasi tutti i videoclip di adesso vedi una luce bellissima, bei vestiti, la gente truccata bene, una location stupenda, i colori pazzeschi, ma di fatto si muovono sempre tutti come dei babbuini e fanno gli sguardi seri in camera perché ormai i sorrisi non esistono più. È tutta una questione di posa, sostanza zero. Invece io cerco di mettere a fuoco un significato che voglio far emergere col video, mi chiedo sempre quale sia la cosa più importante da trasmettere. Ad esempio nel video di D’Annunzio c’è questo personaggio cieco che se ne va in giro a caso con una stampella. Il video è nato di ritorno da un concerto che avevo fatto insieme a Gioacchino Turù, avevamo con noi la telecamera e ho detto “dai fermiamoci in questo paesello e giriamo il video di D’Annunzio”. È un modo di fare le cose in economia, e per me è anche una questione di sostenibilità. Faccio tutto io con i mezzi che ho perché anche da un punto di vista ecologico mi sembra la scelta migliore.
La produzione di video è sempre andata di pari passo con quella delle canzoni.
Ho sempre cercato di rappresentare le canzoni su un piano visivo. I miei non sono dei videoclip nel senso comune del termine, aiutano a visualizzare il testo e a dargli dei colori, visualizzano il contenuto della canzone.
Ti sei autoprodotto per anni, hai fatto la tua strada e poi a un certo punto si è creata l’occasione di firmare con una casa discografica, ma non è una cosa che hai cercato più di tanto.
Sì io sono andato avanti per anni postando i miei pezzi e i miei video su internet, ma era un momento diverso. Forse la mia è già un po’ una nostalgia da vecchietto, sto parlando di una decina di anni fa e oltre: internet era un posto un po’ più libero dal mercato, la pubblicità era ancora appannaggio della televisione e gli spettatori non si erano ancora trasferiti in massa su internet. Quando navigavi in internet nel 2006 o nel 2007 non eri assalito dalla pubblicità, sembrava un luogo più sperimentale in cui potevano avvenire connessioni, in cui avevi almeno l’illusione di avere accesso a una cultura libera dal mercato. Mi è capitato ieri di guardare il videoclip di un gruppo che conosco che è praticamente un live girato in un concessionario della Seat: dietro si vedono proprio le macchine. Ho capito che magari la Seat ti dà due lire, ma ci sarà un altro modo per far entrare l’arte nel mercato che non sia piazzare una macchina dietro alla band che suona. Di fatto poi quello che vien fuori non è la tua musica, ma solo una macchina della Seat che vuole essere venduta.
Da un punto di vista musicale non hai mai nascosto di avere riferimenti che attingono alla musica cosiddetta trash.
Sì, assolutamente. Nell’album Antille c’è l’intenzione di ricostruire un sound da canzone tipo Maracaibo, da balera. Il mio riferimento sono alcune versioni di Maracaibo che giravano intorno 2009, quando andavi per discoteche e qualcuno metteva sempre su un remix di Maracaibo. L’etichetta di trash per me non è un giudizio di valore. A me Maracaibo piaceva davvero come mi piacevano davvero gli Eiffel 65 per esempio.
Non è una presa in giro ironica del trash.
Ho letto delle recensioni del disco che usano questa chiave di lettura, ma in realtà da parte mia non c’è nessun tipo di ironia soprattutto in questo disco. A me piacciono quei suoni, la musica mi piace così. Questa è davvero il sound che mi piacerebbe ascoltare di più in questo momento.
Il tuo uso dei social è molto particolare, non cerchi mai di fingerti quello che non sei, sei molto spontaneo e sincero. Non ti prendi troppo sul serio, dai sempre un’idea di understatement.
Se potessi farei a meno dei social lo farei volentieri, ma è un modo molto efficace per far arrivare la mia musica alla gente. “Allora perché non fare il video con la Seat”, potresti chiedermi. Però quello secondo me è un altro discorso, io voglio comunque mettere al centro la musica e la libertà di farla come voglio. Non dico che gli altri abbiano la pistola puntata nel momento in cui fanno le loro canzoni, però vedo in generale un certo conformismo musicale, che è la cosa che voglio combattere in tutto e per tutto. Poi magari non ci riesco sempre ma il mio obiettivo musicalmente e artisticamente è sempre quello, liberarmi dal conformismo.
I tuoi testi sono molto misteriosi, c’è molto nonsense e quei pochi versi comprensibili rimangono comunque spiazzanti.
Secondo me i testi delle canzoni che si sentono in giro sono quasi tutti spiazzanti. Sono talmente banali, c’è magari il gruppo che si impegna a fare le allitterazioni o le metafore, ma a livello di contenuto c’è poco. Mi sembra perlopiù gente obnubilata da internet che è caduta nella rete senza strumenti per poterla comprendere. Prendi una canzone pop di adesso e prendi una di dieci anni fa, c’è una evoluzione tecnica ma a livello di contenuti non c’è molto di nuovo. Sono testi magari più ricercati, ma riguardo ai temi che affrontano è sempre la stessa solfa. Il mio approccio, invece, è quello di scrivere canzoni che abbiano un punto di vista un po’ meno conformista, le canzoni di Antille sono sempre canzoni d’amore ma senza i cliché del nostro tempo, la quotidianità legata all’uso del telefono cellulare e cose del genere.
Volendo fare un confronto tra la vostra musica e un genere di moda come la trap, ci sono delle similitudini come il low-fi all’uso dell’autotune. Ma tu ci sei arrivato dopo un lungo percorso di studio.
L’approccio della trap è simile, è vero, dal punto di vista del dire “facciamo musica con quello che c’è”. Per me è una scelta, ho studiato la materia e l’ho approfondita molto per poi fare un passo indietro: esteticamente mi piace utilizzare questi suoni, mentre chi fa la trap magari non lo fa per una scelta totalmente consapevole. Una cosa che per me è stata importante nel mio modo di fare musica è stato limitare i miei strumenti. Oggi magari c’è la tendenza a usare software che sono in grado di produrre migliaia di suoni diversi, mentre io da anni ho sempre la stessa versione di Reason 2.5 e vado avanti con quei pochi suoni che mi mette a disposizione. Ho sempre un occhio come esperto del settore per le novità (Davide insegna tecnologie musicali, ndr), ma tendenzialmente torno poi sempre sui miei passi, e mi dico sempre “concentrati a fare delle buone canzoni invece di impazzire con tutti i nuovi software”. Preferisco avere poche cose e sfruttarle grazie alla creatività. Anche a livello di video si è ragionato spesso con Bomba Dischi sull’idea di fare un videoclip più professionale, però alla fine anche loro riconoscono il fatto che, se fai fare un videoclip di Pop X a un regista di videoclip di professione, non ne verrà mai fuori qualcosa coerente col progetto e quindi tanto vale farlo fare a noi, come abbiamo sempre fatto.
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