Illustrazioni di Domitilla Marzuoli*
Lola corre
Germania, 1998
Regia di Tom Tykwer
“I film migliori, i più autentici, sono quelli che parlano dei loro tempi e danno spiegazioni alla gente”
Francesco Rosi, dal libro intervista di e con Giuseppe Tornatore, ”lo lo chiamo Cinematografo”
Correre è uno dei pochi antidoti, o se vogliamo iniezioni naturali, alla sopraffazione dei nostri pensieri. Non pensi ad altro che ad arrivare al punto che ti interessa, a poterti fermare non appena le gambe non ti reggono più. Ma quanto fa bene correre, seppur per pochi secondi ci svuota la testa piena di sassi, possiamo ricordarci di essere degli animali meravigliosi, di quanto bisogno abbiamo di esplodere fisicamente, di dimenticare, seppur per pochi secondi, ciò che ci stava (pre)occupando poco prima.
In Germania la puntualità è sacra, anche per i criminali. È così che arriva Lola. Una berlinese punk con i capelli rosso fuoco che corre, e tanto. Lola corre tre volte. Lo fa per aggiustare una situazione che si è messa male, malissimo, non per lei, ma per quel disgraziato del suo ragazzo. Nascono tre brevi film, figli di cambiamenti lievi e decisive circostanze in una Berlino tavola piatta di lavoro, come sempre luogo ideale dell’immaginazione, che emana simpatia e offre spazi e ossigeno per una storia semplice, efficace, molto più profonda di quanto sia stato compreso nel 1998, data della sua uscita.
Ma chi è Lola, questa rossa che sfreccia per Berlino? E perché il nastro si riavvolge per ben tre volte durante la narrazione? Io ho pensato a Lola, durante la visione, come se rappresentasse il sentimento dominante di quel decennio, la più fresca ed efficace espressione cinematografica degli anni ’90. Come in Jules e Jim, dove la libertà era impersonata da Jeanne Moreau, qui Franca Potente mostra la sua corsa sfrenata alla scoperta di infinite possibilità, decidendo come agire, non affidandosi completamente al caso.
Dopo infinite chiacchierate e letture e sogni, ci vado deciso. Penso che questi bellissimi e disgraziati anni ’90 siano stati un lungo sospiro di sollievo, una scarica di adrenalina prima del ritorno all’ansia, al terrore, alla povertà e alla frustrazione. Il muro è caduto 8 anni prima, la Germania unita fa da detonatore a cascata di una serie di eventi che cambieranno nel bene e nel male il mondo, caratterizzando i successivi dieci anni di “crack” meravigliosi e tristissimi, accordi politici, la nascita di internet, la vittoria di Mandela in Sudafrica nel 1993, ma anche Guerra del Golfo, la crisi della lira, Mani pulite, le stragi di Mafia. Scusami Lola, ma vedi che effetto fanno questi anni ’90. Quanto fanno vibrare, rispetto agli 00 o agli ultimi dieci, dove non ci sono stati né i Nirvana né i Radiohead.
Quel decennio lo possiamo stringere addosso come un cuscino, ugualmente a questo piccolo gioiello di Lola Corre, forte di un’interpretazione irripetibile di Franca Potente, di uno stile fotografico innovativo e di musiche che supportano dall’inizio alla fine le tre diverse avventure della nostra protagonista. Come in Sliding Doors (uscito lo stesso anno e a mio avviso sopravvalutato), anche in “Lola corre” i registi rendono omaggio al grande e un po’ dimenticato regista Kieslowski e a uno dei suoi più importanti film, pietra miliare e poco conosciuta (per anni censurata dal regime polacco) della storia del cinema: “Destino cieco” (“Przypadek”), del 1981.
Kieslowski è il primo regista in assoluto che rifletté sulla realtà come universo di infinite possibilità dominate dal caso. Ma se in Sliding doors abbiamo una mediocre copia del film polacco,(giá di difficile visione, per didascalia eccessiva e poco senso del ritmo) con la Paltrow che in qualsiasi scena ha la stessa faccia di uno che si è appena alzato dal divano, con Lola Corre si assiste a qualcosa di diverso, più profondo ed emblematico del decennio Novanta, come lo è stato, seppur con maggior impatto culturale, il “Trainspotting” girato soli due anni prima, nel 1996.
Lola corre merita di essere riscoperto e rivalutato. Alla sua uscita anche non passò inosservato, ma forse non venne compreso nella sua interezza. Oltre a essere un film in completa armonia con i tempi, è arricchito da una forma narrativa arricchita da inserti di animazione e da un largo uso di zoom, riprese dall’alto e dal basso, circolari e diagonali, oltre che con camera a spalla. Se certi menti critiche, invece di etichettarlo come un lungo video clip, avessero considerata la fatica, vera, artigianale, di fare questo mestiere, avrebbero raccontato dei momenti di grande dolcezza e intelligenza registica. Il lavoro di Tykwer risulta compatto anche per la forte complicità fra protagonista e regista, all’epoca insieme anche nella vita.
La frenesia mai eccessiva o volgare è intervallata sapientemente da flashback di brevi dialoghi rilassati, girati in bianco e nero, con Lola e Manni a letto. Come non ricordare poi i brevissimi “corti” fotografici istantanei, annessi all’apparizione incidentale (o forse no) di personaggi marginali (ma anche no), e le citazioni su misura del pubblico tedesco a Il tamburo di latta Volker Schlöndorff, la grande attenzione alla colonna sonora (in parte composta dallo stesso regista) condotta con moderazione e gusto, in accordo o in contrasto con la dinamica della scena: gli amanti della musica e gli esteti lo hanno adorato o lo adoreranno, per sempre.
Lola non la si scorda facilmente: non si dimenticano il suo coraggio, la sua ironia, la sua freschezza. Nel film si tifa per lei per ben tre volte, sperimentando, senza bisogno di cliccare alcun bottone. Ci pensa il film da solo a trasformarsi, con intelligenza e senso dello spettacolo, apportando leggere ma decisive modifiche ad ogni trama e lanciando il messaggio che come la fortuna, anche il caso può, se lo vogliamo, essere indirizzato. Certo, esistono gli episodi, ma l’atteggiamento fa la differenza: ciascuna corsa di Lola, come le nostre, ha comunque e sempre una grande dignità.
Lola è un elogio alla libera espressione sì umana tutta, ma ancor più femminile, un assolo maledettamente interrotto dal decennio successivo degli anni Duemila, cristallizzati nell’estetica Y2K (acronimo di “Year 2 Kilo”, anno duemila): jeans a vita bassa, mollettine colorate, accessori trasparenti, glitter e cristalli in ogni dove. Come negli anni ’40 e’ 50 si pressavano le donne alla rettitudine, a seguire uno e un solo modello di vita, forse uno e mezzo, nei Novante le vere vittime collaterali della cultura tossica pop furono proprio le adolescenti di tutto il mondo, che assistevano, prima in tv e poi su internet, alla loro mortificazione, interiorizzandone la misoginia e potenziando, di conseguenza, l’abbruttimento e la ferocia dei corrispettivi ragazzini maschi, che trattavano come oggetti le loro ragazze, che fosse una storiella estiva o qualcosa di più serio. Le ragazze della mia generazione sono cresciute nella convinzione che il corpo sia il loro unico bene, che qualsiasi difformità da uno standard oggettivamente irraggiungibile sia colpa loro, che i problemi di salute mentale siano motivo di vergogna e di derisione pubblica, che la competizione tra ragazze sia qualcosa di normale e anzi auspicabile, che lo slut shaming sia tutto sommato meritato.
Catartiche e per nulla banali sono allora le scene di sfogo, di urla, che Lola fa esplodere nei momenti in cui tutto sembra perduto. La sua è un’espressione di rabbia positiva e repressa in cui si specchia un po’ l’intero popolo tedesco, spesso incapace sfogarsi. Lola corre è un film che non ti va via di dosso facilmente, che ti smuove. Mi ha fatto tornare in mente un giorno di tanti anni fa, quando spaccai per terra un orologio costosissimo, regalatomi da persone che detestavo. Lo frantumai in terra e quel gesto fu salvifico. Il giorno dopo avevo la sensazione di avere la regia di una seconda storia, e lo avevo deciso io.
Grazie infinte Lola, Vielen Danke. Grazie per le tue corse, inarrestabile forza della natura. Se dovesse arrivare, inesorabile, la nostalgia dei ’90, di quello spirito avventuriero e aperto al mondo, si sappia che è possibile contare su questa Giovanna d’arco dei tempi moderni, coraggiosa sì, ma senza crisi mistiche e deliri, senza strazianti sofferenze inaccessibili. No, qui c’è da correre, c’è da aggiustare quello che si può, dando tutto.
La vita è limitata, e pure tutto il resto, quello che sta nel buio della stanza. Se avremo voglia di scoprirlo allora potremo urlare come Lola, distruggendo tutto, spingendo via persone e cose, per aprire porte e farci spazio, buttarsi a correre. Quindi fermarsi. Urlare, spaccare vetri e orologi. Lola trasmette simpatia, ti lascia addosso vibrazioni sane ed energetiche, briciolando il male e l’angoscia in polvere di stelle. Per poi ripartire.
*Domitilla Marzuoli è illustratrice di notte e ricercatrice umanistica di giorno. Si forma in Lettere Classiche e persegue il sogno di diventare educatrice umanistica. Cresce in un ambiente artisticamente fertile e, alla scuola della nonna scultrice, sviluppa la propensione creativa, immergendosi nella pratica materica dell’arte figurativa e pure della scrittura. Ama sognare e trasognare, illustrando ciò che le parole non sono in grado di esprimere: la caratterizzano l’uso crudo del colore, la semantica diretta e disinibita delle scene illustrate. Quando non scarabocchia cammina senza una meta o legge graphic novels accanto al camino con un buon Chianti.
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