Nella sezione “storia” della pagina tedesca di Wikipedia sul Sommerbad Kreuzberg, la piscina all’aperto di Prinzenstrasse, si narra che in una sera di giugno 2010 a bordo vasca si sia verificata una rissa di massa (Massenschlägerei) in cui sono stati coinvolti 60 ragazzi mentre circa 5000 visitatori sono rimasti impassibili a aspettare l’arrivo della polizia.
Era solo una conferma di quello che si dice in giro. Ma facciamo un passo indietro.
Un mercoledì pomeriggio sono seduta in soggiorno a lavorare quando una amica mi invita a andare in piscina. Siamo agli inizi di giugno, fuori il cielo è limpido e una corrente d’aria tiepida entra dalla finestra aperta. Nonostante questo rispondo che sto lavorando e vorrei continuare a farlo anche se la verità è che sto lavorando e non vorrei vedere nessuno. Lei insiste, io mi faccio pregare un po’ e poi cedo. Così abbatto lo schermo del computer, metto in borsa l’Ulisse che in uno slancio di ottimismo decido essere la lettura epica della mia estate 2018 e tiro fuori dal cassetto il costume intero laminato che ho ordinato online qualche giorno prima perché l’estate non arriva davvero finché non mi sono comprata un costume da bagno.
Ormai è pomeriggio inoltrato, e lo so perché in tutta la rete delle piscine di Berlino dalle cinque e mezzo l’ingresso è ridotto e costa solo 3 euro e 50.
Così mi siedo sulla U1 a Nollendorfplatz e lascio che le mie cosce sudino al contatto con la similpelle a fantasia arlecchino delle sedute del vagone. Un vago senso di colpa per essermi alzata dalla scrivania non mi lascia tranquilla e così a ogni fermata mi sincero se anche altri viaggiatori sono diretti in piscina. Ma a parte qualche lavoratore di ritorno dall’ufficio in completo grigio e zaino Vaude, nessuno intorno a me indossa capi di nylon dai colori sgargianti o pantaloncini di jeans troppo corti.
Scendo a Prinzenstraße e mi guardo intorno. Dall’altro lato della strada c’è un piccolo parco in cui solo qualche settimana prima mi sono incontrata con un tizio sconosciuto con cui mi sono scambiata foto di posti sparsi per il mondo per settimane prima di arrivare alla conclusione che dovessimo incontrarci per scoprire poi che non ci saremmo mai più mandati foto su WhatsApp. Prima di questo evento non avevo mai notato l’esistenza del Böcklepark.
Alla mia destra invece c’è uno späti che cerca di darsi una qualche dignità per pulizia e vastità di offerta di gelati. I bambini infatti si accalcano intorno al banco frigo, aprono e chiudono lo sportello scorrevole senza aver prima deciso cosa vogliono davvero. È un gesto di cortesia che prima o dopo qualcuno insegnerà loro a fare.
Fuori di lì mi rendo conto che le cose hanno ripreso la loro dimensione di Kreuzberg quando noto un plotone di uomini seduti intorno ai tavoli di legno con la testa ciondolante sopra i colli di bottiglie di birra. Mi osservano passare mentre bevo dalla mia bottiglia d’acqua turca da un euro; mi guardano in silenzio fino a quando qualcuno non avvisa che sta per entrare a prendere un altro giro, e così un paio di loro si risveglia dalla narcolessia del caldo e ordina un’altra birra.
La mia amica arriva alle 17.27; ponderiamo sul da farsi, non sono ancora le cinque e mezzo in punto, però lei propone di tentare la nostra fortuna e chiedere se nonostante i tre minuti di anticipo possiamo entrare a prezzo ridotto. Così ci avviciniamo alla cassiera e domandiamo. La donna dal canto suo non si dà nemmeno la fatica di sollevare lo sguardo dallo schermo e risponde senza alcuna retorica, ma più che altro per uno spirito incallito di puntigliosità tipico delle persone che lavorano nel pubblico: «Sono forse le cinque e mezzo?». Io e Amica annuiamo, ci scambiamo uno sguardo, torniamo in fondo alla fila e aspettiamo per i prossimi due minuti.
Aspettiamo di passare dai tornelli e di liberarci le caviglie dai lacci dei sandali per poi affondarli nella pozza d’acqua lurida che dovrebbe pulirci i piedi prima dell’accesso all’area della piscina. Ma questa è davvero l’ultima fatica prima di entrare in un luogo in mezzo alla città in cui non si sente nemmeno un rumore di città. Al di là del muro di piante che separa la Gitschiner Straße dall’area della piscina si apre un’oasi semi deserta. Nell’aria fluttua il bisbiglio dei bagnanti che si sono accasciati sotto gli alberi del giardinetto fiorito alla destra dell’ingresso; gli urletti dei bambini che scendono giù dall’acquascivolo mi fanno venire voglia di tuffarmi in piscina ancora vestita.
L’area per i bagnanti è molto più articolata di quanto io me la aspettassi. Ancora da Wikipedia traggo un paio di informazioni tecniche sul Sommerbad. La struttura è stata inaugurata nel maggio del 1956 anche se la versione attuale risale al 1984. Attualmente l’area dispone di due piscine da 50 metri e una terza, molto più grande, in cui il livello dell’acqua non supera il metro e mezzo. Intorno ci sono giardini, bar, panchine, bagni e le persone se la godono come se fossero in un villaggio vacanze.
Io e Amica ci cerchiamo un posto sulle scalinate di mattoni rossi. Passiamo in mezzo agli altri bagnanti, in punta di piedi come si fa per non disturbare. C’è una ragazza bellissima, abbronzata come se fosse la settimana dopo Ferragosto, e la sua pelle color caffè luccica sotto uno strato d’olio. Passiamo accanto a un ragazzo con la pancetta bianca e pelosa, è solo e legge un libro sdraiato di lato senza un asciugamano su cui stendersi. Finalmente troviamo posto accanto a una coppia, la ragazza poggia la testa sulla coscia di lui con gli occhi chiusi, così da potersi abbronzare anche le palpebre.
Ci troviamo davanti a una delle due piscine che credo siano olimpioniche; i nuotatori fanno avanti e indietro in maniera abbastanza professionale, il che per la sottoscritta vuol dire che danno le bracciate con il volto sott’acqua e ogni tot lo tirano fuori per respirare. Qualcuno indossa persino occhialini e cuffietta e sono quasi certa che siano perlopiù tedeschi. Più in là c’è la piscina grande, con degli ombrelloni di cemento da cui spruzzano zampilli d’acqua, o forse sono funghi; i bambini scorrazzano inseguendo palloni o altri bambini, mentre gli adulti si dirigono stancamente sotto il getto e si lasciano scivolare tutto addosso con gli occhi chiusi. Mi sento bene solo a vederli, mentre sotto le mie gambe il pavimento di mattoni bollenti mi scalda le cosce e il sedere schiacciato sull’asciugamano blu. Altri bambini, che nella mia immaginazione sono quelli che poco prima hanno comprato il gelato, scendono e salgono, scendono e salgono dallo scivolo, si buttano giù con le braccia sparate in alto mentre le mamme a bordo vasca urlano o dicono, a seconda della nazionalità, che è ora di andare a casa, i polpastrelli ormai sono cotti dall’acqua. Mi domando se in un posto senza mare qualcuno sappia che cosa sono le mani cotte, o se il panino subito dopo essere stati avvolti nell’asciugamano ha lo stesso sapore inconfondibile di salmastro che aveva il mio dopo il bagno al mare, da bambina.
Devo fare un certo sforzo di immaginazione per credere che a bordo di questa piscina si possa verificare una rissa, ma il Sommerbad Kreuzberg deve essere un altro di quei posti difficili da decifrare, uno di quei luoghi che “sembra provocare disagi sociali a livelli difficilmente scandagliabili”. Si dice infatti che la piscina di Kreuzberg sia volgare. Si dice che a Berlino ci sono altre piscine meglio frequentate di questa. Alcuni mi hanno detto che preferiscono altri posti, questo è troppo prollig, cafone, se non ho frainteso l’ammiccamento alla vicinanza con Kotti che dista solo una fermata di U1. Troppi turchi, troppi arabi, troppe ragazze con le unghie artificiali decorate con l’intero catalogo di Swarovski.
E forse accanto alla mia immagine paradisiaca di questo luogo, una versione fallace frutto del mio bisogno dell’accoppiata “acqua e purezza”, c’è posto anche per un’altra, o per molte altre ancora. Accanto a me e di fronte ci sono giovani che leggono libri con la costa contrassegnata dal numero di catalogo di una biblioteca, ma anche ragazzi con la pelle abbronzata e i muscoli ben definiti tipici di un inverno passato in palestra. Qui ci sono persone che sono venute da sole, oppure coppie che indossano sneakers nere di design scandinavo; almeno qui per un attimo si riesce a mettere da parte il fatto che a Berlino c’è così tanto da vivere che ognuno ha i suoi luoghi di appartenenza.
In realtà accade che all’improvviso l’estate ha un inizio, e mi rendo conto che questo inizio non sarebbe mai avvenuto senza la piscina e i costumi da bagno. Così metto via il telefono e mi avvicino al lato della vasca in cui l’acqua è più profonda: solo da lì è permesso tuffarsi. Aspetto che i bagnati sguazzino un po’ più in là e solo dopo aver sorriso a Amica mi tuffo. Sotto mi do lo slancio con una gambata, mi spingo avanti finché posso. È silenzioso, perché per me il suono dei flutti dell’acqua che spingo via con le bracciate è solo un’altra declinazione di un paravento che mi separa dai rumori delle auto e dei treni della metro. E dai miei pensieri, soprattutto. Cerco di restare lì giù il più a lungo possibile. Quando salirò potrò essere ovunque, al centro di Kreuzberg o in una spiaggia in Liguria. Forse mangerò un panino che sa di sale, e avrò di nuovo undici anni. Lì sotto è davvero tutto possibile. Provate. Penso, cioè, non penso: acqua. Acqua da tutte le parti. Finalmente è arrivata l’estate.
Giorgia Bernardini è nata a Catania nel 1985, vive a Berlino. I suoi racconti sono stati pubblicati su Rivista Studio, Colla, Abbiamo le Prove, Altri animali e Pastrengo. Attualmente lavora al suo primo romanzo.
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