Capii che dovevo andare in città a cercare qualcosa da mangiare. Dovevo andare in quella famosa strada degli stuzzichini, lì si trovava sempre qualcosa da raccattare. In quelle strade i giovani alla ricerca di novità finivano sempre per gettare via il cibo. A raccogliere quel che gettavano si aiutava a tenere pulito l’ambiente, si sosteneva una vita e si diminuivano gli sprechi. Non è poi così difficile, sopravvivere
Mo Yan – Grande seno, fianchi larghi
C’è un video in cui riprendo mia nonna per i suoi cento anni. Tra l’Alzheimer e i cocktail di farmaci è tornata bambina: gioca, scherza, canta e fa i capricci. Sa bene cosa vuole e cosa non le piace. Illuminata da una luce azzurrina e quasi aliena, nel video compare avvicinandosi dal buio come un fantasma:
– e tu chi sei?
– sono tuo nipote, nonna
– ah! allora tu sei figlio di questo qua? (indicando mio padre, suo figlio) E perché non glielo dici anche tu di tagliarsi quella barba brutta, che così sembra già un vecchio. Non mi piace! No no no, non mi piace proprio
Mi chiedo cosa direbbe se mi vedesse oggi. Un giovane uomo che cammina per le strade lungo la costa. Capelli e barba lunghi e incolti, mezzo nudo, con solo uno straccio logoro ai fianchi, scalzo, le mani nere e le unghie lunghe e non curate. Ogni tanto si piega a terra, raccoglie qualcosa e se lo mangia. Vicino al cassonetto si ferma, ci rovista dentro, tira fuori una busta o un pezzo di carta con qualche rimasuglio di cibo e si allontana. Qualcuno, inorridito, gli si avvicina e gli chiede di prendere dei soldi o qualcosa da mangiare, per decenza, ma lui di solito preferisce non accettare elemosina. “Grazie: ho già tutto e molto più di ciò che mi serve”, risponde, “ma grazie, davvero”. Quel barbone sono io e, di solito, quando mi offrono soldi o cibo, rifiuto cortesemente. Cerco di spiegare che i soldi, volendo, li avrei e che la mia è una scelta di vita, ma non sempre ci riesco: a volte non c’è niente da fare e più che mettermi a discutere accetto la generosa offerta e ringrazio. Poi prendo i soldi e ci compro qualcosa da condividere in cerchio con i miei altri fratelli e sorelle, molti di loro randagi più o meno come me.
Da novembre vivo in una spiaggia naturista alle Canarie insieme ad altri hippie e figli dei fiori, accampati chi in tenda, chi in capanne di foglie di palma, chi in grotte adibite a case. La spiaggia è parte di una riserva naturale che comprende diversi calanchi, tra i quali, assieme agli accampamenti fricchettoni, sono state adibite almeno tre cucine comuni, oltre a librerie e biblioteche per lo scambio di libri e punti di raccolta chiamati “give away” – luoghi dove si regalano/lasciano vestiti e oggetti vari. Tutto qui è riciclo e riuso. In alcune cucine i pasti sono scanditi da rituali di celebrazione quali canti e balli in cerchio, altre sono più anarchiche ma il cibo è sempre condiviso tra tutti e, per la maggior parte, viene dall’immondizia. Può anche capitare di sentire qualcuno lamentarsi, quando non è così.
– è tutto riciclato vero?
– tranne i pomodori
– (sbuffando) ma con tanta roba che c’è da consumare, perché?
– li ho presi io e volevo condividerli, che c’è di male?
– è che (qualcuno interviene) abbiamo fatto l’errore di entrare nel supermercato che avevamo fame e non ci siamo regolati
La maggior parte di chi, come me, vive qui, ha soldi da spendere o li guadagna vendendo o suonando per strada. Io personalmente non ho portato qui carte di credito o altro (i miei soldi sono bloccati su un conto BancaEtica), quindi, come mi piace dire, vivo di provvidenza. E, sì, parte della provvidenza è recuperare ciò che qualcun altro ha lasciato per me nei cassonetti in giro. Ovviamente qui non sono l’unico. C’è chi, dopo cena, prende in spalla grandi zaini vuoti e fa per congedarsi.
– te ne vai già?
– sì mi incammino e salgo con molta calma
– vai da Lidl? se aspetti vengo anch’io
Ogni tanto qualcuno si aggrega e andare a riciclare si trasforma in una divertente e colorita missione di gruppo. Bisogna fare un’ora di cammino in salita per arrivare al paese. All’una di notte, per pochi minuti, Lidl e altri supermercati – anche all’ingrosso – aprono i loro cassonetti (altrimenti severamente chiusi a chiave) e, prima che i camion portino via quella preziosissima monnezza, ai randagi come noi è data di straforo la possibilità di rovistarci dentro al volo. Solo a due persone è concesso di selezionare il cibo e portarlo fuori agli altri, per poi spartirlo. Vengono così salvati dalla discarica pacchi di yogurt, torte, pane, frutta, verdura, pasta e chi più ne ha più ne metta – a volte persino grandi quantità di sushi. Perché le cose che scadono, o non si possono più vendere, vengono gettate via. Nella pratica regalare o dare in beneficenza non è affatto semplice, per via di rigidi adempimenti burocratici e procedure rigorose per la movimentazione delle merci, un costo in più per le aziende. Così è per tutti: forni, tavole calde, supermercati, ristoranti, hotel. Tutti costretti a gettare via il cibo. Dal 2015 però Paesi come la Francia cercano di cambiare la situazione, e il politico e attivista Arash Derambarsh, ad esempio, ha promosso una legge per costringere i supermercati più grandi di 400m2 a donare il cibo avanzato in beneficenza. In accordo con organizzazioni caritatevoli, si potranno così ridurre gli scarti. In tutto il mondo molte sono le eccezioni virtuose di associazioni che si impegnano a lottare contro questa follia ma, appunto, restano eccezioni. In Italia la legge Gadda per disincentivare la distruzione dell’invenduto è del 14 settembre 2016, ma nel primo anno ha ridotto il problema solo dell’1,28%.
Attualmente vengono gettati ogni giorno fino a 30 chilogrammi di prodotti alimentari a uso domestico all’anno, per un valore di circa 20 miliardi di euro. E i supermercati sarebbero responsabili solo del 5% degli sprechi.
Un italiano getta in media un quintale e mezzo di alimenti, di cui il 25,6% è composto da verdure e il 17,6% da latticini. Si butta oltre un terzo del cibo prodotto, di cui l’80% ancora consumabile, ma la macchina non si può fermare. Bisogna produrre in eccesso. Ormai viene prima l’offerta, poi a indurre la domanda ci pensa il sistema – attraverso le pubblicità, i telegiornali, i miti del bisogno che promuovono in ogni salsa i media.
Il settore della distribuzione è responsabile solo dell’11,6% del totale delle eccedenze (770 mila tonnellate di rifiuti l’anno). Il 41,6% avviene invece proprio nelle case dei consumatori.
“Il cibo che si spreca è come se lo si rubasse dalla mensa del povero, di colui che ha fame”, ha detto Papa Francesco.
Viaggiando con i figli dei fiori, una delle esperienze più belle è quella di andare nei negozi o al mercato e chiedere ai commercianti di regalarci il cibo invendibile. Noi offriamo musica, colore, sorrisi, allegria e in più ricicliamo, evitando così gli sprechi. In alcuni paesi, come la Germania o l’Argentina, da sempre esiste la pratica del vuoto a rendere: bottiglie di vetro e di plastica, lattine e materiali come legno e ferro possono essere riconsegnati o rivenduti. Così è normale che le bottiglie non vengano gettate nel cestino ma sistemate fuori o accanto ai cassonetti, in modo che chi come me vive per strada possa recuperarle e racimolare qualche spiccio. E il cibo avanzato si lascia, di solito, sopra un davanzale o una panchina in bella vista, invece di spegnerci sopra, a sfregio, una sigaretta, rendendolo immangiabile. Anche libri e vestiti – avendo abitato a Berlino l’ho con piacere vissuto di persona – prima di essere buttati via vengono lasciati in strada, per far sì che qualcuno cui servano possa trovarli.
Chi vive nelle ville con piscina qui attorno o passa in macchina dal golf club può vedere spesso scene del genere, con variopinti straccioni che se ne vanno in giro trascinando pallet e pezzi di legno, taniche d’acqua, foglie di palma, divani, materassi, cibo e altro. In Argentina e Sud America ci definirebbero cartoneros, qui invece lo chiamano dumpster diving, oppure skipping o semplicemente food recycling. La prima definizione deriva dal nome di alcuni cassonetti e letteralmente significa fare immersione nel bidone. Io, in realtà, sono più che altro per il dumpster snorkeling. Passo magari anche dai cassonetti di qualche supermercato o frutteria grande, ma in genere preferisco passeggiare sul lungomare e vedere cosa i turisti e gli avventori della spiaggia hanno scartato. Considero tutto ciò che trovo come un dono immenso e di solito, nonostante il gran numero di fricchettoni alla ricerca, non resto mai a mani vuote: trovo buste piene di frutta integra e perfetta, pacchi di cibo neanche aperti, resti di pranzi e colazioni praticamente intonsi, e tutto quell’immenso ben di dio che, anche se non sembra vero, la gente butta senza criterio.
Ogni mattina, tra il polistirolo e le schifezze varie che il mare rigetta sugli scogli, si trovano anche pezzi di frutta, torsoli di mele, peperoni interi eccetera. Una delle mie occupazioni è tenere pulito e, quando trovo un frutto secco o dei semi, di quelli mi nutro, così come i piccioni che assieme a me rovistano e spiluccano tra i sassi. Purtroppo non è affatto difficile trovare immondizia in giro, anzi. Strade e aiuole ne sono cosparse. Così non è strano vedere quel barbone, che mia nonna disapproverebbe, raccogliere da terra buste di plastica e lattine e portarsele dietro fino al cassonetto della differenziata più vicino in cui gettarle. Molti si stupiscono che sia uno straccione sporco a pulire le strade, ma in realtà è abbastanza ovvio: chi si schifa di mettere le mani nell’immondizia, o chi è troppo posh per finire tutto ciò che ha nel piatto, difficilmente si sporcherà per raccogliere cosa cade a terra o andrà a buttare quello che deve, invece di lanciarlo dal finestrino della macchina in corsa. A me, sono onesto, non costa molta fatica, anzi, mi piace mettere a posto e pulire. Solo ogni tanto mi deprime un po’ vedere quanto riusciamo ad essere incoscienti.
Di tutta l’abbondanza che trovo poi, a dire il vero, non ne ho neanche bisogno e di solito preferisco regalarla o quantomeno spartirla con gli altri: che condivise le cose sono molto più buone. Ogni tanto qualcuno porta un casco di banane dalla piantagione qui vicina perché se anche una sola banana di tutto il casco diventa troppo matura, questo sarà considerato invendibile e, di conseguenza, buttato. Noi raccogliamo, portiamo a casa e condividiamo. La mia dieta preferita: mangiare solo frutti raccolti da terra. Qui ci sono datteri, fichi di cactus, spinaci selvatici. Sono parte del luogo che ci ospita. Mangiarli è come raccogliere informazioni per il corpo, messaggi genetici, è la connessione con ciò che ci circonda e di cui siamo parte. Ogni tanto, però, mangio anche la mela cerata OGM al sapore di crema doposole e cellofan, pensando che in fondo anche questa è in qualche modo connessione con chi oggi siamo.
Un giorno sto raccogliendo immondizia lungo un marciapiede e nel frattempo cantando/danzando/gioendo/piangendo/pregando/amando, quando si ferma accanto a me un motorino. Un giovane uomo, che poi scoprirò essere italiano e chiamarsi Fabrizio, mi chiede di accettare degli spicci. Gli dico che non ne ho bisogno ma che, se vuole, accetto volentieri un abbraccio. Per lui è troppo, ma vorrebbe fermarsi a parlare con me. Io non ho problemi (vivo senza tempo), così chiacchieriamo per un po’. Alla fine mi ringrazia, mi chiede di fare una foto con lui e ci salutiamo commossi. Mentre mi allontano per tornare alla mia immondizia, proprio lì, proprio in quel momento, proprio in quell’aiuola tra la spazzatura, trovo una banconota da cinque euro. Il mio viso esplode in una risata di estasi. Mi inginocchio e alzo gli occhi al cielo. Proprio sopra di me, mai per caso, un gabbiano plana in tutto il suo ammiccante splendore. Raggiungo saltellando Fabrizio che se ne stava andando e lo fermo porgendogli i soldi.
– vedi, a dimostrazione che il denaro non mi serve e che tutto ciò di cui ho bisogno mi viene già dato in abbondanza. prendili tu
– non ci credo, li hai trovati adesso? è assurdo!
– lo so: e pensa che a me cose così capitano ogni istante
Fabrizio riparte, ancora incredulo, sul suo motorino. Dopo un po’ lo vedo tornare con delle bottiglie d’acqua da regalare in giro. Non ci diciamo nient’altro, ci guardiamo soltanto negli occhi e con un cenno ci ringraziamo. Continuo a sorridere mentre lui, voltandosi ogni tanto, si allontana.
Non affannatevi di ciò che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre […] Quindi non siate ansiosi dicendo: ‘Che mangeremo?’ o: ‘Che berremo?’ o: ‘Che indosseremo?’ Poiché il vostro Padre celeste sa meglio di voi ciò di cui avete bisogno
(Matteo 6: 25-34)
L’immagine di copertina è di Jared eberhardt CC BY-SA 2.0
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