OST è stata per anni una rubrica ideata e curata da Mattia Grigolo per Soundwall Magazine. Ora è su Yanez.
OST racconta i film attraverso le sue colonne sonore.
Lavori in pelle. Così Bryant chiamava i Replicanti. Nei libri di storia è il tipo di poliziotto che chiama la gente di colore “sporchi negri”.
Il sole è una breccia opaca che osserva immobile la terra, il vuoto del cosmo e le tempeste radioattive hanno imprigionato il futuro, affogando una Los Angeles nel novembre del 2019 e nello straziante rapporto tra l’uomo e la macchina, quello stesso senso d’immobilità e immutabile anti-progresso fantascientifico che è l’icona del cyberpunk e dello sci fi negli anni 80.
Il ciclo vitale ha completato troppe volte il giro e ora l’umanità affronta il rovescio della medaglia.
Un ventilatore sposta aria e polvere all’interno di un ufficio. Due uomini sono seduti l’uno di fronte all’altro; Il primo veste elegante e fuma, il secondo è nervoso, tra di loro un apparecchio capace di leggere le iridi.
È un test che il primo uomo, un agente della polizia, pone al secondo.
Semplici domande per altrettante semplici risposte. Non è una prova d’intelligenza, ma un intervista ideata per provocare reazioni emotive oppure, pragmaticamente, volto a comprendere se uno dei due individui è un Replicante. Un essere umano artificiale.
“Parlami di tua madre.”
Rick Deckard è lo stereotipo del poliziotto che non fa più il poliziotto, richiamato a forza dall’autorità per salvare la città e se stesso dall’inarrestabile desiderio di evoluzione che sempre provoca i pro e i contro di un domani, nonostante tutto, incerto.
Deck è un Cacciatore di Replicanti, i “lavori in pelle” che, purtroppo, si ribellano al loro destino artificiale, cercando di far germogliare il seme della libertà installatogli, inconsapevolmente, sottopelle dai padroni umani.
Una nuova vita vi attende nella colonia Extra-Mondo. L’occasione per ricominciare in un Eldorado di buone occasioni e di avventure.
Sei Replicanti fuggono dalle colonie extra-mondo, introducendosi all’interno della fabbrica che gli ha concepiti, prodotti. Costruiti. La missione è riuscire a modificare il loro dispositivo limitante ad un tot di anni di vita (generalmente fissati a quattro), la data di scadenza. L’altra missione, quella dei buoni, è lasciare che il corso delle cose non muti.
Ma chi sono i buoni?
Ridley Scott s’ispira liberamente al romanzo Ma gli androidi sognano pecore elettriche? di Philip K. Dick, per progettare quello che diventerà uno dei cult movies sulla fantascienza, rivoluzionando letteralmente il genere.
Il regista riporta su un piano lugubre e introspettivo ciò che si era tramutato in qualcosa di più innocente (permettetemi il termine) con i capolavori Star Wars di Lucas e Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo di Spielberg. Torna, come già fu in Metropolis, a sciogliersi l’intricata matassa che diventa ragnatela nel rapporto fra esseri umani ed esseri artificiali.
Il musicista greco Vangelis sarà uno dei pilastri che contribuiranno a reggere l’intera struttura.
Avvampando gli angeli caddero; profondo il tuono riempì le loro rive, bruciando con i roghi dell’orco.
Forte dell’Academy Awards, vinto grazie a Momenti di Gloria, Evangelos Odysseas Papathanassiou, in arte Vangelis, realizza quella che diverrà una delle migliori composizioni elettroniche di tutti i tempi, nonché tra le più controverse uscite discografiche degli ultimi quarant’anni, tanto da non avere ancora, ad oggi, una versione totalmente fedele a quella del film.
Esistono, infatti, tre pubblicazioni ufficiali: la prima pubblicata nel 1982, in concomitanza con l’uscita del film nelle sale, soltanto otto tracce eseguite dalla New American Orchestra. La versione non trovò, però, la completa approvazione di Vangelis, il quale ritenne che i brani fossero stati leggermente stravolti rispetto all’originale, tanto da portarlo alla decisione di una nuova diffusione per opera della major Warner Music, più di un decennio più tardi, nel 1994.
Purtroppo, anche questa versione risulta orfana di alcune tracce presenti nel film, acquistando, invece, altri brani non presenti nella pellicola.
Infine, è datata 2007 quella che dovrebbe essere l’edizione più fedele all’originale, un re-mastering per un totale di tre dischi e trentasei tracce, tra cui brani utilizzati nel film e mai pubblicati. Anche in questo caso, seppur pressoché completa, la colonna sonora pecca di mancanze.
Insignito della carica di anello di congiunzione fra le sonorità cosmico-progressive degli anni settanta e il successivo movimento ambient-new age, Vangelis celebra l’oscurità e la profondità emotiva di Blade Runner attraverso composizioni neoclassiche per sintetizzatori e musica elettronica. Suggestioni interplanetarie che vanno a circoscrivere e nutrire quelle architetture futuristiche che rendono il film unico rispetto al passato.
E’ chiaramente un richiamo allo spazio, ma non inteso come universo scientifico (anche se l’associazione potrebbe essere palese), bensì individuato nelle profondità immense, quello stesso spessore, quelle infinite distanze, che la musica può generare anche in spazi molto angusti.
La genialità consiste nell’aprire la composizione, renderla infinita e matematicamente precisissima. Come Memories of Green, in cui il suono di un pianoforte viene caricato di effetti e inserito in un tappeto di “suoni computerizzati”, creando un’atmosfera malinconica, tanto quanto possono essere nostalgici gli occhi apparentemente spenti di una giovane Replicante davanti ad un pianoforte, nella struggente dolcezza, fredda ed impalpabile, che solo in una macchina viva possiamo trovare. Un giocattolo.
Il greco gioca anche con l’Oriente, come in Tales for the Future e ancora Damask Rose, istoriando ambienti desertici che altro non equivalgono alla prosaica landa emozionale nel cuore e nella mente del protagonista, così distaccato e glaciale da sembrare lui stesso un uomo artificiale (in uno sconfessato Director’s Cut il regista avanza l’idea che Rick Deckard sia un Replicante).
L’estro dell’inserire in soundscapes (e landscapes?) volutamente polari e inumani, elementi vivi, come i cantati, i dialoghi e i suoni di pellicola, il pianoforte oppure l’assolo del sassofonista Dick Morrisey, presente in Love Theme. E’ questo che rende immensi e perfettamente complementari il film e la sua musica: andare oltre la pelle e l’acciaio, scavalcando l’imperscrutabilità di un’espressione e la chiarezza rivelatrice di un’iride che si dilata.
E’ tempo di morire
La pioggia scivola sopra ogni cosa e oltre ogni cosa, ma non potrà mai passare attraverso, purché le ferite non siano ancora aperte. Questo è quello che sembra volere dire, tra le righe, quell’ultima meravigliosa scena madre.
La libertà dalla schiavitù come concetto che si assolve dalla vita stessa, si spegne in un volo di ali bianche, macchia candida nell’immenso grigiore che è l’amore per le cose semplici, oppure l’amore verso la vita stessa in quanto tale e semplicissima banalità.
Mentre ogni cosa continua a scorrere e scorrendo pulisce dallo sporco e rivela.
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