Illustrazioni di Domitilla Marzuoli*
Geschwister – Kardesler
Germania, 1997
di Thomas Arslan
Grazie a questo film possiamo parlare di un popolo, quello turco-tedesco, riconoscendogli il merito di una parte di quel benessere emotivo che la città di Berlino esprime. Parlano un tedesco sfavato e strascicato, un paio di zone della capitale tedesca sono loro regno. Se volete farvi una spuntata ai capelli, passate da un turco di 3 generazione. Staranno in silenzio, oppure ti chiederanno del tuo vissuto, ma sempre con grande flemma ed essenzialità. Nessuna sviolinata, ma se Berlino è così figa, rilassata, accogliente, (seppur cambiata notevolmente negli ultimi 15 anni), non ancora del tutto snaturata, come invece tante altre capitali europee, dipende certo dal suo DNA speciale, dalla sua storia multiculturale, che include l’arrivo di centinaia di migliaia di persone che nel tempo, dopo la Seconda Guerra Mondiale e sino ai giorni nostri, hanno contribuito a calmarla, ad allentarne la tensione.
Geschwister – Kardeşler, ambientato nel quartiere berlinese di Kreuzberg, è un film per la televisione tedesca del 1997, diretto da Thomas Arslan e interpretato da Kool Savas. È la prima parte della “Trilogia di Berlino” del regista, che comprende anche i film Dealer (1999) e Der schöne Tag (2001). I film di Arslan si concentrano sulla vita dei giovani tedeschi di origine turca di seconda e terza generazione a Berlino. In Geschwistern si segue la storia ordinaria, semplice, di vita quotidiana, di tre fratelli,
Erol, Ahmed e Leyla, nati da madre tedesca e padre turco: scorrono in video le loro giornate, le loro discussioni, i piccoli tormenti. Geschwister non è un film che lascia il segno anzi, se non fosse per l’intelligente durata di 80 minuti, potrebbe anche annoiare in almeno un paio di momenti, soprattutto nelle “esterne” berlinesi, raccontate con molta più efficacia e ritmo in altre pellicole.
Eppure Arslan è sereno, gira rilassato, senza fretta e con mano sicura, senza calcare gli stereotipi, senza lasciarsi andare a nessun luogo comune, evitando di scivolare in quella cosmetica glassa patinosa di dialoghi banali. Certo, si ha una reazione di leggera irritazione, soprattutto nella prima mezzora, di fronte a una stesura molto piatta, ma l’intento di Arslan è onesto (forse pure troppo) e per questo lascia i protagonisti, i tre fratelli, recitare con naturalezza nelle loro quotidiane problematiche, amorose e di amicizia, senza mai sfociare nel dramma sociale.
I momenti di maggiore qualità vengono girati dentro la casa, dove il ritmo, gli scontri con i genitori, rendono con maggiore chiarezza, senza esplicitarla mai, la difficoltà e il disagio di essere dei “mezzosangue” in una Berlino che comunque nel 1997, hanno di realizzazione del film, era più tedesca di oggi, per quanto sia sempre stata “romana” nel suo caos: la Germania, ricordiamolo, allora era unita da appena poco più 6 anni.
La telecamera, come si accennava poco sopra, nelle scene degli interni si muove con grazia, ad esempio quando uno dei tre fratelli parla delle sue amiche, o quando racconta gli scontri del gruppo con il padre turco. Erol,che ha abbandonato la scuola, va in giro per strada a vitellonare con i suoi amici. Si mantiene a fatica, commettendo piccoli reati. Suo fratello Ahmet va invece al liceo e non ha niente a che fare con il giro di Erol. Leyla, la ragazza di casa, è infastidita sia dai suoi due fratelli, che dai suoi genitori e dal suo ambiente di apprendistato.La vediamo bisognosa di aprirsi con le amiche, nei momenti in cui mostra gli unici sorrisi di tutto il film, che rimane se non triste, molto lineare, con rari momenti di allegria.
Quando Erol riceve un avviso di leva dall’esercito turco, è determinato a partire per il servizio militare, anche contro la volontà della sua famiglia. Prima di rispondere alla chiamata, vaga però, ancora una volta, per Berlino, affrontando in maniera definitiva alcune delle incombenze, delle pressioni, che lo affliggono.
Di nuovo, nel racconto della Berlino cittadina emerge qualche difficoltà visiva, mentre il ritmo cala. Sfruttando la grande qualità documentaristica del regista Arslan, si potevano forse fare altre scelte, ma resta comunque negli occhi una Berlino sempre affascinante, mostrata nei sui pieni anni ’90, senza furberie, senza musiche sexy, senza trucchi. Vediamo le fermate delle U-bahn, come Kottbusser Tor, e poi i vialoni, le strade, di una città povera, ma dove si vive tutti con la stessa dignità. Come se fosse, la Berlino di fine anni Novanta, una sorta di Cuba occidentale.
Il finale, in linea con il tono del film, è critico. C’è l’onore da salvare, ma senza alcuno psicodramma. Emerge un compattamento familiare, per poi ripartire ognuno con il suo mondo quotidiano.
Non bisogna lasciarsi ingannare da una sceneggiatura scarna e poco elaborata, nell’abbreviazione di un nodo da elaborare drammaturgicamente. L’intenzione di Arslan non è affatto un documentarismo ingenuo.Il regista cerca, molto consapevolmente, la sospensione della forma: l’inquadratura è precisa, nessun movimento della macchina da presa è superfluo, i dialoghi riprendono effettivamente il linguaggio dei giovani turco-tedeschi. Il laconismo, la struttura delle singole scene, allontanano il film da qualsiasi forma di naturalismo.
“Questa è precisamente l’arte di Thomas Arslan, qui esposta in modo ancora più discreto (e meno rigoroso) che nei film seguenti: applica la sua coscienza della forma alla realtà e, come se fosse facile, fa arte della vita.” (Ekkehard Knörer, Jump Cut – Magazine)
Arslan impiega lunghe riprese e un approccio distaccato e documentaristi che, però, come detto purtroppo sfrutta solo al minimo nei suoi ritratti della vita quotidiana. Per lo più evita i dettagli folkloristici e non si concentra sulle radici dei suoi personaggi.
La visione di questo film mi ha fatto tornare indietro di vari anni, alla Londra di certi colloqui durante i quali vedevo negli occhi delle recruiter inglesi lo sdegno di fronte all’ennesimo italiano che si presentava osando di proporsi per una posizione in una corporate 100% “Londoneer”, o comunque per un posto di lavoro diverso da quello di cameriere o cuoco per un ristorante.
In questo senso, Geschwister mi ha fatto pensare che fa bene sentirsi come i turco-tedeschi di Arslan almeno una volta nella vita, sfidare quel velo di compassione, quel un pizzico di razzismo, che è poi solo, in fondo, un grande cocktail di ignoranza e confusione.
Arslan tutta questa tensione, questo disagio, li suggerisce in maniera semplice; è questo il punto di forza di un film vintage, un puro anni ’90 in una città che all’epoca rappresentava forse il miglior teatro possibile per raccontare un decennio di speranze frustrate, che rimpiangiamo però continuamente, anni innocenti, ma non ingenui. Anni semplici, ma non banali, come i movimenti di camera di Thomas Arslan, che merita un suo spazio in questo cinema di oggi, così urlato e sofisticato.
Dedica berlinese
A Guido, a sua madre, che non sta affatto bene.
Un grazie a lui per primo e a pochi altri familiari e non, che mi hanno spinto a tornare nella mia seconda casa.
Ai turchi, che con i loro modi di fare hanno contribuito a modo loro a rendere Berlino un posto accogliente delle sofferenze occidentali, degli animi inquieti bisognosi di rassicurazione.
*Domitilla Marzuoli è illustratrice di notte e ricercatrice umanistica di giorno. Si forma in Lettere Classiche e persegue il sogno di diventare educatrice umanistica. Cresce in un ambiente artisticamente fertile e, alla scuola della nonna scultrice, sviluppa la propensione creativa, immergendosi nella pratica materica dell’arte figurativa e pure della scrittura. Ama sognare e trasognare, illustrando ciò che le parole non sono in grado di esprimere: la caratterizzano l’uso crudo del colore, la semantica diretta e disinibita delle scene illustrate. Quando non scarabocchia cammina senza una meta o legge graphic novels accanto al camino con un buon Chianti.
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