OST è stata per diversi anni una rubrica ideata e curata da Mattia Grigolo, apparsa su Soundwall Magazine. OST ha raccontato i film attraverso le sue colonne sonore.
Ora è su Yanez.
Questo articolo è apparso su Soundwall Magazine nel dicembre del 2012, con il titolo ‘Drive, qualunque cosa accada’
“Ci sono centomila strade in questa città, non c’è bisogno che tu le conosca, dammi ora e luogo e ti do cinque minuti. Qualunque cosa accada in quei cinque minuti ci penso io, ma ti avverto, qualunque cosa accada un minuto prima e un minuto dopo, te la cavi da solo? Hai capito?”
Tutto ha inizio con una chiamata telefonica da uno sconosciuto a un altro, la voce è quella del Pilota, la città dalle centomila strade è Los Angeles, il film è Drive di Nicolas Winding Refn.
Il Pilota (Ryan Gosling) è un tipo silenzioso, schivo e per campare lavora in una modesta officina, gestita da uno zoppo Walter White (Brian Cranston). Il ragazzo si presta come stuntman durante riprese automobilistiche, ma soprattutto, garantisce fughe “pulite” ai rapinatori.
Poi c’è una ragazza, Irene (Carey Mulligan), che vive in un appartamento sullo stesso piano del Pilota. Ha un figlio piccolo e un marito che è appena uscito dalla prigione e che deve dei soldi a della gente che non scherza.
Questa è l’ambientazione, tra famiglie mafiose senza scrupoli, ragazzi che provano a darsi un’altra possibilità e gente che non riesce a nascondere né i mostri del passato né quelli che aspettano composti, alla fine del vialetto.
Drive è una storia già vista, è impossibile non notare i rimandi a Driver l’imprendibile di Walter Hill e al tassista più famoso di tutti i tempi, quello di Scorsese. È dagli anni ottanta che viene triturata e ricostruita in centinaia di versioni, più o meno credibili.
Drive è un banale noir che però ha due grandi pregi: narrare con sincerità l’essenza dell’essere umano e avere una colonna sonora degna di un capolavoro.
Cliff Martinez ha suonato la batteria con Red Hot Chilli Peppers, Lydia Lunch, The Dickies, The Weirdos e Captain Beefheart, per poi tornare alla sua naturale inclinazione; la colonna sonora.
E’ con Steven Soderbergh, con cui collabora per molti anni, che entra di diritto nell’universo dei grandi compositori, prima con una gavetta di tutto rispetto e poi con le bellissime composizioni per Traffic, ma soprattutto Solaris, nel 2002. Quello è il momento in cui il patto si scioglie e Martinez è libero di attraversare i rigogliosi campi della musica da film di Hollywood, ma tra pochi alti e troppi bassi cinematografici, fino al 2011.
Soderbergh e Drive, due avvenimenti importanti. Il primo, il ritorno all’ovile, con il film Contagion, uno sci-fi catastrofico poco acclamato dalla critica. Il secondo, la colonna sonora di Drive, apprezzatissima .
Il Pilota nasconde dei fantasmi (molto più evidenti nel libro di James Sallis, da cui il film trae ispirazione) e una doppia personalità che nella causa ed effetto/affetto che prova per Irene e Benicio, il suo bambino, trasmuta ed esplode, spingendolo a immolarsi per salvare un nucleo familiare in pericolo. Annulla tutti i suoi scudi e le sue precauzioni trasformandosi nel real hero.
Nel film, i valori cromatici sono pompati fino a rendere i colori ostentatamente plastici e grotteschi, le scene di azione (quelle più gore) sono talmente rallentate da renderle scivolose e cariche di una tensione che nella calma trova la chiave di volta all’intero film.
La colonna sonora diventa la cornice che completa il quadro perfetto.
Martinez sceglie due pilastri: Kavinsky e i The College.
Il producer francese, con il brano Nightcall, sembra essere seduto in quella stessa auto come lo era al volante della sua Testarossa, una manciata di anni prima. Il film comincia così: titoli d’inizio rosa fluo e la lenta cantilena sci fi che si spalma in una Los Angeles notturna. Voci robotiche non nuove all’elettronica richiamano il synth-pop 80s contrastando perfettamente con la trama, come a rendere una cosa che è completamente nera, ugualmente nera ma di un nero meno scuro.
Stessa cosa vale per Real Hero, di College ed Electric Youth, con la differenza che il brano si ripeterà più volte nei punti cardine della sceneggiatura.
Una ballata synthwave, malinconica e tormentata, che tende volutamente, a colpire al cuore. Riuscendoci.
Martinez seleziona anche un italiano, fra gli altri, Riz Ortolani, che concede Oh My Love, con alla voce Katyna Ranieri, traccia già uscita nella colonna sonora del documentario Addio Zio Tom, dei nostri Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi.
Martinez è bravissimo a trovare il punto debole dell’emozione in un film dove i dialoghi sono concisi e di un peso specifico imponente. Si gioca quasi sempre sugli sguardi al fine di trasmettere un’emozione precisa, quella dei personaggi, dove molte cose restano nascoste negli armadi, sotto i cofani delle macchine, dietro una maschera da stuntman oppure in una casa spoglia di ogni ricordo.
Le sue quattordici personali composizioni sono (come spesso è accaduto per quasi tutti gli altri suoi lavori) esclusivamente elettroniche, in cui l’uso del sintetizzatore è primario. Sono componimenti in cui, a tratti, quella malinconia struggente che captiamo nei brani che da lui sono stati scelti ma non composti, viene soppressa da linee scurissime e glaciali di vera e propria dark-ambient (vedi Skull Crushing) oppure altrettanto scurissima idm-wave (vedi Where’s the Deluxe Version?).
Ultimi due ospiti del lavoro di Martinez sono Chromatics e Desire.
La band di Portland riesce a tratteggiare, con Tick of The Clock, l’anima dell’intero film, tralasciando le emozioni per concedersi all’oscurità intrinseca della pellicola.
E poi Under your Spell, dei Desire, “band clone” dei Chromatics (due dei membri sono in entrambi i progetti) è altra ballata synthpop, per molti forse la traccia più intensa dell’intera colonna sonora.
È una storia suburbana e subumana, quella raccontata in Drive, in cui le emozioni sono tagliate con coltelli da macellaio e messe sul banco senza prezzo e senza identità. Solo pezzi di carne.
Allo stesso modo, però, lo spettatore resta lì a mangiarsi le unghie per qualcosa che fatica a comprendere, un ‘passato trapassato’, gli occhi di una ragazza che sta perdendo tutto e che non comprende chi è davvero il suo Principe Azzurro.
Uomini soli e dannati.
Refn traccia una linea retta che attraversa quasi tutte le fasi dell’umanità, lasciando all’uomo stesso il compito d’individuare i diavoli e gli angeli. Cliff Martinez ne compone il tormento e la redenzione, il passato e il presente che non avrà un futuro. Sintentizzatori anni ottanta e oscurità borderline.
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