foto di Cesare Zomparelli
“Mi ricordo la neve, quella un po’ sporca che da qualche giorno è caduta, e poi i palazzi, nella parte Ovest, non ancora belli e restaurati come qui,ma grigi, con cemento in bella vista ovunque.”
Ci troviamo in Bergmannstraße, in questo momento, nella parte più chic di Kreuzberg, a bere un caffè, mentre un signore turco in bicicletta, cartelli scritti a mano male attaccati al portapacchi, grida al megafono nella sua lingua qualcosa che ha a che vedere con i diritti umani e Erdogan.
“Tutto era nei colori del grigio, ma c’era una tensione, una vitalità che si esprimeva ovunque e che adesso inevitabilmente non vedo più. Una tensione che sentivi anche solo salendo in metropolitana e guardando i volti della gente, e che anche oggi, proprio sulla metro che mi ha portato in centro dall’aeroporto, ho percepito subito ma, al contrario, nella sua assenza.”
Garbo, al secolo Renato Abate, non è mai stato un tipo nostalgico, anzi: la sua parabola musicale, iniziata trentasei anni fa, proprio il 21 settembre, data del concerto di questa sera all’Oblomov di Kreuzkölln, con l’uscita del singolo “A Berlino… va bene”, si è sviluppata guardando sempre avanti. Prima cercando di traghettare la tradizione melodica italiana in un futuro rappresentato dai suoni che David Bowie e Brian Eno inventavano proprio a Berlino alla fine degli anni ’70, ibridando le intuizioni del krautrock di Can e Neu! con quelli che poi si sarebbero definiti new wave o post-punk, e poi, da pioniere di questi nuovi suoni nel Belpaese (insieme a Battiato, Diaframma, Litfiba, CCCP e altri) intraprendendo un percorso coerente che, dalle luci dei Sanremo anni ’80 al sottotraccia degli anni successivi, fino alla riscoperta, negli anni ’00, ad opera delle nuove leve del rock italiano (Bluvertigo, Soerba, Subsonica, Baustelle) lo ha portato in gran forma fino a oggi, a un 2017 celebrato con la ristampa dei suoi primi e seminali lavori in sontuosi vinili rimasterizzati e arricchiti di numerosi inediti, passando per dischi sperimentali e strumentali, collaborazioni e progetti eterogenei, sempre all’insegna della massima coerenza e del rispetto per se stessi (anche a costo di rinunce magari remunerative in termini di visibilità e denaro) e per un pubblico che, negli anni, non lo ha mai abbandonato.
È quindi un cerchio che si chiude, il fatto che il compleanno del suo brano più celebre, appunto “A Berlino… va bene”, si festeggi con un concerto-chiacchierata nella Hauptstadt, in cui un pubblico in gran parte formato da connazionali, ma non certo privo di tedeschi, si possa immergere nelle atmosfere decadenti e romantiche delle canzoni di Garbo. Ma Garbo non sarebbe Garbo, se non conservasse una certa dose di incoscienza artistica, una cifra anarchica e punk che, in vari modi, lo accompagna da sempre nelle sue scelte, e l’occasione berlinese non può essere di sicuro lasciata perdere: e così, nelle settimane prima del concerto, si decide che all’Oblomov, con lui, non si esibiranno soltanto i suoi fedeli musicisti Luca Urbani (molto più che un suo amico: i due collaborano artisticamente da svariati anni e altrettanti dischi, e sono soci nell’etichetta discografica indipendente che dirigono, la Discipline), ai synth e alle basi, e Roberto Sicari, alla batteria.
C’è bisogno di qualche strumento in più, e allora entra in gioco chi scrive. Sarà mio compito occuparmi di altre parti di synth e, soprattutto, della chitarra elettrica, per dare al tutto un tocco più grezzo, alla Bauhaus, diciamo. Conosco anche io Luca e Renato da anni, sono stati i miei discografici e pubblicarono un mio disco nel 2009, perciò, quando, a inizio estate, Luca mi propone di partecipare a questo concerto, durante una chiacchierata nella sala prove che gestisce a Monza, accetto volentierissimo. La cosa bella e punk è che non proveremo mai: Luca mi manda la scaletta e alcune versioni di live recenti dei brani perché ci trovi io delle cose da inserirci. Poi, direttamente il giorno del concerto, durante il soundcheck, definiremo i dettagli.
Il pezzo che state leggendo, dunque, non è e non sarà un’intervista, né un report di concerto in senso tradizionale. Saranno piuttosto immagini, fotografie (per citare il titolo di un’antologia di Garbo), impressioni e chiacchiere di poco più di ventiquattr’ore a Berlino, tra il 1981, il 2017 e il futuro.
Ci troviamo a due passi da Ostkreuz, nell’hotel dove alloggia la comitiva-Garbo, formata, oltre che da Urbani e Sicari, dall’insostituibile manager, Francesco “Morra” Mormile, a sua volta musicista hardcore-punk, titolare di un negozio di vinili a Como e dispensatore di aneddoti a ciclo continuo su concerti e festival da lui organizzati, Luigi “Buster” Motta, factotum-fonico, e da Lucy, la compagna di Garbo. Io e la mia, di compagna, Elettra, faremo da ciceroni, in questo giorno e mezzo dei ragazzi in città.
Pochi giorni fa Blob ha dedicato, in prima serata, uno speciale dedicato proprio a Renato, che ha generato un grande ritorno di interesse (interviste, richieste di concerti), sono appena uscite le ristampe, Luca e Roberto sono per la prima volta in città e Garbo torna a Berlino dopo tre decadi e mezza. Le premesse per essere contenti ci sono tutte.
Il tragitto che da Friedrichshain ci porta a Kreuzkölln apre il rubinetto dei ricordi.
“Sono stato a Berlino nel 1981, più o meno per due settimane, con una troupe RAI che mi accompagnava per girare dei filmati dedicati al singolo. Giravano tanti soldi ai tempi, se facevi musica, e infatti alloggiavamo in una lussuosa suite dell’Intercontinental, a Charlottenburg, non so nemmeno se esista ancora. A due passi dal palazzone con lo stemma della Mercedes [l’Europa Center, ndr]. Ricordo che ricevemmo il permesso di salire per delle riprese in notturna, qualche mese prima che il film “Christiane F – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino” rendesse il tetto di quell’edificio un’icona indelebile nell’immaginario di tutti.”
Ma ciò che, di quella Berlino, è rimasto più addosso a Garbo è “l’energia di una città che era tutta una dogana, nella parte occidentale, povera e con ancora i segni della guerra addosso, ma ricchissima di vibrazioni artistiche e creative, una città in cui potevi vedere i giovani apparire improvvisamente nelle strade del pomeriggio, li vedevi letteralmente sbucare fuori da porte e portoni e poi entrare in locali e situazioni da cui non uscivano se non alle prime luci dell’alba del giorno dopo, in una vita vissuta di fretta e a getto continuo, senza fermarsi mai. L’energia di quegli anni è impossibile da descrivere, era speciale, unica per questioni storiche e sociali, e paragonabile, come forza se non come caratteristiche, solo a quella di Londra, città dove andai nel 1978 e che mi cambiò la vita anche dal punto di vista delle semplici percezioni visive: pensa che, prima di allora, io di fatto non avevo mai visto una persona di colore nemmeno in televisione.”
L’Oberbaum Brücke sfuma F’shain in Kreuzberg, l’est nell’ovest: oggi ormai, per vedere in modo lampante la differenza ti devi spingere a Hellersdorf, o a Weißensee, ma naturalmente all’inizio degli anni ’80 non era così. La Skalitzer Straße e la sopraelevata rimbombano ancora degli echi degli scontri tra squatter e polizia nella storica area radikal della città, e mentre pieghiamo a sinistra per raggiungere l’Oblomov, intanto che Morra mi racconta dei camerini dell’SO36, in Oranienstraße, dove cinque anni fa suonò con la sua band, con le locandine originali di Iggy Pop e di mille altre band a far bella mostra di sé, Garbo si fa più riflessivo: “In quei giorni riuscimmo ad avere i documenti per fare un giro dall’altra parte, a Est. C’era un’atmosfera irreale, con tutti quei palazzoni grigi e quel silenzio spettrale lungo le strade, un freddo gelido e una sensazione inquietante, non certo di agio, però il tutto era incredibilmente affascinante. Ricordo che avevamo comprato qualche paio di calze da donna, in nylon, e incrociando tre giovani ragazze, decidemmo di regalargliele: beh, nei loro occhi c’era una gioia così grande che è come se oggi, dal nulla, per strada incontrassimo uno che ci mette in mano le chiavi di una Spider e poi se ne andasse via.
Passare velocemente, adesso, in macchina, per queste vie colorate e piene di gente è tutta un’altra cosa: si percepisce che la città è viva, che c’è tanto spazio ancora per la creatività, però il contesto è completamente diverso, nella gente e nella stessa immaginazione delle persone. E non voglio assolutamente fare quello che guarda al passato, però viene da fare una riflessione, e domandarsi se, al netto dell’oppressione e del regime che il Muro rappresentavano, della povertà e della mancanza di libertà per le persone, in realtà la città divisa non fosse, soprattutto a Ovest, una straordinaria e irripetibile opportunità di fermentazione artistica e creativa, in un clima di sostanziale anarchia, al contrario del presente, che vede una Berlino sicuramente sempre bellissima e attrattiva, ma decisamente normalizzata”.
Vorrei regnare sulle cose che cambiano i volti, canta Garbo in “Vorrei Regnare”, una delle canzoni in cui riflette sul tempo che passa e su ciò che non si può fermare. Passano veloci le ore anche all’Oblomov, tra chiacchiere con Vincenzo, il gentile proprietario del locale, e un soundcheck che fila liscio come l’olio, una volta ridimensionati dei volumi di partenza decisamente troppo elevati. Così le 20.30, ora di inizio del live, arrivano in un baleno. Il locale è pieno, il pubblico attento e coinvolto, anche se dovremo pregarli di abbandonare le sedie e alzarsi in piedi, almeno per “A Berlino… va bene”. Le battute che Renato scambia con Flavio Villani, moderatore di un tête-à-tête pubblico, ripercorrono i momenti topici della carriera, le collaborazioni e i progetti per il futuro. Anche un piccolo inceppo sulla canzone “Il Fiume” viene superato in scioltezza e con due risate.
Sono le dieci passate e il concerto è finito.
Il resto della serata sono sensazioni, soddisfazione diffusa in tutta la ciurma e, crediamo, anche in chi ha invitato qui Garbo a suonare e organizzato la serata. Si intrecciano birra e pastis, improbabili sproloqui di tassinari romani di stanza a Berlino da molti anni e una grappa barricata sulle note di Jannacci, ma la stanchezza, soprattutto in chi è arrivato mezza giornata fa, si fa sentire, per cui, anche se Kreuzberger Nächte sind lang, ci si riaggiorna per l’indomani mattina, per un altro tour sul nostro furgone nella Berlino del 2017.
Dire Garbo e Berlino non può esimere dal formare un triangolo ideale, che veda David Bowie all’ipotenusa: mai negati, da parte di Renato, l’amore e l’ispirazione che il Duca Bianco hanno costituito per lui, perciò se nel 1981 David già non abitava più qui, si può in qualche modo rimediare adesso. Tappa verso Schöneberg, allora, per un passaggio in Hauptstraße 155, dove Bowie abitava (in quello che adesso è uno studio dentistico, incastonato, si può ben dire, tra un centro massaggi e uno studio di tatuaggi), e per girare un breve filmato davanti alla targa commemorativa che Berlino ha dedicato a uno dei suoi ospiti più illustri, oltre che davanti al Neues Ufer, il locale gay-friendly che, in quegli anni, si chiamava Anderes Ufer (Altra Sponda), a trenta metri dal portone di casa, dove Bowie andava a bere birra con Iggy Pop e Coco Schwab e a cimentarsi al karaoke nel repertorio di canzonette tedesche anni ’20, con scorno della clientela di aficionados, che gli preferivano una drag queen evidentemente più brava di lui. “Chissà come sta, oggi, Iggy Pop, ora che i suoi più grandi amici, David e Lou Reed, sono andati via”.
Garbo è, nomen omen, una persona estremamente cortese e gentile. I suoi modi affabili, da gentleman d’altri tempi, sono sempre quelli di quando l’avevo conosciuto anni fa e il buon momento artistico e di visibilità che sta vivendo in questo periodo (la stima dell’ambiente, quella no, non è mai mancata) li vive con serenità e anche con una certa distaccata ironia, in questo spalleggiato dal ben più sanguigno manager Francesco, che si smazza le questioni spinose: “Non parlerei esattamente di rivincite da prendere, però è innegabile che, prima dello speciale di Blob, magari era difficile ricevere feedback da parte di riviste e addetti ai lavori, ad esempio anche solo quando si trattava di organizzare una data. Tieni conto che noi per scelta non abbiamo mai abbassato l’asticella, in questi anni: non mi hai mai visto in trasmissioni tipo “Meteore”, o all’”Isola dei famosi”, anche se me l’hanno proposto un paio di volte, ci crederesti? Questa è una cosa che gestisce per lo più Morra, io la prendo con filosofia, ma certo fa sorridere che, dopo il programma di RAI3, gente cui mandavi dieci mail e da cui non ricevevi risposta, adesso ti scriva o ti chiami per chiederti un’intervista. In quei casi, qualche volta, ci sta rispondere che adesso non hai tempo perché sei a suonare a Berlino o a preparare un’intervista a Radio Capital”.
Il giro continua. Non abbiamo prenotato una visita all’Hansa Studio, dove furono registrati dischi epocali di Bowie, U2, Depeche Mode, Einstürzende Neubauten, solo per citarne alcuni, per cui tagliamo da Yorckstraße, ché qui c’è l’ex Risiko, punto nevralgico della szene berlinese anni ’80, dove Nick Cave e Blixa Bargeld ti servivano al bancone, e Christiane F., Nena, Nina Hagen, le Malaria e decine di altri artisti erano clienti fissi nelle sue notti lunghissime (Garbo chioserebbe “cantami l’inverno che va, confondimi il giorno e la sera”), ma che adesso è diventato una agenzia viaggi: del resto non esistono più nemmeno il Sound e il Metropol, locali dell’epoca, e cercare i resti di trent’anni fa è impresa troppo lunga, oltre che un po’ generatrice di tristezza, per chi ha un volo di ritorno alle 17.30. Se i ragazzi torneranno prima o poi da turisti, rimedieremo.
Perciò, l’ultima tappa è un rilassante pranzo vietnamita a Mitte. Berlino nel sole di settembre è un ritardare l’autunno, o un anticipare l’estate indiana, e i colori della giornata sono una ottima occasione per scattare qualche foto a Renato nel contesto della street art di Dircksenstraße, con la Fernsehturm a fare da sfondo. E per qualche altra chiacchiera a tema berlinese, che ci regala anche l’aneddoto (“Questa non la sa neanche il Morra”, sogghigna) di un Franco Battiato che fa sentire a Garbo, mentre nel 1981 sono in tour assieme in Sicilia, una versione chitarra e voce di quella che poi sarebbe diventata la celebre “Alexanderplatz” cantata da Milva. Battiato confessa al giovane Renato di averla scritta avendo in mente le suggestioni musicali di “A Berlino… va bene”.
“Ma c’era qualcosa che non mi tornava, mentre la suonava, così gli ho suggerito di cambiare un accordo, e di metterci un La minore. Cosa che Franco ha fatto e la canzone è diventata quella che conosciamo tutti. Naturalmente non mi sono certo sognato di chiedergli i diritti.”
Di ritorno a Ostkreuz, possiamo dire che a Berlino va in maniera diversa, ma ancora bene, e del resto non potrebbe essere altrimenti, per una città destinata a divenire sempre e mai a essere: un motto che credo anche Garbo sottoscriverebbe, vista la sua rotta artistica. E se l’onda forse non è più così nuova (è ancora importante?), stiamo tranquilli, perché risuona sempre nelle orecchie giuste, e un compleanno a Berlino non poteva che celebrarla in modo perfetto.
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