La notte è ormai fonda. Anita balla un tango appassionato con Mia, bellissima e dai capelli biondo fragola.
Un piccolo gruppo comincia a circondare le due ballerine ubriache. Maliziosa, Anita palpeggia il seno di Mia, che collassa in estasi sul pavimento. Ellen, la fidanzata di mia, lesbica di grande influenza all’interno del locale, si affretta ad aiutare la sua amante.
Un banchiere austriaco si aggrappa ad una gamba della Berber, provando a baciarle il fianco; svincolandosi dalla presa con un gesto naturale, la ballerina gli indica il divano, in modo da fare spazio a Mia. Dolli Mainz, moglie del banchiere, solleva la gonna mostrando le gambe ai soldati in sala; Anita prende nuovamente possesso della scena alzando la propria sopra i fianchi. I fortunati spettatori la applaudono. Il banchiere propone una gara per decidere le gambe più belle. Avvicinandosi all’affascinante Mia, Anita le stacca il fermaglio dai capelli, sciogliendoli lungo le spalle, e le pianta un lungo bacio in bocca. Ellen tenta di sottrarre Mia dalla sua corteggiatrice. L’aria crepita di tensione. Anita non ha intenzione di cedere e si lancia violentemente addosso alla rivale, urlando disperata, le mette le mani in faccia e la graffia. Qualcuno le separa e la trascina via. Anita protesta gridando di voler solo ballare! “Se vuoi ballare dovrai farlo nuda” suggerisce qualcuno. “Nuda” “Nuda” “Nuda”, adesso il gruppo di spettatori si è decisamente ingrandito. Con un gesto naturale la ballerina si sfila via dal vestito e comincia a girare su se stessa, usando il corpo come un’arma.
Eccola lì Anita Berber, che balla nuda in pubblico per la prima volta. Si ritirerà poco dopo in bagno disgustata, truccherà il viso pesantemente – occhi neri e labbra cremisi – e metterà su una maschera che non abbandonerà mai più del tutto.
Vedere una donna camminare per strada, di notte, nei primi anni del Novecento significava incontrare una prostituta. Durante la guerra gli uomini sono stati costretti al fronte, le donne hanno cominciato invece a lavorare e uscire di notte, appropriandosi delle strade come non avevano mai fatto. Le donne della repubblica di Weimar fumano e bevono in pubblico, parlano di sesso e droghe, rimpiazzano i vestiti vittoriani con gonne corte e capelli nero corvino, lottano per ottenere pari opportunità e riconoscimento. Nel 1925 il numero di impiegate in Germania toccherà un picco di 12 milioni: si tratta della più alta percentuale di lavoratrici in tutta Europa.
Nei primi anni ‘20 arriva però la “Grande inflazione”. Per poter riuscire a pagare le pesanti riparazioni della prima guerra mondiale viene stampata tantissima valuta e, come risultato, il Marco si svaluta velocemente. A gennaio del 1923 un chilo di pane costa 250 Marchi; a dicembre il prezzo raggiunge i 399 Miliardi; una foto della Berber arriva a valere 550 Milioni. È più facile bruciare banconote per scaldarsi che comprare carbone.
Uno dei pochi mercati che trae vantaggio da questa particolare situazione è il mercato del sesso. Per i turisti provenienti da Stati Uniti, Olanda e (soprattutto) Giappone, la Germania diventa un grande parco divertimenti a basso costo; Berlino viene inondata da oppio e cocaina, nei cabaret si offrono spettacoli di nudo. Questa situazione fa di Anita Berber l’icona femminile del tempo. Capelli rossi, occhi scuri da cerbiatta, corpo perfetto, le sue performance di danza sono solenni per lei, un po’ meno per il suo pubblico, una bellezza che ammalia sia uomini che donne.
Come ci è arrivata Anita sino a lì, nel firmamento delle stelle della vita notturna berlinese? Bisogna fare un salto indietro, precisamente al Novembre del 1918, quando viene firmato l’armistizio. Budapest è la capitale della nuova Ungheria indipendente, nella quale scoppia l’anarchia. Anita lascia l’Hotel Bristol di Vienna e si trasferisce a Berlino, dove i pettegolezzi sul suo comportamento stravagante la precedono. Con il trasferimento arriva la definitiva svolta erotica, che le farà raggiungere fama internazionale. La sua vita è un susseguirsi di scandali: Berber affascina per la sua ambiguità, per la sua bisessualità, per il suo uso smodato di droghe. Esotica, libera e androgina, sfida i costumi sessuali della capitale tedesca. La si poteva incontrare a una festa vestita solo di una pelliccia – tacchi di seta viola, il suo corpo nudo svelato dagli ondeggiamenti del mantello. Ma lei non vuole impressionare nessuno, è lì per divertirsi. Il suo non è un personaggio inventato per scandalizzare, lei è davvero così, le viene naturale scoprire il suo corpo in un momento in cui tutti i tabù sessuali stanno per cedere. Anita Berber è una figura di riferimento dell’Ausdruckstanz (Teatrodanza), una forma di danza espressionista che nasce in Germania come protesta alla danza classica, percepita come austera, meccanica e convenzionale, e che influenzerà la nascita della danza moderna. Questa forma di ballo viene descritta come “arte del movimento” perché più espressiva ed emotiva che virtuosa. Lo spettacolo è più spontaneo, disinibito e provocatorio (libero dalle regole della danza classica), in cui la donna è la vera protagonista.
Nell’autunno del 1918 il coreografo Pirelli dà una sterzata alla carriera di Anita lavorando alla sua immagine pubblica e al suo stile, mettendone a fuoco la sensualità adolescenziale. Il termine ‘sex-appeal’ viene introdotto fra i vocaboli comuni in Germania proprio in quegli anni e niente le si addice di più: partecipa alle feste selvagge dell’entourage di Pirelli dove artisti, aristocratici e militari si mischiano senza divisioni di classe. Anita Berber scopre il suo habitat ideale: è lei la regina della notte.
Richard Oswald, uno dei più importanti registi e produttori del cinema tedesco dell’epoca, ingaggia Berber per The Story of Dida Ibsen, in cui interpreta i tormenti di una donna che scappa da un matrimonio combinato proprio il giorno delle nozze, e che poco dopo resta incinta di un uomo dal carattere debole con cui apre un ristorante: alla fine sposerà un esploratore vecchio e sadico, che morirà di malaria insieme al suo precedente amore. Disperata, Dida tornerà a casa per chiedere perdono alla sua famiglia.
Inutile dirlo, il film riscuote grande successo. Viene proiettato nelle sale berlinesi per nove mesi di fila, subito dopo la fine della guerra. La scena scandalosa che confina il film al solo pubblico adulto entra nella storia del cinema: Galen, il marito dominante di Dida, decide di introdurre un cobra nel suo gioco d’amore. Lo fa scivolare sulla spalla attorno al collo di Dida. Proprio in quell’istante la serva Maria entra nel boudoir, con in mano un frustino, e ordina al padrone di mettersi in ginocchio. Il vecchio esploratore si getta a terra e viene frustato incessantemente da Maria. Galen geme nell’estasi sessuale mentre viene sottomesso, la serva ridacchia trionfalmente guardando la padrona.
Nel 1919 Anita è una diva del cinema erotico, addirittura rappresentata nelle figure di porcellana. Le sue scelte estetiche sono imitate dalle donne moderne: indossare pantaloni da uomo e il monocolo, allacciare un braccialetto d’oro alla caviglia, disegnare sopracciglia finte sulla sua fronte rasata, colorare l’ombelico, sniffare droga nei ristoranti, esporre pubblicamente il seno, sono tutte mode che fanno di Anita Berber una delle più influenti trend-setter dell’epoca. Il 17 Aprile dello stesso anno, a Vienna, scoppia la guerra civile: Anita vive nuovamente nella capitale asburgica per stare con le sue due amanti Gerda e Elsie, rispettivamente madre e figlia. Un nuovo scandalo fa parlare nuovamente di lei:
Dopo una notte di bagordi passata tra bar e locali notturni, Gerda e Anita barcollano ubriache verso casa. Litigano per via delle scappatelle senza fine di Anita. Tornate nella loro suite, all’Hotel ‘Bristol’, Gerda le si scaglia contro, graffiandole la fronte e strappando l’abito da sera bianco dell’amante. Anita spinge via dal letto la sua compagna gelosa, impugna il frustino e la batte brutalmente. Con un urlo vittorioso, ordina alla sua amante di svegliare Elsie e di portarla nella stanza. Gerda bacia i piedi di Anita e singhiozza di risparmiare sua figlia, ma è ormai iniziato un gioco sadico in cui Anita è la dominatrice mentre Gerda la sua schiava sessuale. Arresasi, Gerda bussa alla porta della figlia. Elsie trema quando viene portata nella suite: la quindicenne è testimone dell’ossessione depravata di sua madre e del potere erotico di Anita. Quella mattina, tutti e tre, a modo loro, perdono il senso dell’onore e dell’innocenza.
Elsie resterà per sempre affascinata dalla ballerina, e tenterà di avvicinarla in futuro. Ma è l’ennesimo scandalo all’Hotel Bristol: Anita torna quindi a Berlino, dove tutti parlano già di lei.
Durante l’inverno scalda le sue notti tra grandi alberghi ed eleganti ristoranti. Sniffa cocaina dalla sua spilla d’argento, in piedi accanto all’ingresso, nuda tranne che per un cappotto di zibellino, tacco alto e uno scimpanzé impaurito attaccato al collo. Applica strati di crema sul suo corpo per renderlo radioso. Esordisce spesso in sala chiedendo aiuto, vuole liberarsi dalla pelliccia e lasciare il suo torso scoperto.
Il suo amato scimpanzé muore soffocato durante una delle tipiche notti gelide berlinesi, a niente sono serviti i numerosi strati di abiti della padrona, che invece hanno peggiorato la situazione. Anita cade in depressione e torna nell’appartamento berlinese di sua madre a Zähringerstrasse.
Nella primavera del 1920 la ballerina si esibisce al teatro Schall und Rauch, in Bellevuestrasse. Il compositore Mischa Spoliansky apprezzerà il personaggio e scriverà delle musiche per lei, tra cui il tango “Morphine”. Il pezzo viene registrato su vinile e nel giro di poche settimane viene ascoltato ovunque nei salotti di Berlino. Il 13 giugno 1922, in un casinò illegale di Berlino, Sebastian Droste, poeta e ballerino connesso alla scena omosessuale, si ripresenta ad Anita: i due avevano lavorato insieme per “Dance of Morphine” di Spoliansky. Quando Droste decide di salutare la Berber viene scambiato per ‘Johans’, un arrivista che importuna la diva giorno e notte. La ballerina soffre di una pesantissima miopia ed è spesso importunata da arrivisti di ogni tipo. Anita quella sera gioca alla roulette, puntando sempre sul “13”: contro ogni aspettativa vince 2 volte su 3, ma continua a puntare illogicamente solo sullo stesso numero, chiedendo prestiti ai suoi amici, che si ritrovano ben presto senza soldi. Accecata dalla rabbia, Berber lancia un grosso posacenere di bronzo contro la testa del croupier, sale sul tavolo e lo colpisce all’occhio sinistro, facendolo svenire. Droste la intercetta e la guida giù, lungo la tromba delle scale. Il loro incontro inasprisce le cattive abitudini della ballerina. Sebastian Droste abusa delle sostanze stupefacenti preferite dalla diva: cocaina per stimolare nuove coreografie, oppio per poter prendere sonno e calmarsi. Lui ha lo stesso cuore di ghiaccio e la stessa personalità eccentrica di Anita e per questo fra i due si instaura subito una forte sintonia. Droste ha la capacità direttiva di cui Anita ha bisogno, insieme creano Tänze des Grauens, des Lasters und der Ekstase (Le danze della depravazione, dell’orrore e dell’estasi). Lo show comprende le performance “Suicide” “Morphine” e “Cocaine”. La coppia di ballerini vuole scioccare, metamorfizzando i loro tormenti sul palcoscenico. Nelle sue performance Anita ha il coraggio di includere episodi della sua vita reale, dandone un significato ancora più profondo. La coppia riscuote grande successo di pubblico, seppur Droste, brillante direttore e scrittore, venga considerato solo un mimo al fianco della compagna: Anita dà spettacolo per due, ogni fibra del suo corpo esprime qualcosa di complesso.
Il successo porta in dote un tour spericolato e pieno di scandali, ma questa volta non sono né sesso né droghe a far parlare della coppia. Droste è un truffatore incallito, promette spettacoli ‘esclusivi’ al Konzerthaus-Saal e, nonostante le restrizioni contrattuali, i due si esibiscono al teatro Apollo e al Tarabin. Il gioco si rivelerà più costoso del previsto: Anita e Droste vengono banditi dallo show-business, nessun teatro può impiegarli per due anni.
Pochi mesi dopo Sebastian Droste si autoproclama barone Willy Knobloch Droste, vende le pellicce e i gioielli di Anita e scappa a New York, dove riscuote grande successo. Anita è scioccata, distrutta; nonostante il bando continua a lavorare, fondando un suo corpo di ballo al femminile, la famosa Troupe Anita Berber. Si esibisce in locali storici di Berlino: Hotel Adlon Bar, Die Rakete, Der Toppkeller e il Weisse Maus.
Ad agosto del 1924 al Blüthner-Saal, nello stesso teatro in cui Anita ebbe i suoi primi successi, esordisce il talentuosissimo ballerino americano Henri Châtin-Hoffmann. Anita si innamora all’istante dello showman, lo aspetta in auto all’uscita del locale e lo sposa due mesi dopo. Si esibiscono ad ottobre in uno spettacolo di Rudolf Nelson Confetti, ma senza successo. La carriera della diva è ormai in fase discendente. Berlino sembra un posto ostile ad ogni personaggio legato all’Espressionismo tedesco. Nel 1925 una nuova corrente artistica entra in scena: la Neue Sachlichkeit (Nuova Oggettività), con cui gli artisti cercano la rappresentazione della realtà senza trucco. Sono disillusi e cinici, osservano le cose concrete con amara acutezza e con una lucidità descrittiva quasi glaciale, usano l’arte come un’arma, come un freddo specchio teso alla società malata e corrotta.
Per Anita, gli eccessi degli anni passati cominciano a presentare il conto: il viso ha perso la sua espressività, i movimenti non sono più fluidi, le guance violacee. Neanche il trucco pesante riesce a coprire gli effetti degli anni di abusi: adesso ci vuole almeno un’ora solo per il contorno occhi. La donna confessa al dottor Ludwig Levy-Lenz, un esperto di sessualità femminile, di non riuscire più a provare nulla. Dentro è fredda, gelida, insensibile. Una domanda su tutte la tormenta: “Perché sono incapace di amare?”. Lenz attribuisce i problemi di Anita al costante consumo di cocaina e morfina, ma anche alla grande solitudine. Che sia stato questo il segreto del successo? Del suo fascino immorale e glaciale?
A Maggio del 1926 Berber ed Chatin-Hoffmann tentano di nuovo la via del palco, con un secondo spettacolo che portano in alcune località europee, poi in Egitto e in Libano. Durante la tappa croata, di fronte alla chiesa di San Marco a Zagabria, un ufficiale si avvicina alla ballerina e la saluta cortesemente. “Non capisco la tua lingua barbara” risponde Anita in francese. Il gentiluomo cambia immediatamente lingua esprimendosi in perfetto francese. L’uomo che ha appena offeso si rivelerà essere Pietro II, Re di Jugoslavia. La Berber passerà sei mesi in carcere.
Due anni dopo, calmatesi le acque, Anita dà alla luce una nuova coreografia intitolata ‘Dance in White’. La notte del 13 luglio 1928, a Beirut, entra in scena coperta di una seta diafana, appoggiata sulle spalle: sembra un elegante uccello bianco. Si appresta ad eseguire il secondo dei tre jeté battus ma si accascia a terra agonizzante. Diagnosticata la tubercolosi, che poco tempo prima aveva causato anche la morte di Droste, Anita rigetta il responso medico. La salute non le interessa più, adesso vuole disperatamente tornare a Berlino, dove morirà fra statuette sacre e aghi di morfina.
A 90 anni dalla sua morte la sua eredità artistica è indiscutibile, ma per ottenerla ha pagato un prezzo molto alto. Spesso sola, osteggiata da istituzioni e rivali, sono le sue ossessioni artistiche a mantenerla sana mentalmente e a garantirle originalità. Etichettata più volte come perversa, rappresenta l’intera generazione del primo dopoguerra, intrappolata fra eccessi e povertà, fra lussi e solitudine. Ma Anita Berber è anche qualcosa di più, qualcosa che incarna i pensieri e i desideri di liberazione del mondo intero, che rifiuta gli orrori della guerra. Anita nella sua complessità ed emotività non rappresenta solo le sue contemporanee, il suo stile e gli scandali che l’hanno portata al successo la fanno sentire vicina ancora oggi in un momento così importante per il femminismo, in cui le donne lottano per ottenere pari opportunità e libertà sessuale. La figura di Anita Berber incarna il desiderio di un mondo senza restrizioni -incondizionatamente libero- per uomini e donne.
REDAZIONE
Wale Café
Hobrechtstrasse 24, 12047 Berlin