Lo si è già detto anche troppo: ciò che di certo non ci manca, in questo momento, è il tempo.
E’ più difficile di quel che sembra, però, impiegare un tempo come questo, che è fatto di noie, di angosce, di pensieri sparsi e profondi che trasformano gli ambienti in grasse forme di inevitabile inedia.
La creatività ferma, il progettare immerso nei chissà, le speranze inghiottite da un pessimismo irreparabile. La cultura, allora, può venire in soccorso, a stimolare il bello, ad allontanare il vuoto.
In questa piccola lista di film abbiamo provato a pensare a sei pellicole che, per ragioni diverse, possono stimolare la nostra attenzione, accendere un interesse, innescare un ragionamento. Oppure, semplicemente, rilassarci.
L’avvertenza è inevitabile: in questa lista non compaiono Contagion, Virus Letale, The Last Days.
L’UOMO DEL TRENO (2002) – di Patrice Leconte
Ci sono film francesi che, indipendentemente dalla categoria narrativa cui appartengono, fanno parte, a monte, di un “sovragenere” assoluto, fatto di piccole ripetizioni ambientali, di luci morbide, di attori che si muovono nello spazio, e fra le parole, come se fossero parte di un unico tessuto emotivo, una ripresa infinita che li unisce da L’uscita dalle officine Lumière fino a La Belle Époque: il sovragenere dei “film francesi”. Dove per “francese” non s’intende tanto la nazionalità di produzione del lavoro, ma, piuttosto, un’atmosfera di contorno che è difficile illustrare per mezzo di parole, ma di cui si ha una percezione visiva piena, fluente.
L’uomo del treno è uno di questi film “francesi”.
Una storia lieve, eppure penetrante, di due solitudini così diverse, così divergenti, da mostrarsi in tutta la loro debolezza, nell’attimo dell’incontro. Un solitario per scelta, e un uomo lasciato solo dalle circostanze, si confrontano in discussioni nelle quali il peso delle parole ha un ruolo antitetico: per uno sono sempre troppe, per l’altro, invece, la comunicazione orale è una necessità incontenibile, il suo rapporto di esistenza con la vita. Il loro è un incontro casuale, ritmato da un appuntamento comune, cui non si può sfuggire e verso il quale, come in un western contemporaneo, si avvicinano rinfrancandosi a vicenda, con la serenità pulita di chi sa che tutto, in ogni caso, andrà come deve andare.
Trailer
BITTERSWEET LIFE (2005) – di Jae-Woon Kim
Sergio Leone, Quentin Tarantino, Martin Scorsese.
Ma, soprattutto, Jean-Pierre Melville e il suo gusto unico per la rappresentazione dell’autonomia morale dell’individuo nella sofferenza, la bellezza algida con cui il protagonista va allo scontro definitivo con la morte. Eppure, solo un regista sud-coreano avrebbe potuto riempire una traccia narrativa come questa con un sottofondo surreale, a volte di commedia, grazie ai cui accenti il film, a tratti, diventa quasi un fumetto. E’ una copia dell’Alain Deloin anni ’70, ma ancora più stilizzata, quella che vediamo incarnarsi nel killer d’onore Sun-woo, i cui meccanismi da robot spietato e pronto a tutto s’inceppano alla vista di una donna. L’entrata in scena di Hee-soo è meravigliosa. La vediamo attraverso gli occhi di Sun-woo. Prima un paio di scarpe, scure, e poco sopra le lisce caviglie sottili. Poi i lunghi capelli neri, spazzolati calmamente. Sono pochi minuti, ma bastano: il movimento si è inceppato, il killer senza cuore è stato colpito, nulla sarà più come prima.
C’è la perfezione dei ritmi in questo film, girato alla velocità supersonica degli action-movie di vendetta coreani, ma senza mai perdere lo stile, restando sempre dentro il cuscino soffice dell’aplomb (assurdo) del suo protagonista. Che guarda, come di striscio, in camera, si chiude i due bottoni della giacca, e parte, senza paura, incontro al suo destino.
Trailer
IL COMMISSARIO MONTALBANO: IL LADRO DI MERENDINE (1999) – di Alberto Sironi
Non è un film questo, lo so, ma in qualche modo è come se lo fosse.
Di certo non è una serie, non nell’accezione contemporanea del termine. D’altronde, quando venne girato quest’episodio, il mondo della visione online, così come esiste oggi, era ancora ben di là da venire.
E’ sempre stato, Il Commissario Montalbano, un prodotto diverso da tutti gli altri, figlio del tempo di mezzo nel quale è stato immaginato, a metà fra i vecchi sceneggiati in stile Piovra e le grandi produzioni di genere della tv di Stato.
Girato per la televisione, ma con interpreti e mezzi cinematografici, un formato narrativo a metà strada fra il grande e il piccolo schermo, una struttura complessiva che lega gli episodi l’uno all’altro nei personaggi, lasciando però del tutto indipendenti le singole puntate, ognuna come un piccolo lungometraggio a sé.
Certo, della tv conserva il gusto piatto di una fotografia pensata per stare un passo indietro a tutto. E’ chiaro, non ha, in sceneggiatura, la grana lieve di un prodotto pensato per il cinema.
Eppure, restano 105 minuti di splendido intrattenimento, con personaggi così ben lavorati, caratteristi perfetti, location siciliane che ti mischiano dentro, a ogni ripresa, malinconia e dolcezza, e poi un ritmo spedito, forte, e un messaggio che non è mai banalizzato, finisce tutto e resti un po’ a pensarci.
Il ladro di merendine è l’episodio che aprì la saga di Montalbano, ed ancora oggi, a 20 anni dalla prima messa in onda, funziona benissimo. Ti mette addosso una speranza pulita, figlia dei comportamenti, delle situazioni, dei luoghi, che restano impressi. E’ quasi terapeutico, con il suo sguardo di serenità in mezzo alla tempesta.
Trailer
Wall-E (2008) – di Andrew Stanton
La storia è semplice: l’inquinamento ha reso la Terra un luogo invivibile, così tutti gli esseri umani sono stati costretti alla fuga, e vivono ormai in grandi navicelle spaziali simili a imbarcazioni da crociera. L’unico ad essere rimasto sul vecchio pianeta è un piccolo robot spazzino, il solitario WALL-E, che con gli occhioni di metallo tristi si aggira fra le rovine di un mondo abbandonato e apocalittico. Per me questo è forse il film di animazione più bello mai girato dalla Pixar. L’assenza di dialoghi, l’azione rareffata dei personaggi, è spinta sino alle sue conseguenze più radicali. Il protagonista robot è un Charlie Chaplin malinconico e dolce, che magari ai bambini non piacerà da subito (che abbiano pazienza, poi il film accelera), ma che lentamente prende gli spettatori per mano, portandoli dentro la sua meraviglia. Non c’è, qui, la preoccupazione del dover fornire necessariamente un ritmo, una conversazione, una velocità, da grande film di massa (come accade ad esempio in Ratatouille, altro celebrato film Pixar, comunque splendido). Si va avanti, piuttosto, a piccoli passi, entrando con calma dentro la routine di Wall-E, e innamorandosene, fra avventure fantascientifiche, sentimenti interspaziali e un infinito carico di poesia post-moderna.
Trailer
LA FORTUNA DI COOKIE (1999) – di Robert Altman
Holly Springs è una piccola cittadina nordamericana, sconvolta dal suicidio della simpatica zia Cookie, fatto passare dalla ribelle nipote come un omicidio. Viene accusato del delitto l’incolpevole Willis, un amico della zia, mentre intorno, al ritmo blues, si snodano le piccole vicende della provincia americana, e il film, da poliziesco, viene destrutturato in una narrazione che attacca il perbenismo e mostra le innumerevoli sfaccettature dell’animo umano.
Rabbia e tenerezza, amore e cattiveria, vengono tenute insieme da un sistema di dialoghi in cui il regista, Altman, è protagonista invisibile, presente sulla scena attraverso un controllo che appare sempre assoluto.
Sono le piccole impressioni dell’esistenza, a restare le più importanti, anche quando tutto sembra stia crollando.
Trailer
DONNE SULL’ORLO DI UNA CRISI DI NERVI (1988) – di Pedro Almodovar
L’esplorazione sentimentale di un gruppo di donne spagnole nel corso di 24 ore folleggianti ed iperboliche, durante cui s’intrecciano parodosso, comicità e riflessione emotiva.
Sono tre i temi esplorati con più forza: l’abbandono, la solitudine, la disperazione.
I personaggi ne vengono sempre fuori con classe, anche se al termine di turbinii surreali e al costo di dolorose scelte. C’è poi un sottotesto sorridente: l’attacco frontale del regista ai telefoni e alle segreterie telefoniche. Almodovar, che da giovane ha lavorato, per più di dieci anni, come centralinista alla società telefonica nazionale spagnola, li ha sempre considerati le armi perfette a disposizione dei bugiardi.
Questo film, dunque, è anche un attacco alla comunicazione non frontale, percepita come menzognera alla radice, e una difesa, strenua, del contatto umano.
Trailer
REDAZIONE
Wale Café
Hobrechtstrasse 24, 12047 Berlin