Olimpiadi di Monaco del 1972. In un minuto come un altro della partita tra Germania Est e Ghana, sugli sviluppi di un calcio d’angolo battuto corto come tanti altri, può accadere che un soprannome prenda totalmente senso.
Il paragone con un felino di solito ce lo aspettiamo associato a un funambolo latino e non a un giovanotto proveniente dalla profonda Sassonia industriale del dopoguerra. E invece no, si adatta anche ad un ragazzone dell’ex DDR.
Colpo di testa dell’attaccante ghanese e balzo plastico del portiere tedesco. Plastico in realtà è un aggettivo inventato qualche decennio dopo, nel calcio dei superuomini; all’epoca e in un paese socialista come la DDR sarebbe meglio definirlo tecnico, appellativo che si avvicina più ad una realtà operaia, fatta di mani sporche di morchia, ingranaggi e fabbriche a perdita d’occhio.
La descrizione di Zwickau praticamente. E, a pochi chilometri di distanza, Planitz. Da lì viene il portiere in questione: Jürgen Croy, la pantera di Planitz.
Non è facile trovare video di partite giocate da Croy rovistando nella vastità dell’internet. Alcuni spezzoni e poco altro, perchè di telecamere che riprendevano le partite della DDR non dovevano essercene poi molte. Più parate (quelle militari) da immortalare che partite. Eppure lo sport, e il calcio, erano i fiori all’occhiello della Germania Est. Un gioiello da sfoggiare nelle grandi manifestazioni internazionali, per dimostrare che un paese socialista faceva crescere i propri ragazzi belli, sani e forti. Ironico che le migliori prestazioni di Jürgen Croy siano state regalate alla storia proprio dall’altra parte della barricata, in Germania Ovest e nel resto di quell’Europa che il socialismo cercava di tenere a debita distanza.
E una di queste prestazioni è stata LA partita, quella che ogni tedesco da entrambe le parti della cortina di ferro ricorderà, per motivi opposti: Mondiali tedeschi del 1974, la DDR batte la BRD uno a zero. Gli ossi diventano eroi e l’azione del gol di Jürgen Sparwasser parte proprio dalle mani di Croy.
“Dov’eri quando segnò Sparwasser?” è una frase che si ripeteva continuamente in Germania Est dopo quella partita. Cosa si stava facendo nel giorno in cui è – calcisticamente – cambiato tutto? E cosa faceva Croy?
Lui faceva il suo dovere, parare. E lo ha sempre fatto nel suo paese e nella sua città, dove poteva andare agli allenamenti a piedi o in bicicletta. Il miglior portiere del paese che rinuncia alla gloria facile per ottenere quella difficile. Facendo un paragone azzardato, è come se Buffon avesse deciso di trascorrere la sua intera carriera nella Carrarese. Ma questa è decisamente un’altra storia.
Da Planitz allo stadio di Zwickau ci sono poco più di sette chilometri. Le due case di Croy sono separate da una manciata di minuti in macchina, ma da bambino Jürgen ancora non sa se il suo destino sarà quello di emozionare le folle facendo gol o evitandoli: inizia infatti come seconda punta nel BSG Aktivist Karl Marx Zwickau, una piccola associazione sportiva della città sassone e poi passa, a diciassette anni, alla squadra principale, il BSG Motor Zwickau. Da lì a poco gli esordi in Oberliga, il massimo campionato orientale, e le prime dimostrazioni di agilità davanti ad un pubblico importante: la metamorfosi in pantera è appena cominciata.
Croy trasforma l’area di rigore nella sua tana, nessuno riuscirà più a farlo uscire da lì. Alla fine della carriera lascerà ai portieri che gli hanno fatto da riserva la miseria di 37 partite. Intorno a lui, l’habitat amico del Georgi-Dimitroff Stadion, lo stadio di Zwickau: cinquemila spettatori seduti su quella che era stata una discarica, poi trasformata in impianto sportivo. Lo Zwickau non è poi una grande squadra, le battute sulla spazzatura e lo stadio-discarica potrebbero venire facilmente, ma è amata dal pubblico e soprattutto dai calciatori che ne vestono la maglia. Jürgen Croy è il diamante uscito dal carbone delle miniere sassoni. È il vanto dei tifosi, che possono andare in giro per la Germania Est a testa sempre alta: prenderanno pure 3 o 4 gol a Dresda o Magdeburgo, ma loro avranno comunque Croy, gli altri no.
In Germania Est il calciomercato non esiste: i calciatori ufficialmente non sono professionisti e non sono acquistati o venduti. Si trasferiscono.
O, per meglio dire, vengono trasferiti. Il Ministero dello Sport era un attento osservatore dei migliori talenti che alla lunga erano sistematicamente invitati a passare nelle migliori squadre della DDR, a Berlino, Dresda o Magdeburgo. Ed ecco di nuovo quella domanda: e Croy cosa faceva? Stessa risposta: Croy continuava a parare per lo Zwickau (che nel frattempo aveva cambiato la propria denominazione in Sachsenring).
Dovette pensarci Franz Rydz in persona, uno dei pezzi grossi dello sport nella DDR, a convocare Croy nei suoi uffici di Berlino per smuoverlo. “Ti sei deciso?” chiese Rydz dietro alla sua enorme scrivania di fòrmica.
E in quel momento davanti agli occhi di Croy devono essere passate mille immagini: la sicurezza economica, un impiego fittizio in un ministero, gli stadi grandi e le notti delle coppe europee. La tentazione, lo stress e l’angoscia fanno diventare le ginocchia molli anche ad un portiere eccellente come lui. Come è possibile trovare la forza per rifiutare?
Poi però eccogli tornare alla mente la sua tana di Zwickau, l’odore di bruciato che proviene dal terreno del Georgi-Dimitroff e il tunnel di cinquanta metri prima di arrivare al campo mentre lo stadio rumoreggia.
Ed ecco la risposta. No, non si è ancora deciso. Sarebbe rimasto dov’era.
Rydz non è nella posizione di ricattarlo: non si sarebbe mai azzardato a stroncare la carriera del miglior portiere della Germania Est e, in più, i lavoratori della VEB Sachsenring già minacciavano uno sciopero generale in caso di un trasferimento di Croy.
Il collasso nella fabbrica che produceva la Trabant, l’auto simbolo della DDR, era uno spettro enorme e difficile da gestire anche nelle alte sfere governative. Jürgen può rimanere dove vuole.
E quando un calciatore sconfigge il sistema di un paese socialista significa che è davvero diventato una leggenda.
Sarebbe bello abbinare la storia del grande rifiuto con una serie di successi dello Zwickau, ma purtroppo non è così: il Sachsenring continua la sua serie di piazzamenti nella parte bassa della classifica con qualche sporadica uscita nelle zone alte, a veder brillare le stelle degli squadroni dell’Est.
Nel campionato 1966-67 arriva il primo successo dell’accoppiata Croy-Sachsenring, la FDGB Pokal (la Coppa della Germania Est); la stagione del portiere è da incorniciare e inizia la leggenda della pantera.
L’unico altro successo ottenuto da Croy con la sua squadra è un’altra Pokal, nel 1975: la finale si gioca a Berlino Est contro la Dynamo Dresda. Diecimila tifosi seguono la loro squadra in trasferta, ma lo Zwickau sembra la vittima sacrificale designata. Troppe differenze tecniche e “politiche”, la storia sembra scritta.
Una storia che evidentemente lo Zwickau non ha letto visto che riesce per ben due volte a recuperare lo svantaggio: 2-2 dopo i supplementari e finale decisa ai rigori.
La pantera di Planitz fa il suo, parando i tiri di Weber prima e Dörner poi. La Dynamo comincia a vacillare.
E a questo punto, per una volta nella sua carriera, Croy non è dove tutti pensano che sarebbe stato: l’allenatore Kluge lo incarica di battere il quinto rigore, quello possibilmente decisivo.
Va detto che nel giugno 1975 i portieri che segnano gol a manciate battendo punizioni e rigori stanno ancora frequentando le elementari o gattonando allegramente sui pavimenti delle loro case in giro per il mondo. I tempi dei Chilavert, dei Campos e dei Rogerio Ceni devono ancora venire, gli estremi difensori che si azzardano a rovesciare il loro ruolo canonico sono pochissimi: lo yugoslavo Pantelić ad esempio. O l’italiano Lucidio Sentimenti, detto Sentimenti IV.
Croy alle statistiche non pensa, o almeno non lo fa al momento del tiro: rincorsa lunga, fischio dell’arbitro e tiro rasoterra verso destra. Boden, il portiere del Dresda, rimane al centro della porta, Croy alza le braccia al cielo ed esulta urlando verso un punto indefinito dello stadio. 4-3 per il Sachsenring Zwickau.
Non cercate i filmati di quella vittoria, non li troverete: le registrazioni televisive sono andate perdute nel caos della riunificazione tedesca e l’unica cosa che ci rimane è uno scatto fortunatissimo in bianco e nero. Un portiere che festeggia e l’altro piegato per terra con le mani sulla testa.
La stagione successiva è quella che porta Croy alla ribalta internazionale della Coppa delle Coppe; lo Zwickau gioca contro Panathinaikos, Fiorentina e Celtic Glasgow facendoli fuori in sequenza. Dopo la gara di andata pareggiata 1-1 in Scozia, l’allenatore dei biancoverdi John Clark rimane talmente impressionato dalla prestazione della pantera da dichiarare di aver appena visto il miglior portiere degli ultimi anni.
Era probabilmente la verità. La mancanza di grandi palcoscenici mondiali ha menomato la bravura e la notorietà di Jürgen Croy: a livello tecnico non aveva niente da invidiare a Sepp Meier, altro campione che si trovava dall’altra parte della Cortina di Ferro, e probabilmente nemmeno a Dino Zoff. Anni dopo, in un’intervista, dirà che sulla linea di porta era bravo come tanti altri e “non tra i peggiori” nelle uscite. È sempre difficile autogiudicarsi ed è evidente che Croy lo faceva malissimo.
L’avventura europea del 1976-77 poteva essere quella del grande riconoscimento e invece si conclude contro i belgi dell’Anderlecht, che poi vinceranno il trofeo continentale.
Un grande successo nella carriera del portiere ossi in realtà c’è e avviene proprio nell’estate di quell’anno; nelle Olimpiadi di Montréal la Nazionale di calcio della Germania Est vince la medaglia d’oro, un sigillo definitivo a ricordo della migliore generazione di calciatori che la DDR abbia mai avuto: Croy, Dörner, Weise, Kurbjuveit, Lauck, Häfner, Riediger, Hoffmann, Kische, Löwe, Schade, da recitare come una filastrocca fissata a vita nella testa dei tedeschi dell’Est. Alla festa mancava solo il più famoso di tutti, Jürgen Sparwasser, che però aveva già avuto la sua gloria nella memorabile partita del 1974.
Croy torna a casa da campione olimpico, ma la possibilità di portare in alto il suo Zwickau si conclude definitivamente con l’exploit in Coppa delle Coppe: negli anni a seguire il Sachsenring si stabilizzerà in una traiettoria di caduta verso i bassifondi della DDR Oberliga. È il 1981 quando la pantera di Planitz decide di concludere la carriera smettendo di difendere la sua area di rigore, l’unico pezzo di mondo in cui si sia sempre sentito davvero a casa. Nella stagione successiva gli equilibri della squadra cedono definitivamente, privati del loro elemento portante: i sassoni sono svuotati e non possono più affidarsi alla presenza leggendaria del loro portiere. Retrocedono così in seconda divisione, inghiottiti da un crepuscolo irreversibile. Il Sachsenring era Croy, lo stadio di Zwickau poggiava le fondamenta sulle sue ginocchia agili, le sue mani reggevano da sole le curve del Georgi-Dimitroff.
A tratteggiare la carriera della pantera di Planitz rimangono i numeri e le statistiche: 372 partite con il Sachsenring Zwickau, record per i campionati tedeschi dell’Est; 2 Coppe della Germania orientale; 3 volte eletto miglior calciatore della DDR; 94 partite con la Nazionale; un oro e un bronzo olimpico.
Nel 1989, in una specie di riconoscimento conclusivo dei 28 anni di Germania Est, verrà nominato dalla FDGB (la Federcalcio dell’Est) miglior calciatore di sempre della DDR.
Dov’è adesso Jürgen Croy? La risposta è sempre la stessa: dove è sempre stato, a Zwickau. La città si è ingrandita, le fabbriche si sono chiuse, la sua Germania a metà si è unita con l’altra, ma lui è sempre rimasto lì.
Anche il suo stadio non esiste più. È come se il piccolo mondo sportivo di Zwickau si fosse spento nel momento in cui Croy è uscito per l’ultima volta dalla sua area di rigore. Una carriera spesa sempre lì e mai messa in discussione. Ha lasciato soldi e fama agli altri e ha preferito rimanere nella memoria di molti.
Adesso questo tipo di calciatori verrebbero definiti giocatori bandiera. Ma una bandiera sventola ad ogni cambio di vento e si affloscia tristemente quando mutano le condizioni atmosferiche: questo paragone non rende giustizia alla carriera di Croy.
Sarebbe più adatto definirlo un giocatore semiasse, sempre rendendo omaggio alla provincia meccanica in cui è rimasto a parare per tutta la carriera.
REDAZIONE
Wale Café
Hobrechtstrasse 24, 12047 Berlin