È un lento venerdì pomeriggio sulla Skalitzerstrasse, nel quartiere di Kreuzberg. Roberta mi aspetta in un bar. Anche qui si può trovare il Solimate, la bevanda solidale a base di yerba che l’imprenditrice italiana ha da poco lanciato sul mercato insieme al socio Patrick.
Entrambi con esperienze abitative nei cosiddetti Hausprojekt berlinesi (le case occupate che sino alla prima decade degli anni 2000 hanno costituito uno dei tratti distintivi della cultura urbana di Berlino) si sono conosciuti una decina d’anni fa e alla fine del 2014 hanno scoperto di essere entrambi insoddisfatti dei progetti a cui stavano lavorando. Patrick all’epoca si occupava a tempo pieno di un bar, la storica Kneipe Kptn. A. Müller di Friedrichshain, ormai chiusa da qualche mese. Roberta invece organizzava eventi culturali, collaborando anche con la Berlinale. La volontà era quella di dare una svolta alla loro esistenza, concentrandosi su un’attività che avesse un risvolto politico-sociale, soprattutto che potesse fare qualcosa di concreto per i rifugiati. „Abbiamo pensato a un modo per sostenere le associazioni che già si occupano di profughi e migrazione – spiega Roberta- lavorando a un progetto che si autofinanziasse, un social business che fosse in grado di portare beneficio ad altre iniziative di pubblica utilità.”
Nasce così l’idea di portare sul mercato un prodotto fair trade, alla portata di tutti: un drink che si beve a qualsiasi ora e che chiunque può permettersi. Vengono fondate una società a garanzia limitata, la Solidarity Drinks GmbH, un’associazione non lucrativa di utilità sociale, la Solidrinks e.V., e delle campagne sociopolitiche, i Solishout, che rispecchiano l’anima del progetto.
Il primo pensiero è quello di creare una cola, una bibita che tutti i rifugiati bevono e conoscono, ma con prodotti biologici, fair trade e regionali. Dopo vari tentativi di trovare una ricetta che potesse soddisfare la richiesta del mercato, ci si rende conto che con sostanze esclusivamente naturali non è possibile creare un prodotto per il grande pubblico. Si punta così sul mate, una bevanda simbolo della capitale tedesca, che gli stessi profughi appena arrivati in Germania hanno imparato a conoscere, cominciando a berla abitualmente.
Patrick va alla ricerca della “formula perfetta” insieme a Döhler, azienda certificata bio e fair trade che si occupa di creare ricette per alimenti e bevande. Decide di usare dello zucchero di canna biologico proveniente da una cooperativa del Paraguay, un infuso di foglie di mate, caffeina e aroma di tè nero. L’azienda confeziona quindi diverse miscele con gli ingredienti prestabiliti e i soci organizzano dei blind tasting dove gli invitati lasciano il loro giudizio in base all’odore, al sapore e al contenuto di gas rispetto alle bevande in commercio. Dopo sei mesi di tentativi, nasce una bevanda molto più forte rispetto a quello che offre la concorrenza: gli ingredienti finali sono infatti un infuso di foglie di mate tostate al 3,6%, zucchero di canna, caffeina e pochissimo aroma di tè nero. Per comprendere le proporzioni, il famosissimo ClubMate della Loscher Brewery, fra i soft drink più venduti in Germania, utilizza l’aroma di mate appena allo 0,4%.
In pochi mesi l’idea prende forma e si parte con l’imbottigliamento alla Brauerei Hartmannsdorf, un piccolo birrificio indipendente nei pressi Chemnitz, 300 chilometri a Sud di Berlino: nasce il Solimate.
Chi compra una bottiglia di mate solidale non solo contribuisce a finanziare associazioni che si battono sul campo per i diritti dei rifugiati, ma porta anche in giro per le strade di Berlino slogan di campagne contro il razzismo o per diritti umani e civili: è il cosiddetto Solishout, che porta sull’etichetta delle bottiglie claim come “Flüchtlingsrechte? Menschenrechte!” (Diritti dei rifugiati? Diritti dell’uomo!), motto scelto con l’associazione KuB, il servizio di assistenza per migranti e richiedenti asilo molto popolare fra i rifugiati a Berlino.
“A un tratto ci siamo trovati in difficoltà, perché all’inizio volevamo portare alla luce un tema allora ancora di nicchia in Germania, quello dei rifugiati. E invece, dopo lo scoppio del conflitto in Siria, siamo rimasti in mezzo a un’accesa discussione politica” racconta Roberta. “Da un lato adesso facciamo meno fatica ad affrontare il tema, dall’altro è un problema, perché bisogna sempre stare attenti ai toni; il tema è talmente presente nel dibattito pubblico che a volte le persone non hanno più voglia di confrontarcisi. In più ogni tanto avverti dello scetticismo. All’inizio avevamo paura che la gente pensasse il nostro fosse un modo per sfruttare la situazione e vendere un prodotto sulle spalle dei rifugiati.”
Roberta non solo si occupa del design grafico del progetto, ma insieme a Patrick e agli altri collaboratori passa di locale in locale per far conoscere la nuova bevanda, organizzando tasting gratuiti e contattando grandi distributori nel campo della gastronomia: ad oggi il Solimate è presente in 52 locali, 19 tra späti e venditori di bevande e 12 rifornitori, mentre una mappa interattiva sul sito permette di seguire in tempo reale gli aggiornamenti sulle nuove attività che scelgono di commercializzare il Solimate.
Nonostante Solidrinks si sia ripromessa di creare strutture di lavoro solidali, al momento tutte le sette persone coinvolte nella produzione e nella distribuzione del prodotto lavorano su base volontaria. I rifugiati sono due. Uno è sposato in Germania, ha i documenti e collabora con un contratto di Praktikum (lo stage italiano), l’altro non è ancora in possesso della documentazione necessaria per poter stipulare una collaborazione ufficiale, dà quindi una mano in forma completamente volontaria. L’impegno che Patrick e Roberta si sono presi sul lungo periodo è di riuscire ad avere il 50% degli impiegati asilanti e dare il 100% dei profitti ai progetti che sostengono. Prima devono però restituire i finanziamenti ricevuti, così da avere una stabilità finanziaria e degli utili da poter ridistribuire. Al momento 15 centesimi sul prezzo di ogni bottiglia vengono investiti nello sviluppo del modello di impiego per i richiedenti asilo e altri 5 centesimi nei progetti di associazioni partner che operano sul campo con i profughi.
“A volte anche i bar che si spacciano per solidali fanno dei discorsi puramente commerciali, anche perché associano tutto ciò che è solidale a ciò che è economico, mentre il nostro prodotto non è economico.” Spiega ancora Roberta Di Martino. “Quando ti occupi di vendere un prodotto pensi anche alle persone che lo compreranno e allora ti immagini tutti questi collettivi, questi gruppi di solidarietà, e pensi che ti sosterranno, mentre poi nella realtà non lo fanno, e certamente ci rimani male. Un conto è se parli di beni di prima necessità, come la casa ad esempio. In quel caso non c’è discussione che tenga, il prezzo deve essere basso. Ma qui stiamo parlando di un bene di consumo, di un prodotto che è, come dire, un lusso. E noi lo vendiamo al prezzo di produzione, che è alto perché vogliamo produrlo in un certo modo, pagare chi ci lavora e sostenere attraverso la vendita dei progetti di sostegno alle politiche di accoglienza.”
Le soddisfazioni, comunque, arrivano in ogni caso, soprattutto da parte dalle persone più vicine al progetto. Perché, come si legge sulla pagina web ufficiale di Solimate: “Quello che lega il nostro team è la visione di un mondo in cui non fa differenza da dove vieni o dove vai. Ora siamo tutti insieme, qui.”
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