George Condo cosa avrebbe pensato vedendo questa scena? Quando entro un lui e una lei si baciano in modo appassionato davanti a un quadro di Picasso. Non si sentono osservati, e del resto come potrebbero?
Quel volto dipinto ha un occhio che guarda verso la finestra, di profilo, e l’altro occhio puntato dritto su di me. Una donna all’apparenza deforme eppure capace di cambiare prospettive e punti di vista sul mondo; non solo i suoi ma anche quelli di chi guarda.
Il fatto che Picasso abbia deciso di rappresentarla così, facendo saltare ad uno ad uno i canoni su cui si reggeva l’arte fino a poco prima del suo avvento, è qualcosa di molto emozionante, ancora oggi.
Se lo è per me, figuriamoci per un giovane pittore del New Hampshire, rifiutato dalla squadra di baseball locale, cresciuto tra le mucche e le strade di una piccola cittadina, e intento ad evaderne i confini disegnando un po’ ovunque, su qualsiasi cosa gli capitasse a tiro. Non a caso, benché proprio quello stesso giovane da lì a qualche anno si sarebbe trovato a girare i club dell’East Coast come bassista al seguito di un gruppo musicale punk avant-garde, in camera non tiene appesi i manifesti di qualche idolo rock.
Come tutti gli adolescenti ha sì due poster sul letto, da guardarsi e da tenersi vicini, ma uno celebra l’avvento del Cubismo e l’altro è invece la riproduzione di una montagna violetta, con un sentiero che si perde in un declivio e una casa solitaria. È un quadro molto noto di Cezanne: La montagna Sainte-Victorie.
Il ragazzo in questione si chiama George Condo e, all’epoca di quei manifesti, ha circa 14 anni. Cezanne e Picasso, su tutti, sono i suoi punti di riferimento, i maestri che, da allora in avanti, studierà sui libri e dal vivo, cimentandosi prima nell’imitazione, poi assimilandoli, quindi elaborando uno stile diverso e personale, capace di rivelare i modelli ma sotto la spinta di un’interpretazione totalmente nuova.
E non potrebbe essere diversamente.
George Condo nasce nel 1957 e cresce in un’America il cui immaginario è fortemente dominato dalla cultura pop. Scopre Kerouac, di cui in seguito illustrerà anche la copertina di un libro, incontrerà Basquiat, lavorerà con Andy Warhol…
Negli anni ’80 il cubismo, che agli inizi del secolo aveva fatto irruzione nella storia dell’arte per scardinare con forza le convenzioni della raffigurazione “classica”, è ormai alle spalle. Rappresenta già la tradizione, così come i movimenti artistici che da Cezanne a Matisse lo avevano preceduto.
Condo vi instaura un legame imprescindibile, ponendosi come l’alunno (o il figlio) che abbia bisogno di rapportarsi ai suo maestri (o padri). Il linguaggio della tradizione diventa anzi per lui una sorta di “vocabolario”, come avrà a dire, da cui attingere “parole” da inserire in seguito nel suo lessico personale, con uno stile un approccio tecnico-formale che appartengono pienamente agli anni di cui fa parte. Condo ama e studia vorticosamente i maestri ma per conquistarsi – e poi mettere in crisi – l’eredità del loro sapere.
Con l’intenzione di portare in luce questo singolare rapporto, nasce l’esibizione Confrontation in mostra al Berggruen Museum di Berlino fino al 12 Marzo 2017.
All’ampia retrospettiva dei lavori di George Condo, infatti, si affianca un altrettanto nutrito numero di opere dei maestri dell’arte moderna: Picasso su tutti e poi Cezanne, Matisse, Paul Klee, Braque…
L’intento è proprio quello di rendere scoperti i modelli cui George Condo si ispirò per elaborare la sua originale interpretazione della storia dell’arte che lo aveva preceduto, rivelando al tempo stesso il processo di straniamento cui li sottopose, là dove “Picasso incontra i Looney Toons”.
Citazioni del repertorio cubista convivono infatti con elementi mutuati dalla cultura pop: i personaggi di Condo sono maschere grottesche che prendono in prestito gli “occhi” di Mickey Mouse o Bugs Bunny o le bocche delle eroine dei cartoni animati.
Bocche e denti sono anzi i particolari anatomici che spiccano in ogni rappresentazione di Condo. Denti sporgenti a volte piccoli come pietruzze o raddoppiati e stretti in una mascella che li digrigna, oppure, ancora, corona di una gota grossa come un palloncino e solo apparentemente inerme.
Occhi e bocche, come nel Cubismo, sono spesso dislocati in zone diverse del volto ma quello di Condo è una sorta di “cubismo psicologico” in cui i personaggi rivelano attitudini e stati emotivi differenti impressi nel medesimo volto: “Come quando ci si trova su un autobus con un passeggero che urla, qualcun altro che scherza al telefono, qualcuno che dorme, qualcun altro che piange…”.
Se Picasso rappresentava l’oggetto da prospettive diverse, scomponendo la figura nelle sue forme originali, Condo recupera la lezione del cubismo per adattarla agli stati psicologici dei suoi characters: isteria, gioia, disperazione, rabbia sono rappresentate spesso simultaneamente, finendo così per dare conto delle lacerazioni insite nell’uomo contemporaneo. L’approccio “fumettistico” dei mezzi espressivi, tuttavia, agisce come filtro ironico, determinando sempre un’ambivalenza in chi guarda.
Gli “Old fakes Master”, come li avrà a definire Condo stesso, spiccano in carrellata tra i piani del Museo Berggruen, sempre associati o contrapposti a qualche capolavoro dell’arte moderna. Il Museo, alloggiato in un’ex caserma per gli ufficiali della guardia reale, costruita durante la metà dell’Ottocento, già ospita in modo permanente un’ingente collezione di quadri di Picasso, Paul Klee e sculture di Giacometti, che fanno parte della collezione di Heinz Berggruen, donata alla città dopo la sua morte.
Oggi questa collezione è arricchita da opere ulteriori provenienti dalla Nationalgalerie e inserite in mostra con le opere di George Condo, in un “confronto” che si dipana serrato per 25 stanze.
Se è senz’altro un’occasione quella di accedere con uno stesso biglietto a una retrospettiva così ricca e complessa, capace di dare conto del lavoro di un artista americano (forse ancora poco noto in Europa) e al tempo stesso di restituire intatta l’emozione che si prova davanti a certi capolavori dell’arte, tuttavia, c’è da dire, a volte si rimane anche spiazzati, non sapendo fino in fondo a chi rivolgere le proprie attenzioni e risonanze emotive.
Tuttavia non dilegua nel fumo – altro elemento molto presente nelle opere del pittore americano – l’approccio immaginifico, la fantasia e l’artificio con cui lo spettatore è chiamato a sua volta confrontarsi, in questo mondo deformato, sguaiato, distorto che dà vita alla commedia tragica e surreale inscenata dal “realismo artificiale” di George Condo.
E alla fine, qualcosa dentro si spacca e cade, come la goccia di pittura rossa impressa sulla tela di The butcher.
Lasciamola lì.
In copertina George Condo, Multi-colored Pod, 1996
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