Una distesa di ombrelloni macchia la prospettiva con colori sgargianti. Non uno è identico all’altro, però si sfiorano, talvolta si toccano, obliqui si sorreggono. Non cadono mai.
Sono sudato. Il caldo e l’umidità della U-Bahn mi si sono appiccicati addosso come pellicola Domopak sulla pancia di un obeso, ma qui ogni odore viene nascosto sotto un tappeto profumato di ravioli al vapore e alla piastra, latte di cocco, mango, noodle, phat thai, kai phat met mamuang himmaphan, phat khana mu krop, khao pad american (che poi è l’american fried rice), giusto per citare qualche tipico cibo thailandese impronunciabile.
Non c’è solo cibo thai però, nonostante il Preußenpark, nel quartiere di Wilmersdorf, sia stato rinominato Thai Park proprio grazie (oppure a causa) del rituale appuntamento al quale ho portato i miei genitori, per un mese in vacanza a Berlino.
Il Thai Park esiste, durante i mesi estivi, tutti i giorni, ma esplode soprattutto nel week end.
La quasi totalità delle bancarelle, comunque, propone cibo orientale. Solo un’unica, spavalda, isoletta verde-oro propone Caipirinha a tre euro e cinquanta. La bandiera brasiliana sventola sulle teste di tutti, confondendosi con i colori degli ombrelloni.
Centinaia di persone sono stravaccate nell’erba rada e secca, altre passeggiano lungo i banchi improvvisati. La vera attrazione di questa domenica annoiata.
Mio padre dice: Sembra di essere a Rimini.
Chiedo: Perché, com’è Rimini?
Gli unici ricordi che ho della città di Fellini, sono sfocati in pochi flash acidi di una lunga notte romagnola.
Mio padre risponde che è così, però con il mare e con i costumi da bagno e con le tette.
Le tette ci sono anche qui, in realtà, poche e bianchicce come mozzarelle.
Mia madre ride e dice qualcosa che va perdendosi tra lo sbracciarsi di taluni e i richiami urlati dei venditori ambulanti.
Ho detto loro che li avrei portati a vedere qualcosa di meno turistico. Una Berlino diversa, più cool, gli ho detto.
Eccola qui.
Mangeremmo ogni cosa che incontriamo lungo la nostra passeggiata perlustrativa, tanto sono invitanti le varie cibarie, mio padre si mangerebbe persino gli ambulanti, conoscendolo, se non fosse che sono le quattro del pomeriggio e abbiamo pranzato talmente tanto che mia madre, dopo il dolce, ha dovuto cucinare di nuovo del riso in bianco, accompagnato da acqua e limone, per metterci a posto lo stomaco.
Ad ogni modo, qualche sfizio ce lo togliamo: Io mi prendo qualcosa che non saprò mai più pronunciare nella mia vita, ma che fa più o meno così: puatoo mikadou taimaaah tah.
Ok, uno di quelli, grazie.
Che poi non è nient’altro che un dolce avvolto in enormi foglie di banana chiuse a triangolo. Il cuore è composto da qualcosa che ricorda la consistenza della frisella imbevuta nell’acqua con il sapore di marzapane imbevuto nella benzina. L’esterno è gelatina di latte di cocco. È buono.
Mio padre si toglie lo sfizio di prendere una birra, invece.
Almeno prendila, che ne so, thailandese, giapponese, orientale, gli dico.
No, una Berliner Pilsner.
C’è una cosa che non ho premesso: ho usato il termine bancarella fino ad ora e l’ho fatto impropriamente, perché di norma la bancarella è una cosa del genere, quindi lontana anni luce da delle cassette di plastica o delle borse frigo rigide poggiate a terra, sormontate da ombrelloni da spiaggia, ma noi continueremo a chiamarle bancarelle per comodità.
Dunque ci imbattiamo ne La Bancarella, quella che tutti cercano, quella che tutti aspettano di scovare. La bancarella più amata e più odiata dai berlinesi. Leggenda narra che La Bancarella cambi posizione all’interno del perimetro adibito al mercato ogni due ore, così che gli avventori si confondano e si rigettino nella furiosa caccia al tesoro.
La Bancarella è la regina del Thai Park e, come ogni sovrana che si rispetti, viene protetta da un venditore ambulante speciale, che da questo momento chiameremo semplicemente l’Ambulante. Lei, perché è una ragazza, è una sorta di Sven Marquardt (il temile bouncer del Berghain/Panorama Bar), solo che non ha i tatuaggi sul volto ed è di origine asiatica. Indossa occhiali da sole con una certa spavalderia e ti giudica senza dirti una parola. L’Ambulante decide se puoi stare o se te ne devi andare, il che significa allontanarti di almeno quattro metri.
Il vero tesoro de La Bancarella però, è ciò che vende La Bancarella. Questa è la verità.
Insetti. Insetti da mangiare. Insetti cotti da mangiare. Non ho ancora capito se siano fritti, alla piastra o entrambi.
Quando ho chiesto al mio amico Giò: Di cosa sanno gli insetti de La Bancarella? Lui mi ha risposto Di patatine. Sanno di patatine.
Premetto: non li ho mangiati. Quindi non aspettatevi che mi metta qui a raccontarvi minuziosamente il momento in cui ho sgranocchiato le larve come se fossero arachidi o quello in cui ho succhiato l’interno di una cavalletta, staccandole la testa manco fosse una fiala di vetro. Niente del genere. Non ce l’ho fatta nessuna delle volte che sono stato al Thai Park.
Su di un pezzo di cartone, appoggiato ad una cassetta di legno, spiccano due parole scritte con un Pilot nero: “No Photo”. Ecco un altro richiamo alla politica dei club berlinesi.
Prendo mio padre per un braccio e lo trascino davanti: Guarda qui, gli dico. Insetti, gli dico. Poi mi volto verso di lui e con un primissimo piano dei miei occhi perfidi aggiungo: Si mangiano. Li compriamo?
No.
C’è un altro avventore che si sporge verso l’Ambulante, curva la schiena pur mantenendo il braccio sulle spalle della sua bella fidanzata. Osserva la varietà di insetti, poi il volto disgustato della ragazza, poi ancora gli insetti, poi ancora lei, poi allunga l’indice ad indicare: voglio quelli.
Sono scarafaggi, voglio dire, sembrano degli scarafaggi, ma io che ne so, in realtà. Potrebbero essere patatine bruciacchiate, oppure Goleador alla liquirizia con le zampe.
Mio padre è come se fosse l’unico spettatore di un freak show. Non sta nella pelle.
L’Ambulante, da dietro i suoi imperscrutabili occhiali chiede al ragazzo se invece non preferisce provare questi altri, costano un po’ di più ma sono più buoni. E più grossi. Sono più grossi, capito?
Il testosterone del tizio oppure l’importanza che attribuisce alla propria ragazza non sono abbastanza perché si decida a passare al lato oscuro, ovvero acquistare e poi mangiare degli insetti che secondo me sono dei piccoli alieni, di una dimensione pari a quella di un Sofficino Findus, con probabilmente la stessa quantità di ripieno, ma non credo la stessa qualità.
No, preferisco questi piccoli.
Bravo ragazzo, non si mangiano gli alieni.
Avendo perso dei punti machismo nei confronti de La Bancarella – e probabilmente della sua signora – il ragazzotto tenta il tutto per tutto, decidendo di divorarsi gli scarafaggini davanti a noi, soprattutto davanti a mio padre.
Dovete immaginarvi la scena: mio padre da una parte, io di fianco, lui davanti a mio padre, la sua ragazza davanti a me. Lei è disgustata, io arrapato. Tutta l’attenzione di mio padre è sulla bocca e sulle dita di lui, che dal vassoietto di cartoncino si portano l’esserino alle labbra, le quali si richiudono e si riaprono un istante dopo. La bocca è vuota. Cioè, l’ha ingoiato. Che loser.
Mio padre gli fa un cenno con la testa come a chiedergli: Com’è?
Quello lo guarda, rimette il braccio sulle spalle della fidanzata e sorride, porgendole il vassoio tronfio come un pugile che vince al primo round per KO. Lei potrebbe vomitare e invece si volta con una smorfia e si allontana da La Bancarella e dal suo uomo, scivolando via dall’abbraccio.
Sì, ma devi masticarli, stronzo. Vorrei dirgli, ma non c’è bisogno. Tanto stasera non scopi.
Un’altra cosa che fa molto assomigliare il Thai Park ad una spiaggia affollata, che sia a Rimini o in un’altra località balneare italiana, sono i bagni pubblici del parco.
Per diversi motivi: c’è gente che ci va a piedi nudi, gente che ci va per cambiarsi e gente che ci va per farci all’amore.
La disgrazia è che i bagni per le donne sono solo due e quando mia madre ci prega di aspettarla e di tenerle la borsa che deve fare pipì, noi corriamo a fare una scorta di quattro birre a testa. Per l’attesa.
C’è più coda che al casello di Genova-Bolzaneto durante l’esodo d’agosto.
Il cesso delle donne del Thai Park è da bollino nero.
E insomma, finisce che incontriamo degli amici americani in compagnia del mio amico Giò che prestano ai miei genitori degli asciugamani da spiaggia e ci si mette a chiacchierare e a guardarci intorno.
È bello questo Thai Park ora che il sole scende oltre gli alberi e poi ancora più giù di là dai palazzi e il cielo si tinge del colore del tramonto, che a Berlino è sempre una scommessa, ma quando si mette d’impegno ti porta via i pensieri tanto è bello. Poi è l’ora di andare, di ritornare nella città, le bancarelle stanno sbaraccando, si vendono le ultime cose rimaste e poi via. Restano in pochi, qualche coppietta innamorata, famiglie con i figli piccoli che spingono da soli i propri passeggini, la massaggiatrice ufficiale del Thai Park spezza le ultime ossa, incastra gli ultimi gomiti, lussa le ultime clavicole. Una trentina di peruvian giocano a tombola gridando i numeri come se dovessero venderli a qualcuno. Aspetto ancora un attimo, sperando che qualcuno urli Tombola! perché vorrei sapere come si dice in peruviano, così posso giocarmelo a Natale quando sarò a casa dei parenti.
Alla fine mi alzo e dico a mio padre: A Rimini mica ce l’hanno un tramonto come questo.
Lui mi batte una mano sulla spalla, mi sorride e per un attimo, mi sembra di vedere tra gli incisivi una zampa di scarafaggio.
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