OST è stata per anni una rubrica ideata e curata da Mattia Grigolo per Soundwall Magazine. Ora è su Yanez.
OST racconta i film attraverso le sue colonne sonore.
Scrivere di pornografia è difficile, eppure molto semplice. Dipende da quale prospettiva si analizza l’argomento, ma articolare nero su bianco un film come Body Love e la sua colonna sonora, è probabilmente una delle cose più interessanti che mi sia mai capitato di fare.
La trama, quindi. Consideriamo che, di norma, le pellicole pornografiche sono caratterizzate da sceneggiature scarne. Talvolta lo sviluppo è sostanzialmente assente a favore di una più pura orchestrazione dell’immagine a riguardo del piacere attraverso il sesso, sia questo soft oppure estremo.
Body Love una trama ce l’ha, invece, anche se non si fa mancare niente di cui sopra.
Da questo momento in avanti saranno utilizzati all’interno del testo significati scabrosi e parole di registro colloquiale basso, quali cazzo, figa e scopare, al fine di rendere fede alla pellicola, attraverso la lettura.
Partiamo dal presupposto che Body Love è sicuramente tra i film per adulti più chiacchierati di sempre, anche in virtù del regalo concessogli da Klaus Schulze, il quale ne ha composto le musiche. Partendo dunque da questo presupposto, si può considerare il film di Lasse Braun una pellicola anomala. L’intreccio di atmosfere melodiche di Kraut e Space Rock a gemiti, ansimi, turpiloqui e orgasmi, peregrinano in modo pressoché totale verso una collabo-mediazione fra il regista e il musicista, collocando il lavoro in quell’angolo ancora poco frequentato che, nel 1978 anno di uscita del film, era titolato a pornografia artistica.
Martine (interpretata da Lolita da Nova, alias di Catherine Ringer, colei che diverrà in seguito una tra le più popolari cantanti francesi) apre il sipario, sui titoli d’inizio, nelle vesti di una ballerina classica in atto di esercitarsi alla sbarra. La telecamera indugia sul vedo-non vedo dell’indossare una tutina da danza quando il pelo di figa è selvaggio (particolarità intima femminile dell’epoca), mentre in sottofondo scorre una canzonetta francese, l’unica nel film a non essere stata composta da Schulze.
L’azione si sposta poi dalla sbarra alla finestra, ove Martine intravede una bionda signora vestita di un rosso tailleur, uscire dall’edificio per recarsi alla macchina e guidarla fuori campo.
Quello è il momento in cui il padre della ragazza, Il Barone, fa capolino nella palestra e, stampandole un bacio sulla fronte le ricorda che all’indomani sarà sverginata durante un’orgia.
Questo è il focus che regge l’intera struttura, la chiave di volta a quella che diviene una matassa di racconti viziosi che si svolgono attraverso flashback narrati da baronesse adultere, che vengono scopate in ville disabitate da briganti mal vestiti e poco vestiti, ma superdotati, mentre un eccentrico simbolismo resta sullo sfondo di rapporti lesbici con governanti e semi-stupri. Malsano voyeurismo a favore di rapporti consumati all’interno di roulotte, pompini dal gusto vintage e posizioni dell’amore acerbe di tutto ciò che arriverà poi.
Infine la scena madre, il banchetto di cazzi e arte, teatro danza di un’orgia della durata di quasi venticinque minuti, ove Martine perde la verginità facendo, a questo punto è chiaro, quello che le riesce meglio: ballare sopra e attorno (e intorno) a cazzi, fighe, tette e culi.
Questo è il momento di combinazione assoluta tra Braun e Schulze; un epilogo in cui la musica e il sesso s’impastano emblematicamente e definitivamente. L’arte si stende come un velo di maglia elastica, una ragnatela sopra ogni cosa, intrappolando e consacrando l’acme della teoria del libero arbitrio e l’amore libero (tanto in voga in quegli anni), alterando il presupposto filmetto in qualcosa di avanguardistico. Si abbandona a se stesso e alla fine, attraverso le note sintetiche di Stardancer, la traccia più coinvolgente (non a caso) dell’intera colonna sonora, esplode.
Body Love
Lasse Braun non è altro che il nome d’arte di un italiano nato ad Algeri che, per sua fortuna, si trasferisce dapprima in Scandinavia, dove matura il suo talento che decide di esportare e consolidare poi negli Stati Uniti.
Uomo dedito al porno, ne farà la sua battaglia, reggendo la fiaccola della Rivoluzione Sessuale degli anni sessanta e settanta.
Uno dei maggiori esponenti del genere che, oltre a Body Love (secondo taluni, perdonatemi l’espressione, la bibbia di un certo tipo di pornografia), viene ricordato anche per Zozzerie di una Moglie in Calore, Night and Day e l’ultima sua fatica Io, il Re del Porno.
Klaus Schulze invece, uno tra i pionieri del Kraut Rock e dell’elettronica nella sua accezione più popolare, è autore anche di un’altra particolare colonna sonora, quella del thriller Angst, diretto dal regista austriaco Gerald Kargl, caratterizzata da ipnotiche percussioni sintetiche.
Sue anche le musiche del flop francese Le Moulin de Daudet.
Body Love esce in due versioni nello stesso anno e nel 2005 viene ripubblicato con una traccia bonus dal titolo Lasse Braun. Sulla barca anche il batterista Harald Grosskopf, che si occupa della ritmica.
La forza, lo abbiamo già detto, consta delle scelte che sono state fatte sia nelle immagini sia nella composizione sonora, ed è proprio su quest’ultima che desidero soffermarmi, al fine di approfondirne lo sbozzare.
Se d’acchito può sembrare piuttosto ardito sovrapporre i lamenti del piacere orgasmico della recitazione alle note Space Rock dei componimenti di Schulze, con una più attenta analisi, si può intuirne la logica.
Le immagini si alternano tra l’ovvia oscenità, alla lentezza esasperata del cinema francese (di cui è in parte produzione, insieme a Germania e Olanda), con tratti di trasfigurazione eccentrica. E’ in questo che la musica di Schulze si trasforma nella culla dove poggiarci il fine e l’utile del film. Klaus Schulze, oltre ad essere molto criptico e spaziale, riesce a coinvolgere lo spettatore, facendo perno su di una sensualità sonora palese.
Non parlerò di profondità, perché sarebbe difficile trovarne realmente, ma di coraggio e consapevolezza, sia del regista che del compositore, quella stessa audacia che si mette nelle cose in cui si crede fermamente.
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