Agosto 1992. San Francisco.
Chris Carlsson è un visionario. La San Francisco Bike Coalition non si dimostra particolarmente entusiasta della sua proposta di organizzare un raduno spontaneo di ciclisti a cadenza mensile, che abbia come obiettivo quello di riprendersi le strade, fermare la crescita di città a misura di automobile, con le grandi strade a percorrenza veloce e le piste ciclabili relegate a decorazione laterale di questi grandi fiumi d’asfalto.
Eppure, il 25 settembre del 1992, una ventina di ciclisti si ritrovano sulle strade di San Francisco e, al motto di Reclaim the street, pedalano per la città sotto lo sguardo incuriosito dei passanti e quello infuriato degli automobilisti. Chris, che oggi ha capelli bianchi e lo sguardo felice rivolto sempre in avanti, un po’ si confonde nel gruppo, un po’ lo guida, nel giorno della nascita della Critical Mass.
Maggio 2017. Berlino.
Parto in bicicletta da Weissensee, zona a nord est di Berlino, leggermente in ritardo ormai per raggiungere la massa al punto di ritrovo, in Mariannenplatz, a Kreuzberg, da cui sono partiti alle 20.
Scendendo verso sud, seguo il gruppo attraverso l’applicazione Critical Maps, su cui i partecipanti possono registrare la loro posizione GPS, cercando di incrociarli lungo il percorso. Poi finalmente intuisco la direzione da prendere e devio verso est, per provare ad anticiparli, raggiungendoli nella zona di Friedrichshain.
Sono un po’ in difficoltà perché non conosco benissimo questo quartiere e attraverso una serie di stradoni molto larghi, come tipico delle zone ad est della città, con piste ciclabili impercorribili. Comincio a seguire anche dei ciclisti che pedalano giù per le grandi discese in bilico su velocissime biciclette a scatto fisso, convincendomi che anche loro stiano raggiungendo la massa. Magari hanno un amico che sta nel gruppo e che li tiene aggiornati per via telefonica sul percorso. Dopo qualche minuto però mi rendo conto che sto andando completamente a caso, quando uno dei ciclisti che ho seguito per un paio di chilometri e che mi sembrava il più plausibile partecipante alla Critical Mass, si ferma, lega la bicicletta e scompare in un portone.
Quando sto per rinunciare o perdere le speranze o fermarmi a bere una birra al parco sotto il sole che, per la prima volta dopo mesi, scotta sulla pelle, li sento arrivare dal fondo della strada. I lampeggianti blu. Suono di campanelli. Eccoli, che risalgono la Petersburger Strasse, come un’onda.
Mi appoggio con la mano sinistra al palo lercio del semaforo, tenendomi in bilico, perpendicolare alla strada che parte scoscesa per raggiungere un punto troppo lontano e in basso perché io possa vederlo. Mi pare di ricordare che giù in fondo ci siano le due torrette di Frankfurter Tor. Credo di avere gli occhi brillanti al sole. Scatta il verde, mi alzo sui pedali, ingrano una marcia più leggera e mi tuffo al centro del gruppo.
La Critical Mass (CM) è un movimento globale, nato dal basso, in cui convergono idee diverse, che utilizzano lo stesso mezzo per riversarsi sulle strade e alzare la voce, e farsi sentire. Una sineddoche di esseri umani, dove confondersi, come parte, con il tutto. Da quel giorno di settembre a San Francisco sono passati 25 anni e questa manifestazione ha toccato circa 300 città in tutto il mondo, in molte delle quali la partecipazione è incredibilmente alta, con migliaia di ciclisti che si riappropriano delle strade, bloccando di fatto il traffico, o meglio facendosi loro stessi traffico. We are traffic!, è un altro dei motti della manifestazione. Ad oggi, nella sola Germania, si contano circa 120 appuntamenti a cadenza mensile, di cui la maggior parte, come da tradizione, si svolge l’ultimo venerdì di ogni mese.
A Berlino, la prima CM ha avuto luogo il 26 settembre del 1997, con la partecipazione di non più di venti ciclisti che, a distanza di venti anni, si sono centuplicati.
Ma molto di più dei numeri, quello che davvero conta in questo movimento è la bellezza della varietà, che qui, di certo non inaspettatamente, sale in alto fino a toccare anche picchi di vera e propria follia, generando momenti divertenti ma anche attimi in cui la tensione è forte e palpabile.
La prima volta che ho partecipato ad una CM berlinese è stato nel maggio del 2015. Era una giornata di sole intenso per cui sulla piazza ci eravamo ritrovati in molti, sotto la spinta euforica di un tramonto in ritardo. Me ne stavo ferma in piedi accanto alla mia bicicletta, che al tempo era una mountain bike nerissima e decisamente troppo pesante. Il gruppo, in attesa della partenza, occupava l’intera piazza, bloccando, dalle vie laterali, il passaggio di alcune automobili, in cui le persone se ne stavano incastrate come sardine in scatola. All’improvviso uno degli automobilisti, abbassato il finestrino, ha cominciato a inveire prima verso la massa poi, aperto lo sportello, è sceso e, con lunghi passi decisi, si è diretto a caso verso questo ciclista che era fermo immobile dall’altro lato della strada, gli ha tirato uno schiaffo, forte, in pieno volto, facendolo cadere a terra. Poi è tornato nella sua macchina ha fatto inversione e se ne è andato sgommando.
La Critical Mass non ha un percorso prestabilito. C’è un punto d’incontro, almeno nel caso di Berlino ci sono gruppi facebook che segnalano l’evento e tutta una serie di avvenimenti correlati, c’è un orario e ci sono le biciclette, naturalmente. Vissuta da dentro assomiglia in effetti più ad un miracolo. Non c’è un capo, qualcuno che prenda le decisioni, qualcuno che dica “bene ora dobbiamo girare a destra” oppure “ok al prossimo incrocio andiamo a sinistra”, non ci sono organizzatori ufficiali. Si inserisce di fatto in una zona grigia all’interno della quale si sta in equilibrio tra legalità e illegalità, e contro la quale la polizia non può fare molto altro che non seguire il gruppo coprendone i lati in sella alle motociclette con i lampeggianti accesi e cercare di intervenire, dove possibile, nelle continue dispute e discussioni, più o meno accese, con automobilisti e con gli altri utenti della strada.
– Se vogliono scrivere di Critical Mass, i giornalisti devono scendere in strada, entrare in contatto con i ciclisti durante la pedalata, andando a caccia della storia invece che assemblarla senza muoversi dalle proprie scrivanie – si legge nel libro Critical Mass, L’uso sovversivo della bicicletta, curato da Chris Carlsson, proprio lui. Ed è una verità assoluta nella quale si riconosce la totale assenza di una gerarchia. Non ci sono portavoce, non c’è un ufficio dove andare a raccogliere informazioni. E’ una forma di anarchia non commercializzata e non commercializzabile, non assoggettabile alle regole del vivere “normale”. O che siamo stati costretti a trasformare nella normalità.
Ci si muove su una serie di regole che sono nate internamente ai diversi gruppi e con loro si sono sviluppate in una specie di evoluzione darwiniana del ciclismo da Critical Mass. Innanzi tutto il gruppo deve adattare la sua velocità in modo tale da non lasciare buchi al suo interno, per impedire che le automobili costrette a fermarsi agli incroci vi si possano inserire, spaccando il gruppo e creando pericolose situazioni di tensione. Per la stessa ragione è utilizzata comunemente la tecnica del corking, una tattica che consiste nell’azione di alcuni partecipanti che si posizionano agli incroci, di fronte alle automobili provenienti dalle strade laterali, bloccando il traffico e permettendo il passaggio del gruppo, compatto.
Alla luce di tutto questo viene ancora più da chiedersi: che cosa spinge tutte queste persone a partecipare? Non c’è un bombardamento dei media – una delle cose che mi capita più spesso, nominando la CM è di ritrovarmi a spiegare cosa sia. Non c’è un tentativo di mettersi in mostra, di scalare alcun tipo di vertice, di apparire sui giornali. Non c’è niente di riconducibile ai normo-desideri della società odierna. C’è solo “sentire che sei vivo e sveglio, mentre stai partecipano al processo di definizione di una vera e propria striscia incontaminata di spazio pubblico, autonomo e autogestito”, dice Mr. Charlsson.
Per quanto mi riguarda, c’è prima di tutto l’atto importantissimo di prendere un’iniziativa personale, partecipando ad una manifestazione che non protesta per cambiare le cose ma le cambia e basta.
La Critical Mass berlinese di maggio ha visto la partecipazione di migliaia di ciclisti per un percorso di circa 55 chilometri che ha attraversato buona parte della città, rallentando il traffico per circa 4 ore e mezza, con la sua carovana allegra, buffa e variegata. Cargo-bike con installati grossi impianti che trasmettono musica techno, ciclisti iper-professionali, con le loro biciclette dalle linee pulite e i colori sgargianti, anziani, bambini, turisti con le biciclette prese a noleggio, mezze scassate, che ad ogni pedalata producono tutto un cigolio che ti costringe ad allontanarti nel gruppo, allungandoti in pericolosi slalom, per salvarti le orecchie. Un triciclo con dietro un grande contenitore frigo e una ragazzina, seduta sopra, che serve birre e bibite gelate ai ciclisti intorno, mentre il padre sospinge la costruzione faticando sui pedali.
E allora non risulta possibile lasciare fuori dal computo delle motivazioni che portano tutte queste persone a mettere la testa fuori casa e a pedalare per molti chilometri in un venerdì sera dopo un’intera settimana di lavoro quella più ovvia. Il puro e semplice divertimento personale, la grande minaccia che Critical Mass pone al sistema, alimentando la capacità delle persone di condividere un piacere in maniera totalmente gratuita, fuori da una qualsiasi dimensione commerciale. Insomma, alla fine, alla Critical Mass ci si va anche solo perché è una figata pazzesca.
Quando decido di abbandonare la massa per raggiungere alcuni amici ad un appuntamento sono passate circa due ore. Siamo appena arrivati, scendendo da Prenzlauer Berg, al quartiere di Mitte. Mi fermo a lato della strada mentre il gruppo sta girando a destra imboccando la Torstrasse, ad aspettare che passi. Devo attendere circa quindici minuti prima che la parata si chiuda con gli ultimi ciclisti a confondersi con le prime automobili. Quando scatta il verde attraverso la strada verso Alexanderplatz. Mi accorgo che sto sorridendo e pedalando al centro della strada, come fosse una cosa che sento più mia. Uno spazio che sto occupando per diritto.
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Foto di copertina: © Fahrrad Bande
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