Wrangelstrasse si trova nell’incrocio fra due tra i quartieri più movimentati di Berlino: Friedrichshain e Kreuzberg. Nasce da Mariannenplatz, lì dove è sito il Künstlerhaus Bethanien – storico complesso espositivo che sorge dalle ceneri di un ex ospedale di diaconesse – e si srotola fino al Landwehrkanal, a pochi passi dal Görlitzer Park.
Al numero 57 di Wrangelstrasse c’è il Tom Hemp’s, CBD Shop gestito dal salernitano Cristian Accardo.
Ci sono già stato qui, quando ancora si chiamava Where is Jesus?, prima che cambiasse attività.
Entro.
Mi accolgono un ragazzo dall’aria vagamente italiana e una ragazza con un berretto nero di lana calcato sulla fronte. Mi guardo attorno per un attimo. È diverso da come lo ricordavo, Su una parete campeggia il disegno di una Angela Merkel in versione sirenetta, la scritta Meer Jane. Di fianco, della stessa grandezza, un Caduceo, simbolo dei farmacisti.
Un unico lungo tavolo è al centro della stanza.
Sul fondo de salone, e di questo mi ricordo bene la prima volta che sono entrato in questo posto, una cabina di regia vetrata si prende un angolo spazioso del locale.
In inglese chiedo di Cristian al ragazzo dall’aria vagamente italiana. Gli dico il mio nome. Lui mi dice di aspettare. S’infila in una porta che si affaccia sul retro del locale e lo sento urlare: “Cristian, c’è Mattia per te.” in italiano.
Cristian esce e mi porge subito la mano sorridendo, indossa un grosso maglione di lana di una taglia decisamente superiore alla sua, i capelli di un nero mediterraneo gli cadono sulle spalle e sulla fronte. Mi colpisce il suo volto: sembra un indio. Lo tradisce solo il marcato accento campano.
Mi dice di seguirlo, così possiamo chiacchierare più tranquillamente. Ci accomodiamo in uno sgabuzzino dove sono accatastate scatole di accendini BIC e altre di caffè. Il Tom Hemp’s non è solo un CBD Shop, ma anche un bar, servizio di catering e un Food Truck.
Cristian si appoggia ad un armadietto di metallo e aspetta che io accenda il registratore.
Ci sono già stato qui, tempo fa, quando si chiamava ancora Where is Jesus? L’hai scelto tu quel nome? È molto bello e strano.
È una storia lunga ed interessante.
Ti va di raccontarmela?
Certo. Parte tutto dalla mia formazione scolastica. Io ho studiato alle scuole cattoliche fino al Liceo, a Salerno. Immaginati una situazione in cui gli insegnanti sono tutti preti e suore, preghiere al mattino appena arrivati a scuola, a mezzogiorno prima e dopo aver pranzato e poi ancora prima di uscire, finite le lezioni. Quindi, ho sempre avuto addosso questo peso della Chiesa. Forse è anche per questo motivo che ad un certo punto mi sono interessato molto alle religioni, ai testi esoterici e a tutto ciò che gli gira attorno. Quando mi sono trasferito a Berlino, sono venuto a vivere proprio qui, in Wrangelstrasse. Alla fine della via c’è una chiesa cristiana, ci ho abitato di fianco ed ogni domenica mattina mi svegliavo con il suono delle campane. Succede che un giorno esco di casa e sul portone della chiesa, quello laterale, qualcuno ha scritto con dello spray bianco ‘Where is Jesus?’ e di fianco qualcun altro ha risposto ‘Jesus was a joke’.
Quando ho trovato questo posto era un ufficio. Se ne stavano andando perché l’affitto era troppo alto.
L’ho preso io, insieme ad un amico che divenne il mio socio. Quando mi sono messo a pensare a come chiamarlo, mi è venuto quasi naturale chiamarlo in quel modo. Anche perché io ho sempre pensato che Berlino è un luogo senza Dio, in qualche modo. La gente qui è rimasta indietro sotto certi aspetti, mentre sotto altri è una città futuristica, perché da quando è caduto il Muro, tutto ciò che nel mondo è successo in un secolo – il capitalismo e la gentrificazione in primis – ai berlinesi è successo in vent’anni. Ci sono sempre stati dei paradossi assurdi e allora ti viene automatico chiederti where is jesus?
C’era anche un’altra cosa, quando ho aperto io era il marzo del 2012, quindi c’era di mezzo anche tutto il discorso della fine del mondo, dei Maya, del ritorno di Gesù che poi forse è tornato e non ce ne siamo nemmeno accorti.
Qual è la storia del Where is Jesus?
Ai tempi, questa era un’area pregna di artisti o aspiranti tali. C’era tanta gente giovane che aveva voglia di fare qualcosa e trovava, nel quartiere, affitti relativamente bassi. Era un periodo interessante, però mancava un punto d’incontro vero e proprio. C’era il Tacheles, che però era in centro, lontano da qui. Quindi ho pensato di lavorare sotto quell’aspetto. E infatti, quando ho aperto, è arrivato un fiume di gente che voleva fare mostre e installazioni dentro il Where is Jesus?. I primi anni ha funzionato molto bene. Poi è arrivata la Redbull.
Ed è cambiato tutto, giusto?
Decisamente. Io sono sempre stato anticapitalista, ma quello era un periodo particolare anche per me e ho accettato di collaborare con loro.
Il progetto era quello di festeggiare i vent’anni di Redbull Music Accademy. Sono arrivati e mi hanno detto che avrebbero voluto costruire una sorta di studio all’interno del locale. L’idea era quella di avere una regia radio per un mese, attiva tutti i giorni.
Hanno invitato tanta gente sia di Berlino che da fuori. Hanno suonato qui Marcel Dettmann, Rolando, Egyptian Lover, giusto per citartene alcuni.
Mi hanno dato un sacco di soldi e poi se ne sono andati.
Il problema è che, da quel momento in poi, forse proprio per il fatto che è entrata qui dentro la Redbull, è finita la magia. C’erano due fattori importati: Berlino stava cambiando e la Redbull mi aveva cambiato completamente la faccia del locale. Prima che arrivassero loro era un posto molto ‘Berlin Style’, con le mattonelle per terra tipo cucina, i tavoli e il bancone li avevamo costruiti io e il mio socio. Dopo che sono passati loro è diventato un locale ultramoderno.
Vi hanno ristrutturato l’intero posto?
Sono venute venti/trenta persone a lavorare per giorni, tra muratori e architetti. Solo lo studio ha un costo che si aggira intorno ai diecimila euro.
E sono rimasti un mese.
Era già negli accordi che sarebbero rimasti un mese.
È stata una buona idea? Sono riusciti a fare quello che volevano?
Loro immaginavo sarebbero arrivate orde di ragazzini dentro il locale e quindi avevano predisposto tutto in base a quello: non avevano messo l’indirizzo esatto del posto, avevano chiamato i buttafuori per ogni evento organizzato, ma non avevano capito che siamo a Berlino ed è un posto diverso, proprio per la qualità e la quantità di eventi che offre la città.
Insomma, non ci fu tutto il clamore che si sarebbero aspettati. Quando se ne andarono, lasciandoci il locale così come lo avevano ristrutturato, per un po’ continuò a venire gente, attirata dalla scia lasciata da Redbull, poi le cose cominciarono a cambiare.
Avete perso i vostri vecchi clienti?
Sì, un po’ è quello e un po’ anche perché la città è cambiata. I prezzi degli affitti nel quartiere sono schizzati alle stelle e gli artisti sono scappati. Sono rimasti solo gli artisti grossi. Diciamo che si era perso lo spirito, il concept, e io stavo pensando di mollare tutto e vendere, poi mi venne un’idea.
Il CBD.
Io fumo erba da quando ho tredici anni, ora ne ho trentasette. Più della metà della mia vita l’ho passata a fumare. Sono stato in Marocco, in India e comunque in posti dove coltivano erba e fumo, perché mi appassiona molto.
Quando ho deciso di chiudere, un gruppo di miei amici stava, nello stesso momento, aprendo un grow shop a Salerno. Altri amici, a Nocera, stavano aprendo un’azienda che produceva prodotti alimentari alla canapa. A me tornò alla mente un progetto che mi era balenato per la testa diversi mesi prima: quello di comprarmi un Food Truck e vendere prodotti alla canapa. Per me fu una spinta a fare qualcosa, perché sono uno che non riesce a lavorare per qualcun altro. Mi sono detto “Cristian perché non provi a fare quello che ti è sempre piaciuto?”
Il problema è che in Germania la situazione non è facilissima per i grow shop e comunque io non sono tedesco ed è sicuramente più difficile stare dietro a tutte le tecnicità che ci sono dietro a questo lavoro. Allora mi sono orientato verso i prodotti alimentari alla canapa, utilizzando il Food Truck. A quel punto avrei dovuto vendere questo posto, ma ho pensato di tenerlo ancora e di aprire una cucina e fare la pizza.
Abbiamo cominciato a marzo 2017, un anno e mezzo prima ho comprato un furgone Mercedes della UPS e l’ho portato da una ditta fuori Berlino per farmelo trasformare. C’hanno messo un anno e mezzo, ma alla fine avevo il mio Food Truck. Contemporaneamente, sempre a marzo, è diventato legale il CBD anche in Germania e quindi abbiamo cominciato, parallelamente, a vendere prodotti di cannabis light anche qui dentro. A quel punto, avevo un Food Truck e un negozio di CBD.
All’inizio è stato difficoltoso, ma poi ci siamo messi in riga e abbiamo capito quale strada prendere e, guarda un po’, paradossalmente, abbiamo avuto più problemi con il Food Truck. Facevamo le richieste per partecipare ai festival e ci arrivavano dei moduli da compilare che erano assurdi: quanto è grande il furgone, quanto è alto, quanto è profondo, se è a gas, se è a benzina, che impianti per cucinare hai. Un casino. Pensa che ci chiedevano quanto pensavamo di consumare in Watt in tre giorni di festival. Ma io che ne so? Dipende da quante volte apro e chiudo il forno, quante pizze faccio. Allora dimmi tu piuttosto quante pizze pensi che possa vendere in tre giorni. A quel punto posso farti il calcolo dei Watt.
Mi sembra onesto.
Insomma, è stato un periodo duro, perché la maggior parte dei festival, quelli migliori, sono chiusi a gente che fa questo lavoro da vent’anni, quindi a noi rimanevano i festival minori e soprattutto lontanissimi da Berlino.
Una volta siamo andati ad un festival che si trovava a più di mille chilometri da Berlino, al confino tra Germania, Austria e Svizzera.
Il nostro furgone andava a 60 Km/h, dentro avevamo un forno da pizza da 300 Kg, più una friggitrice e altra roba. Un delirio.
Abbiamo fatto sei mesi avanti e indietro fra festival e fiere della cannabis. Oltretutto, in questi sei mesi, la Polizia ci ha fermato diverse volte e ovviamente, mi hanno tolto la patente.
Pensa che, ad un certo punto, mi hanno fermato per l’ennesima volta in Repubblica Ceca, mi hanno tolto la patente che, comunque, già non avevo, e mi hanno bannato dal Paese per tre anni.
Ahia.
Con il Food Truck abbiamo fatto di quelle cose che, se ci penso ora, non riesco a crederci. Ci abbiamo dormito dentro decine di volte, sdraiati per terra. Gli uragani, i palchi che volavano.
Una mattina mi sono svegliato che avevamo un palo di ferro del palco incastrato sotto il furgone, ad un centimetro dalle bombole del gas. Roba che potevamo far saltare per aria tutto il festival con noi dentro.
Diciamo che però il Food Truck è servito per farci conoscere.
E il negozio?
Siamo stati i primi a Berlino ad aprire un CBD shop e, a quanto pare, siamo stati i primi anche in Germania.
Come funziona aprire un CBD shop in Germania? È diverso dall’Italia?
È molto diverso. È più complicato. La Germania è il paese d’Europa con le leggi più restrittive in ambito di cannabis light. Sembra assurdo guardandosi intorno e constatando che la prostituzione è legale, i club sono molto più permissivi a livello di orari e di regole di sicurezza. Forse è legato al momento politico un po’ strano. In altri paesi europei, come la stessa Italia, la Spagna, l’Olanda, l’Austria, si sono aggiornati. Qui ancora no. In Italia fanno un adeguamento ogni tre mesi, renditi conto. Quindi se apri un CBD shop in Germania, significa che ti prendi il rischio. Forse è per quello che siamo stati i primi. Oltretutto, tutte le compagnie tedesche che vogliono intraprendere questa strada fanno programmi a due anni, perché fin quando non hanno la certezza che tutto può funzionare alla perfezione, non s’imbarcano. Sono fatti così.
Devi capire che non è un business “normale”. In questo campo sei soggetto a controlli serrati e a rischi legalmente grossi.
Quando abbiamo aperto il negozio noi, non c’era nessuno, tra avvocati ed esperti, che sapeva darci una minima certezza. Tutti pareri discordanti.
Ma tu cosa pensi, onestamente, del CBD? Voglio dire, mi hai detto che fumi hashish ed erba da quando hai tredici anni.
Io sono più per il THC, ovviamente, anche perché ho scoperto, già da quando ero ragazzino, di essere particolarmente iperattivo e incline al nervosismo. Fumare mi rilassa. Mi ha cambiato la personalità, l’atteggiamento e l’approccio che avevo, e che ho, nei confronti delle situazioni complicate. Quindi per me il CBD serve soprattutto di notte, quando non riesco a dormire bene. È quella la sua funzione, rilassare i muscoli e i nervi.
Penso che il mio problema con il sonno è dovuto soprattutto al fatto che, fumando moltissime canne, fumo anche moltissimo tabacco e dopo qualche ora che dormo, inizio a sentire l’astinenza da nicotina.
Oltretutto la nicotina fa l’effetto opposto. Sicuramente non ti rilassa.
Esatto. Quindi se mi prendo delle gocce di CBD durante la notte, quando mi sveglio, mi aiuta di più che alzarmi, rollare una canna e fumarla.
Sai qual è la questione? È che stanno facendo passare che il CBD fa bene e ti cura, mentre il THC serve per sballarti. E invece non è vero, spesso il THC, a livello medico, è più utile del CBD.
Voi auto-producete la canapa e i prodotti derivati che vendete?
Il problema è che io già sto rischiando molto a venderli, figurati a produrli.
In Germania, fino a qualche anno fa, la licenza per coltivare queste qualità di canapa, ovvero quelle permesse, ce l’avevano solo cinque/sei grandi aziende agricole sparse per il territorio tedesco. Succedeva che se tu volevi fare una coltivazione tua, anche solo per fare sperimentazione, non avevi nessuna possibilità.
Oggi, se sei registrato come agricoltore e hai una terra, puoi chiedere l’autorizzazione e te la danno solo per questi semi di canapa che hanno un basso contenuto di THC, ma anche un basso contenuto di CBD. Quindi, un negozio, per avere prodotti al CBD, che possono essere gli olii, i cristalli, gli e-liquid, dovrebbe investire anche in delle macchine che costano migliaia di euro, sia per coltivarla che per trasformarla. Le leggi in Germania ti inibiscono: è difficile avere l’autorizzazione per coltivarla e quando riesci a coltivarla puoi avere solo alcune genetiche riconosciute.
Per esempio, la canapa Carmagnola, che in Italia è permessa, in Germania è illegale, perché è quella che sbalza di più con il THC.
Comunque, in Italia, al momento è possibile coltivare e vendere delle tipologie di canapa che hanno lo stesso contenuto di THC, ma che hanno più CBD. Qui è impossibile, perché non vengono aggiornati gli elenchi.
Tutte le compagnie che sono nate in Germania stanno aspettando che si regolarizzi la legislazione sul CBD per procedere. È tutto un aspettare e la realtà è che in Germania un vero e proprio business non c’è. Il cannabis-business in Germania non esiste.
Non c’è mercato.
C’è un mercato, ma si appoggia ad una situazione delicata. Non è difficile solo in Germania, sia chiaro, lo è in generale in tutta Europa, proprio per il prodotto di cui si parla. Anche aziende che si occupano di un prodotto solo, come solo cosmetici o solo bio, si sono ritrovati ad avere dei ritiri. In Italia, per esempio, hanno ritirato dei prodotti alla canapa, credo fossero proteine, perché – essendo un prodotto indicato anche per i bambini e che quindi tollerava una soglia ancora più bassa – aveva uno 0,01% di THC in più rispetto a quello che ci doveva essere.
Comunque ci sono dietro grossi interessi, forse anche questo blocca il mercato.
Sì, io la canapa la chiamo l’erbaccia cattiva che non muore mai. Perché cresce ovunque, ci sono qualità di canapa che crescono in Siberia e altre a 50°, ci puoi camminare sopra, le puoi trattare male e loro restano lì. Ricrescono da sole e sono resistenti.
Per me sono piante aliene. Se tu la osservi bene, ha una geometria sacra. Sembra un tool che ci hanno portato da un altro pianeta e noi non siamo riusciti a sfruttare a pieno.
Quindi questa cosa infastidisce molte persone: le case farmaceutiche, le assicurazioni sanitarie, le case automobilistiche che, tra l’altro, in Germania sono fortissime.
Ma la gente che compra il CBD sa davvero cos’è?
Ma scherzi? Quasi nessuno viene dentro il negozio a chiederci determinate qualità o tipologie di CBD. La prima cosa che ci chiedono è ‘Cos’è il CBD?‘.
Noi proviamo a spingere il nostro marchio, ma ancora manca la conoscenza di base sul prodotto. È un mercato relativamente nuovo.
Da dove è partito il mercato?
Dalla Svizzera, perché lì, storicamente, ci sono sempre stati i canapai. Quando vivevo a Milano andavo in Svizzera. Mi compravo 30 grammi di Purple e loro mi dicevano che non potevo fumarla. Poi uscivo e me la fumavo.
Come fu possibile? Sfruttarono un buco nella legge che poi aggiornarono. Alcuni chiusero, altri vennero arrestati, ma non riuscirono mai a fermare la ricerca delle genetiche e la coltivazione. Quindi quando il CBD divenne legale in molti posti d’Europa, loro sfruttarono di nuovo questo buco, per fare quest’erba che è canapa per caratteristiche e origine, incrociandola e modificandola geneticamente con altre piante, per riuscire ad avere una qualità che avesse l’1% di THC e molto CBD.
In Germania c’è il limite di THC più basso d’Europa, lo 0.2%, ma la ricerca sta facendo passi assurdi: in Oregon sembra ci sia un’erba a THC free.
In Svizzera c’è un mercato vero, oltretutto valido economicamente. Ci sono aziende che coltivano, aziende che trasformano, aziende che bacchettano, aziende che distribuiscono, aziende che brandizzano.
Dopo la Svizzera, c’è stato uno sviluppo anche in Italia, grazie a EasyJoint che è stata la prima. Inizialmente si è aperto un mercato solo sui prodotti da fumare e con la qualità della canapa, ma la canapa vera, non come quella che c’è in Svizzera. In primis perché il limite di THC è più basso, lo 0,5%, e poi perché non c’era dietro tutta la ricerca e lo sviluppo trentennale dei canapai svizzeri.
Ora in Italia la qualità si è alzata parecchio, perché, paradossalmente, c’è anche un clima migliore per coltivare. Molti stanno investendo in Toscana, per farti capire.
In Germania siamo ancora indietro rispetto all’Europa e indietro anni luce rispetto agli Stati Uniti e al Canada. È per questo che non mi decido ad avere un prodotto mio.
C’è una cosa che non ti ho chiesto: cosa facevi prima di aprire il ‘Where is Jesus?’, appena arrivato a Berlino?
Il Dj. Ho suonato tanto i primi tempi a Berlino e ho fatto uscire anche due dischi. Poi mi è venuto un rigetto. Pensavo che la situazione a Berlino fosse diversa che in Italia, ma alla fine ci ho ritrovato le stesse dinamiche: per suonare devi conoscere qualcuno, poi a Berlino ti pagano davvero poco, suoni per cinque o sei ore in un posto dove tutti fumano e, anche se non bevi e non ti prendi droghe, torni a casa che sei distrutto. Ad un certo punto ho mollato tutto ed ora seguo veramente poco quella scena.
Un’ultima cosa, ti sei mai chiesto se stai facendo veramente la cosa giusta?
Sì, assolutamente. A volte penso che forse ho sbagliato tutto. Perché non c’è informazione da parte di chi dovrebbe informare. Prendi gli Stati Uniti, questo commercio si è sviluppato grazie ai ragazzini che si mettono a dabbare tutto il giorno con il wax e diventano scemi. Prima crackavano e ora dabbano. Il crack stimolava l’aggressività, mentre dabbando ti spegni. Socialmente non puoi più dare fastidio a nessuno, ma non è una cosa buona. È diventata un’arma che gli si è rivoltata contro. Invece di rendere consapevole la gente che questa è una medicina, una cosa che può salvare delle vite, fai forza su questo genere di cose. Quella è roba con il 99% di THC, la usano per gente a cui hanno tagliato una gamba, gente che soffre di epilessia, non va bene per i ragazzini di sedici anni che vanno a scuola.
La cosa positiva della Germania è che, non essendosi sviluppato molto il mercato del CBD da fumare, c’è molta più consapevolezza.
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