L’Hole44 è un ex cinema ai bordi di Neukölln, riconvertito in locale da concerti solo nel 2021. Non troppo piccolo, non troppo grande. Perfetto per l’occasione. Stipato di italiani, un magma di facce più o meno conosciute, mischiate ad avventori dell’ultimo minuto. Magari anche qualche turista capitato nel posto giusto al momento giustissimo. C’è chi li segue dall’inizio i Verdena, e siamo in tanti. Ma c’è anche chi magari li ha scoperti solo di recente. Quel che conta è che in sala aleggia una frizzante felicità, anche perché in trasferta i live valgono doppio. Soprattutto per chi la trasferta a Berlino l’ha mutata in dimora fissa. Non a caso l’attesa è farcita di aneddoti e racconti amarcord di vecchi live, tra un sorso di birra e una boccata di nostalgia.
“Tu quando li hai visti l’ultima volta?”
“All’Independent Day a Bologna. C’erano ancora le lire”.
“Addirittura! E poi?”
“Poi li ho persi un po’ di vista. Però da qualche parte, in sottofondo, ci sono sempre stati”
E’ vero. Quando hanno iniziato c’erano ancora le lire. Lo so perché conservo il biglietto. Festa dell’Unità a Sant’Ilario d’Enza. 6000 lire. E’ stato il primo concerto che mi è capitato di vedere in assoluto. Era l’estate del 1999. Non c’era Google Maps e per trovare il posto senza perderci tra le praterie emiliane abbiamo dovuto mettere la testa fuori dal finestrino e lasciarci guidare dalle vibrazioni. I Verdena hanno iniziato presto, erano giovanissimi. Però sul palco stasera non si presentano quattro panzoni che non sanno più reggere in mano uno strumento, e nonostante suonino da mille anni è un gruppo che risulta sempre fresco, sempre con la solita energia, con la stessa voglia di spaccare il mondo, che continua a sfornare brani di qualità e live da segnare sull’agendina. E in tutto questo tempo ci sono sempre stati, lì al centro dell’universo indie-rock italiano. Di questo gli va dato merito. Non sono mai andati a Sanremo, sono sopravvissuti ai vari talent show. Insomma, una stella fissa che non si turba dei cataclismi intorno. Agli albori somigliavano ai Nirvana e il momento era quello giusto. Si ascoltava ancora il grunge a fine anni ‘90, che in provincia tutto arriva con un po’ di ritardo e si sofferma più del dovuto. Ecco, in quel periodo c’era questo problema con i Verdena. Finalmente un gruppo grunge italiano, molto bene, ma il grunge è morente, cosa faranno questi ragazzi neanche ventenni nei prossimi vent’anni? Ecco, I Verdena sono il tentativo riuscito di tirarci fuori da quella pozzanghera, di evolvere dal grunge verso sonorità pur sempre rock, ma più contemporanee.
In passato mi è capitato di non apprezzarli dal vivo, per gusti personali estemporanei. Li vidi durante il tour di Solo un grande sasso al Transilvania a Reggio Emilia mi sembrarono un macigno. Anni dopo, quando ancora dovevo digerire le scorie di quel concerto, rimasi invece esterrefatto dalla potenza di alcuni pezzi, dall’esecuzione impeccabile, dai suoni perfetti, un groove magico. Prima di questa tappa berlinese ho studiato. Ho rispolverato i vecchi album e ascoltato l’ultimo lavoro, Volevo Magia. Può piacere o meno, e anche questo diventa oggetto di discussione nella fila all’ingresso, per ingannare il gelo di un inverno che non vuole finire. Di sicuro è un album molto onesto, come tutto il loro percorso. Questa rimane la loro forza, non suonano mai sbagliati perché fanno quello che vogliono fare, senza compromessi. E poi lo fanno bene, benissimo. Soprattutto live.
Intervistati di recente da Manuel Agnelli, dicono di non essersi mai mossi dalla provincia perché non ne hanno mai vista l’utilità. Questo è un rispettabile elemento di forza e qui, davanti a un pubblico di scappati di casa alla perpetua ricerca di un qualcos’altro, è anche un punto da non sottovalutare. Perché il suono della provincia ha conservato intatta la sua potenza e arriva ancora forte e chiaro, nel caso l’avessimo scordato. In fondo, è per questo che siamo sotto al palco oggi. Veniamo ricompensati con una pioggia di energia e un incessante flusso adrenalinico che si sprigiona dalle smorfie di Luca, dalle ciocche danzanti di Roberta, dalle occhiaie infuocate di Alberto. I pezzi scorrono via veloci, uno dopo l’altro, senza troppe chiacchiere in mezzo. E’ la musica a parlare, con le solite chitarre ruggenti e la sezione ritmica che picchia fortissimo.
Volevamo magia. Per una sera, insieme ai lividi di un pogo fuori allenamento, l’abbiamo avuta.
Le foto sono di proprietà di Cesare Zomparelli
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